Che la figura di Zlatan Ibrahimović sia tra quelle certamente di maggior successo, non solo nella sua natia Svezia ma in tutto il mondo, è ampiamente assodato. Del resto la sua è una classica Swedish success story, come poche altre nella storia: partito da un quartiere popolare di Malmö, il famigerato “ghetto” Rosengård, è arrivato laddove nessuno lo avrebbe potuto veder, pensando a quando il piccolo Ibra altro non era che un petulante ragazzino aggressivo ed individualista che lottava contro miseria, fame e povertà in una zona disagiata della multicultural Svezia. Ce l’ha fatta, nonostante una famiglia dilaniata dalla guerra jugoslava ma pure da liti interne tra genitori: il padre Šefik Ibrahimović, bosgnacco di Bijeljina, la madre Jurka Gravić, cattolicissima croata di Škabrnja. Ce l’ha fatta lottando contro i pregiudizi di chi non lo riteneva abbastanza completo per il Malmö Fotbollförening, chi addirittura gli preferiva un tale Tony Flygare (ne ho parlato QUI). In ogni caso, la strada per il giovane Zlatan è stata tutto tranne che spianata. Si è dovuto guadagnar tutto con fatica e speranza, emulando i brasiliani piuttosto che la Golden Gen svedese a Usa 1994 (per capirci, è quella di Thomas Ravelli, Roland Nilsson, Henrik Larsson, Klas Ingesson, Thomas Brolin e Martin Dahlin). Un profilo totalmente atipico, un pesce fuor d’acqua in quello stagno multietnico com’era la periferia di una Malmö così racchiusa in se stessa, tanto che per sbocciare dovrà girare il mondo. Se è vero che “puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo”, allora Zlatan ha sempre portato con sé un bagaglio più o meno volontario di conoscenze innate. Tra di esse, pure il carattere sfacciato che lo ha sempre contraddistinto. Mi riferisco alla faccia tosta balcanica, unita alla sua esaltazione del self (tratto talvolta comune alla personalità scandinava) e al mai esser timorosi della reazione di un interlocutore. Un duro, in campo e fuori, davanti ai portieri così come ai giornalisti.
Erano gli ultimi giorni del dicembre 2012, quando lo Språkrådet annunciò un’importante innovazione. Lo Språkrådet altro non è che l’organo ufficiale deputato alla cura della lingua svedese e alle varie politiche linguistiche: una sorta di Accademia della Crusca in versione scandinava, se volete, che ogni anno si prende la briga di ammodernare il patrimonio linguistico nazionale mediante l’inserimento di nuovi neologismi. In sostanza, tra i vari compiti di questo ente c’è pure l’aggiornare l’elenco delle parole in uso con i vari lemmi entrati ormai nel linguaggio comune. E in vista del 2013, in cima alla lista dei termini da aggiungere, ve n’era uno particolarmente interessante. “Zlatanera”. Ufficialmente il lemma è stato coniato per celebrare le vittorie ottenute in terra francese dall’allora attaccante del PSG, visto che Ibrahimović era a capo della classifica marcatori con 18 gol segnati. Piccolo particolare, era soltanto trascorso metà campionato. Peraltro il suffisso -era è l’equivalente del nostro infinito, non a caso ad esempio il verbo svedese “dinera” si traduce con “cenare“. Come tradurlo? In inglese la voce “to Zlatan” vuol dire “to clear anything with force“, “to dominate”.
Il termine “Zlatanera”, curiosamente, è stato poi pronunciato per la prima volta all’interno di Les Guignols de l’info, programma televisivo francese improntato sulla satira e sull’utilizzo di marionette. Esiste tutt’ora, sull’emittente transalpina Canal+, e non sarà difficile trovarne qualche episodio sul web (ogni puntata dura circa 8 minuti). Di certo, la cosa che maggiormente stupisce non è che a Zlatan sia stata tributato un verbo (fatto di per sé strano, ma che ci può stare). Semmai, colpisce che tale lemma sia divenuto di uso così comune in Svezia da obbligare ad ufficializzarlo. Se per qualche ragione vi interessassero pure le altre parole inserite nei dizionari del 2013, eccole qui:
– il verbo “henifera“, ossia sostituire i pronomi lui/lei con uno valido per entrambi;
– l’aggettivo “ogooglebart“, ossia “ingooglabile“, che descrive un oggetto introvabile su internet:
– i nomi “överklassafari” e “underklassafari“, indicanti un viaggio in pullman per vedere come vivono le persone appartenenti ad altri strati sociali;
– il nome “grexit” (“Grekland” + “exit“), relativo ad una possibile uscita del paese ellenico dall’Euro;
– il vocabolo inglese “nomofobi“, acronimo di “no mobile phone phobia”, ovvero la paura di non poter aver costantemente accesso al telefono cellulare.
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