Negli anni in cui Matthew Le Tissier incantava i tifosi del Southampton, arrivati al cancello principale del The Dell si leggeva una cosa soltanto: “Benvenuti nella casa di Dio”. Tra il sacro e il profano, come ogni cosa che nel pallone diventa mistica, fino a trasformarsi in una religione dedicata a pochi intimi. Nell’Hampshire la divinità più venerata era Le God, un inglese nato a pochi chilometri dalle coste francesi ma ibrido soltanto nel nome.
La casa di Dio oggi non esiste più, demolita proprio da un gol all’incrocio della sua più grande icona che prima di salutare tutti ha deciso di distruggere lo stadio con uno dei suoi tanti capolavori, ormai troppi per essere contati. Quel che è stato Le Tissier per il popolo dei Saints è anche difficile da raccontare: uno one-man club come ne esistono pochi al mondo, un pesce grande in uno stagno piccolo che hai ma desiderato di indossare un’altra maglia al di fuori di quella del Southampton. Nella storia restano i suoi calci di punizione, diventati ormai leggenda, e i 47 tiri dal dischetto trasformati su 48, l’unica sbavatura di una carriera perfetta. Ma a una divinità tutto è perdonato e l’errore dal dischetto ha permesso anche a Mark Crossley, allora portiere del Nottingham di entrare nella storia come unico giocatore in grado di opporsi alla volontà di Le God.
Le Tissier è diventato una bandiera senza tempo per un’intera popolazione che adesso può ripercorrere le sue gesta attraverso i piedi di James Ward-Prowse, il discepolo preferito del maestro dei calci piazzati. Una premessa è doverosa: la classe, l’estro e la magia dell’eterno numero 7 non sono replicabili e soprattutto nessuno sarà in grado di calciare le punizioni con il suo tipico atteggiamento, quasi come se la sua gamba fosse dotata di intelletto proprio e sapesse esattamente il momento preciso in cui lasciar partire la pennellata, permettendo al resto del corpo di restare totalmente immobile mentre accadeva il miracolo. Chissà quante volte Ward-Prowse avrà visto e rivisto quella scena, l’avrà studiata, sviscerata e replicata in campo. L’atteggiamento non è lo stesso, ma lo studente ha assimilato bene i fondamenti dell’arte delle punizioni e ogni tanto riesce anche a dimostrarcelo.
L’ultima è la parabola incastonata alle spalle del portiere del Wolverhampton, il dodicesimo gol da calcio piazzato di tutta la sua carriera, ammazzando il record stabilito da Le Tissier molti anni prima. Le God si era fermato a 7, proprio come il suo numero di maglia, ma di sicuro non gli sarà dispiaciuto passare il testimone al giovane inglese che sembra essere la sua incarnazione calata nel XXI secolo. Tenendo sempre a mente la premessa precedente, nessuno più di Ward-Prowse si avvicina a lui: l’inglese è arrivato al Southampton da bambino e come molti ha vissuto tutta la trafila fino ad arrivare in prima squadra. Negli anni è diventato sempre più centrale nel progetto dei Saints e non stupisce il fatto che sia diventato il capitano e l’uomo simbolo della squadra negli ultimi anni.
Ogni anno per lui sembra essere quello buono per tentare il salto in una big e assumere un’altra dimensione, togliendosi l’etichetta del grande trascinatore di periferia. Ma in tutta la sua vita Ward-Prowse non ha mai conosciuto altri colori se non il bianco e il rosso dei Saints e nella sua testa non c’è l’intenzione di lasciare la città dove è diventato il braccio destro di Dio. L’unica missione è quella di diventare il calciatore ad aver segnato più gol su punizione della storia del calcio inglese, un traguardo che potrebbe arrivare molto presto: al momento il centrocampista è secondo e davanti a lui c’è soltanto David Beckham a quota 18, un numero ampiamente alla sua portata.
I suoi piedi e la sua testa sono settati per trovare l’angolo più bello della porta, quello che fa scattare l’esultanza di un golfista che mette la palla nella buca più difficile al primo colpo. Proprio come Le Tissier, anche Ward-Prowse non ha mai vinto un trofeo e ha avuto poco spazio anche con la maglia della nazionale, inconvenienti da mettere in conto quando si è un pesce grande in uno stagno piccolo. Ma sono scelte di vita, filosofie in controtendenza con il calcio moderno che però possono regalare tante soddisfazioni. Il St. Mary’s Stadium non è più la casa di Dio e non lo sarà mai, ma qualcosa del suo piede destro è rimasto incastonato tra le pieghe della maglia numero 8.
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