Alla fine la rimonta dell’Olympiakos, in volata e al fotofinish, ha strappato dalle mani dell’AEK uno scettro che pareva ormai consolidato. A 24 ore dal gong, quello che avrebbe decretato il titolo di campione d’inverno, era già chiaro come vedere i gialloneri in testa alla Super League sarebbe stato un pugno nell’occhio alla luce degli ultimi anni di dominazione biancorossa: il δικέφαλος αετός, simbolo araldico con quell’aquila a due teste, quest’anno è riuscito a tenere proficuamente le redini di campionato ed Europa League in ottima maniera. Dare addio a un 2017 tutto sommato positivo, eccezion fatta per i primi mesi (in questo pezzo vi raccontavamo le dimissioni di José Morais e il ritorno di Manolo Jiménez), è una prerogativa che nel sobborgo di Nea Filadelfia avevano ben chiara in testa: nell’anno che passerà alla storia per l’ottenimento dei permessi necessari al fine di costruire finalmente un nuovo stadio, il tanto celebrato impianto di Αγία Σοφία, il titolo ufficioso di campione d’inverno era lì ad un passo. Non è così, perché come detto Livaja & friends hanno pareggiato contro l’Apollon Smyrnis, regalando al Pireo la possibilità di festeggiare un Natale al top.
In Grecia è molto importante, perché nella maggioranza dei casi chi detiene virtualmente il titolo a dicembre è poi lo stesso ad alzarlo a maggio. Che per l’AEK sia una delle migliori stagioni nell’ultimo decennio è ormai consolidato, perché la storia recente conservava la macchia di una retrocessione da pulire (2012-13), oltre a motivi squisitamente economici tali per cui i Kitrinomavri erano usciti dal podio ellenico. Il ritorno sulla cresta dell’onda, al pari di un surfista precedentemente umiliato da un cavallone, è stato drammatico: portarsi a casa un titolo strappandolo alle grinfie del Pireo, che da 7 anni a questa parte festeggia imperterrito, sarebbe davvero una gran cosa. E chissà ce non si possa far lo stesso pure in Coppa di Grecia, la Κύπελλο Ελλάδος, che nel 2016 vide un inatteso trionfo giallonero proprio contro i biancorossi ateniesi.
A livello amministrativo, la società è solida. Dimitris Melissanidis è un armatore ellenico molto conosciuto nel suo ambiente, dato anche il ruolo di primissimo piano all’interno dell’Aegean Marine Petroleum (seconda principale compagnia petrolifera di Grecia): a lui ha fatto riferimento Manolo Jiménez quando in estate erano stati chiesti alcuni tappulli ai già presenti in rosa. Via il terzino Dídac Vilà, restyling in avanti con le partenze di Hugo Almeida e Tomás Pekhart accasatosi al Beer Sheva, lasciato libero Kolovetsios di trasferirsi al Panathinaikos: pure Aravidis, Patito Rodríguez e Araujo avevano lasciato Atene, ma l’argentino è tornato trionfalmente dopo che il tecnico del Las Palmas (allora De Zerbi) aveva regalato al δικέφαλος pure Marko Livaja. Gli ultimi rinforzi hanno compattato i reparti: dentro Ćosić e Hélder Lopes in difesa, Panagiotis Kone a centrocampo, Klonaridis e Giakoumakis in attacco.
Nulla avviene a caso, e dalla sapiente programmazione estiva sono stati tratti i frutti dagli insegnamenti recepiti da precedenti brutte esperienze vissute nel 2016 (Temur Ketsbaia, ma a ottobre l’AEK non aveva più stimoli ed era già fuori dai giochi…). L’estate dopo, il sevillista Manolo Jiménez ha raccolto il gomitolo unendo i vari fili: il mosaico ottenuto sarà meno bello di un arazzo persiano, ma è certamente funzionale al suo ruolo, forse pur meglio della proverbiale tela di Penelope. I sedicesimi di Europa League testeranno poi le qualità di un gruppo che in campo europeo ha oltrepassato il girone con Milan, Rijeka e Austria Vienna e che in Super League c’è meritato le lodi di tutti. Il tecnico del Panathinaikos Ouzounidis ha definito l’ambiente giallonero quello che più degli altri fa gruppo, Damir Canadi dell’Atromitos ha aggiunto che l’AEK “interpreta il calcio più buono e significativo”.
Gran parte della rosa è stata “grecizzata”, e il discorso vale specialmente Rodrigo Galo, André Simões e Jakob Johansson (che, insieme al capitano e stella Petros Mantalos riempie l’infermeria privando Manolo di due elementi cardine). Proprio Jiménez, calatosi perfettamente nella parte, è il demiurgo perfetto perfetto per una materia prima che attendeva soltanto di esser plasmata a dovere. Questo è il segreto del successo dell’AEK, sia in Grecia che in Europa. Perché in fondo in testa al campionato ora c’è l’Olympiakos, ma mai come oggi i gialloneri sembrano attrezzati per riuscire nella rimonta (o se preferite, in spagnolo, lingua di Manolo, remuntada).
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