Rimanere 12 anni in un club nel calcio moderno è qualcosa di raro. Lo è ancora di più se questi trascorrono senza essere considerati una bandiera. È il caso di Theo Walcott, la cui era da Gunner volge al termine: il suo futuro è all’Everton. L’addio all’Arsenal sarà senza rimorsi, ma con tanti rimpianti per quello che poteva essere e non è mai stato, nonostante numeri da capogiro: a ridosso della top 10 di marcatori all-time, tra i 30 con più presenze nella storia del club. Quasi sempre però in secondo piano.
Walcott ha mosso i primi passi tra il peso delle aspettative che già da diciassettenne hanno iniziato a circondarlo. Aveva solo sedici anni quando Wenger lo ha prelevato dal Southampton, nel gennaio 2006. Uno dei giocatori più talentuosi d’Inghilterra, sotto contratto con Nike da quando ne aveva quattordici. La precocità, una caratteristica che lo ha accompagnato per tutta l’adolescenza. Anche nell’estate 2006, quella del Mondiale di Germania. Sven-Göran Eriksson lo ha chiamato in squadra, sorprendendo tutti. Lo ha fatto esordire in un’amichevole di preparazione, a 17 anni e 75 giorni, primato che gli appartiene ancora oggi: il più giovane di sempre a vestire la maglia dei Three Lions.
Sembrava l’inizio di una carriera di successo, lo è stata soltanto parzialmente. Theo non è mai diventato quel talento che l’Arsenal sognava, è stato piuttosto un ottimo giocatore, in grado di fare la differenza a fasi alterne. Ha mancato il classico – ma non per questo banale – salto di qualità, non è riuscito ad alzare il proprio livello di gioco. Veloce, buona tecnica di base, ma incostante. E quando è andato finalmente vicino a trovare continuità è stata la sfortuna a frenarlo.
La data maledetta è il 4 gennaio 2014. Si giocava Arsenal-Tottenham, derby del terzo turno di FA Cup. Theo agli Spurs in carriera ha segnato cinque reti: dopo Chelsea, West Ham e Newcastle, il Tottenham è il suo avversario preferito. I gol di quella giornata li hanno firmati Rosicky e Cazorla, ma l’immagine più iconica l’ha lasciata il 14. Uscito dal campo in barella con un crociato rotto, ma sorridente, tanto da permettersi una frecciatina nemmeno tanto velata ai tifosi Spurs: “due a zero”, indicava con le dita. L’aveva presa col sorriso, ma in realtà c’era poco da scherzare.
Walcott aveva vissuto tra il 2012 e il 2013 il proprio periodo migliore. La stagione 2012/13 è stata la più prolifica della sua carriera: 21 gol e 16 assist. In quel gennaio era arrivato anche un sofferto prolungamento di contratto che aveva posto fine a varie speculazioni intorno al suo futuro. In mezzo, una diatriba sul ruolo da occupare in campo: Theo nasceva ala, ma voleva giocare da prima punta. Alla fine ha avuto ragione Wenger: firma sul rinnovo e ruolo prevalentemente da ala. Impossibile toglierlo da lì, soprattutto in rapporto al rendimento in campo.
Il North London Derby del gennaio 2014 è stato il punto di svolta in negativo. Walcott si è visto costretto a dare forfait per tutto l’anno. Quando è rientrato ha trovato davanti a sé un nuovo Arsenal in costruzione in cui per lui c’era poco spazio. È riuscito a ritagliarselo con pazienza e lavoro, ma non più da protagonista come pochi anni prima, bensì da comprimario. Soltanto nella stagione 2016/17 è tornato a scalare le gerarchie toccando quota 19 reti, dietro solo alle 30 di Alexis Sánchez. 19 gol silenziosi, seppur pesanti, soprattutto i cinque in FA Cup. Per Wenger sono stati evidentemente insufficienti per fargli guadagnare minuti.
L’arrivo di Lacazette nell’estate scorsa ha relegato Walcott a un ruolo di riserva, da uomo di coppe. In Premier League ha raccolto soltanto 63 minuti, troppo pochi per imporsi. Anche con un occhio al Mondiale di Russia. Il Mondiale, una competizione che ha scandito la carriera di Walcott: dalla partecipazione a sorpresa del 2006 all’esclusione del 2010 (a proposito della quale Capello si pentirà pubblicamente), fino alla rinuncia forzata del 2014 causa l’infortunio al crociato. Quello del 2018 è un obiettivo, per riaprire un cerchio chiuso troppo presto.
Anche all’Everton però Theo dovrà lottare per guadagnarsi spazio. Troverà un altro predestinato mancato con cui potrebbe duellare per un posto da titolare: Aaron Lennon. Due anni più di lui, con le stesse stimmate del talento, ma mai esploso. Con dieci anni trascorsi nel Tottenham e tanti duelli a distanza alle spalle. Testa a testa per un posto in Nazionale, testa a testa nelle squadre di club, ora testa a testa per un ruolo nello stesso undici titolare, alla caccia di rilancio, forse l’ultimo possibile della carriera di Walcott. Chiude a 399 presenze con l’Arsenal, con la mancanza del proverbiale “centesimo per fare una lira”. Lo specchio di una carriera vissuta al limite dell’esplosione, senza mai compiere l’ultimo decisivo step in avanti.
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