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Il frutto primordiale della cultura Igbo: Wilfred Onyinye Ndidi

Wilfried Onyinye Ndidi: Wilfred “dono di dio” “nato per pazientare”.

La cultura Igbo costituisce uno dei principali gruppi multi-etnici dell’Africa Centrale, contribuendo alla realizzazione di un movimento nero che conta tra le sue fila più di 30 milioni di persone, concentratesi nel 17% della popolazione nigeriana in gran parte: l’apporto cristiano dettato dal regime di fratellanza e di povertà di beni ma non di ideali, ha riportato quest’organizzazione a divenire un tramite per le generazioni future, sia nell’accettazione del proprio status nel proprio mondo, sia nell’affacciarsi a quell’occidentale senza sorte di ideali colonialisti e di schiavitù. La propria appartenenza a questo mondo, permette ai giovani di rientrare nel connubio tra cultura aborigena e mondo 3.0. La Nigeria, come riportato prima, costituisce la prima enciclopedia “Igbica” redatta dalle discendenze ormai pluricentenarie, ed essa può essere riconosciuta come il testamento elitario della figura onnipotente: Okike. Il creatore di tutto, sembra essersi riconosciuto in molte figure moderne, uomini dalla pelle d’ebano che rispecchiavano la calma e la tranquillità della sapienza: uno degli ultimi esemplari sportivi a creare tanto Hype in un’intera nazione è il figlio di un sergente nigeriano e di una professoressa: sembra in lui scontata la dedizione, l’applicazione ma soprattutto l’assoluta integrità e la timidezza controllata in ogni calcio al maledetto pallone di cuoio per strada.

Wilfred Ndidi è stato il benefattore di un corpo che non ha eguali per elasticità e misura, una colonna d’ebano di 187 cm per 80 chilogrammi che Okike ha disegnato per lui su misura, l’assoluta compostezza di una grandezza senza scelta: parlandone chiaramente, suo padre lo avvia ad una carriera lungimirante nell’esercito nigeriano appena spegne 15 candeline, ma i pericoli derivanti dal tasso di criminalità ed un incredibile passione per il calcio lo porta ad essere visionato in mezzo a 250 ragazzi di un’età superiore alla sua; la Nath Boys Academy (accademia che ha lanciato Jay-Okocha) osserva quanto questo ragazzo sia portato a difendere gli ultimi 30 metri del campo e lo inserisce con estrema rapidità nei propri allenamenti professionali. Essere difensore titolare di una delle squadre giovanili più vincenti nella storia nigeriana (tre tornei vinti consecutivamente) e non aver compiuto neanche 16 anni (la sua carta d’identità segna 16 dicembre 1996), dimostra quanta affidabilità può avere un ragazzino Igbo nelle sue prime apparizioni ufficiali: non è un segreto che in quei mesi Roland Janssen (osservatore del Manchester United ma allora capo osservatore del Genk) sia rimasto completamente disarmato dall’aspetto tattico che riflette un giocatore come Ndidi; basti pensare che riusciva a mantenere un incredibile calma quando era in possesso del pallone in fase di impostazione, ma soprattutto quando doveva fronteggiare l’1 contro 1 con calciatori molto più esperti.

La storia recita che il Genk, per questioni politiche e monetarie, potesse accogliere tra le sue fila il giovane Ndidi solamente se avesse avuto la meglio su tutte le trafile giovanili della squadra belga: non ne stiamo qui neanche a parlare, sembrava una lotta impari tra Achille ed Ettore, Ndidi fu cosi sconvolgente da creare il panico anche tra il “coach di sviluppo” Olivieri e il mister della prima squadra Alex McLeish: era solo il 2015 ma questo ragazzo aveva già convinto tutti sull’apparente forza, magari meno sulla posizione in campo. Quando il gennaio dello stesso anno, Ndidi arriva a Genk per 25 mila euro, viene già ritenuto uno “steal of the marketplace” senza essere sceso in campo: questo trasferimento non cambia solamente la percezione di calcio per il giovane Wilfred, ma cambia relativamente anche il suo approccio alla compagine di squadra; dal ragazzo taciturno della Accademy nigeriana, diventa la vittima per eccellenza dello spogliatoio belga, conquistando i cuori dei tifosi e dei suoi compagni, diventando inaspettatamente uomo squadra. Incomincia a ergersi quindi anche fuori dal campo questa quercia infrangibile, che dimostra quanto è importante avere dedizione al lavoro, quando si presenta per un anno intero, un’ora prima all’allenamento per poter migliorare i fondamentali (tecnica di passaggio e stop) che non gli erano stati impartiti in maniera ossequiosa nella sua formazione nigeriana: l’esplosione del fenomeno Ndidi a livello calcistico avviene nella proclamazione del nuovo allenatore del Genk: Peter Maes.

Quest’uomo riesce grazie ad un carattere burbero come pochi ma efficace in maniera tremenda, ad impartirgli un nuovo ruolo: dopo l’addio di Milinkovic-Savic direzione Lazio e la rottura dei legamenti dell’altro mediano Kumordzi, Ndidi diventa la piovra del centrocampo belga venendo spostato come mediano di rottura e costruzione del gioco: se volete un paio di numeri qui si parla di primo per recuperi in campionato (5.2 a partita), 8.9 contrasti effettuati a partita, una percentuale vicina al 67% nei passaggi completati, premio conteso con Bailey per miglior giovane dell’anno 2015/2016 ma soprattutto in due anni totalizza 83 presenze,7 goal e 3 assist con sole 13 ammonizioni e nessuna espulsione. L’incredibile dinamicità e lunghezza degli arti inferiori tendono a dominare in fase difensiva dove riesce a coprire con un minimo spostamento la zona centrale della metà campo difensiva: da migliorare sotto tutti i punti di vista sono la qualità del passaggio orizzontale e l’abilità nel doversi adattare ad un centrocampo a 3. Questo figlio di Okike che ha appena compiuto 20 anni, ha destabilizzato soprattutto gli scout inglesi, che hanno visto in lui la rinascita di Yaya Toure con le dovute attenuanti: la lungimiranza ha toccato le sponde italiane, perché in Premier a volerlo per una cifra vicina ai 18 milioni è stato proprio l’allenatore della squadra vincitrice del titolo: Mr Claudio Ranieri. L’acquisto da parte del Leicester di Ndidi non è stata solo l’idea malsana di voler sostituire la partenza dolorosa di Kantè, ma è un tentativo di innalzare il livello tecnico-tattico nella zona nevralgica del campo, appropriandosi di un fisico ancora più sviluppato di quello del francese.

 

If it works

Avremo “the next big thing” del calcio europeo, ovvero in poche parole un giocatore che rientrerebbe nei tre centrocampisti totali più forti in Europa. Il potenziale fisico è indiscutibile, quello tecnico potrà cementarsi nella tranquillità di Leicester, dove potrà crescere con calma e con un sistema di gioco che diverrà congeniale alle sue abilità. Del resto, anche se sembra ancora una tesi immatura da confutare, la dedizione al lavoro e la voglia di emergere nel mondo del calcio non gli manca: come sempre il fato deciderà per lui.

If it doesn’t works

Che sia esploso troppo presto? Che abbia già mostrato tutto il suo potenziale? Che sia davvero tutto fumo e niente arrosto? Tutti questi interrogativi verranno risposti dal tempo.

Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza.

Vincenzo Nasto

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