Gli anni ’10 sono stati estremamente sfortunati per la Copa Sudamericana perché non sempre le finali sono state tranquille, regolari e dall’esito puramente sportivo. Il piccolo Tigre era al settimo cielo quando si guadagnò l’ultimo atto contro i grandi brasiliani del San Paolo, ma quella notte avrebbe proprio voluto non esserci. Andiamo però per gradi.
El Matador di Victoria non aveva mai vinto nulla nella propria storia, ma un’ottima squadra era alle porte all’inizio del decennio. Le speranze per fare un buon torneo continentale vi erano tutte e già dal preliminare contro l’Argentinos Juniors si capì che c’era del materiale su cui lavorare. Vittoria 1-2 in trasferta e 4-1 in casa, prima di una sensazionale rimonta agli ottavi contro il Deportivo Quito. La sconfitta per 2-0 in Ecuador non impedì all’undici di Néstor Gorosito di ribaltare la qualificazione nel ritorno imponendosi con un’emozionantissimo 4-0 scaturito da ben tre reti negli ultimi dieci minuti. Ancora una rimonta firmata da Donatti a pochi minuti dalla fine per sovvertire la sconfitta per 1-0 in casa del Cerro Porteño e ora l’Estadio José Dellagiovanna iniziava a incutere timore. Il campo di casa si era rivelato determinante per la qualificazione riuscendo a dare la carica per grandi imprese, ma in semifinale i colombiani del Millonarios non si fecero intimidire. Lo 0-0 non si schiodò, ma al Campín di Bogotá una rete di Mariano Echeverría permise di portarsi in vantaggio nel secondo tempo, rendendo così inutile il pareggio nel recupero di Perlaza. Per la prima volta nella sua storia il Tigre era riuscito ad arrivare in una finale continentale e aveva così la grande occasione di uscire dall’anonimato calcistico vincendo il suo primo trofeo.
La sfida sarebbe stata contro il grande San Paolo, squadra storica del calcio brasiliano e che era già stata capace di imporre un dominio in passato sul Continente e sul mondo. Per spingere la squadra all’impresa venne concesso addirittura la Bombonera di Buenos Aires per permettere a una maggiore quantità di pubblico di sostenere El Matador nel momento più importante della sua storia. La partita fu molto nervosa e dopo soli tredici minuti le espulsioni di Donatti e Luís Fabiano lasciarono le due compagini in dieci. Lo 0-0 rimase l’unico risultato per tutti i novanta minuti di partita, ma il Tigre partì speranzoso per il Morumbi sapendo che avrebbe avuto due risultati su tre. In Brasile però le cose si misero molto male e dopo il piazzato sinistro di Lucas arrivò il pallonetto in corsa di Osvaldo e il 2-0 sembrava essere una mazzata devastante. A tempo quasi scaduto arrivò però l’espulsione di Miranda e con la superiorità numerica si poteva sperare nella rimonta nella ripresa. Ma il secondo tempo non si giocò mai. Gli argentini non vollero più rientrare in campo accusando la polizia locale di averli duramente picchiati durante l’intervallo.
Una storia che nessuno avrebbe mai voluto sentire e che macchiò pesantemente il trofeo. L’arbitro cileno Enrique Osses fu costretto a decretare la fine dell’incontro e nello stupore generale il San Paolo alzò festante la Copa. La Conmebol visse giornate frenetiche ma alla fine il Tigre non riuscì a dimostrare i fatti e per non dare ragione o torto a nessuno andò agli archivi solo il risultato del primo tempo. Una decisione assurda, perché una finale non può giocarsi solo per un tempo. Se gli argentini avessero avuto ragione si sarebbe dovuta rigiocare dall’inizio, se invece questi avessero esagerato avrebbe dovuto essere assegnato il 3-0 a tavolino ai brasiliani per abbandono del campo e se invece non si voleva decidere avrebbe dovuto essere imposta la ripresa del gioco dal minuto quarantasei in una data da stabilire. Fu l’inizio del crollo sportivo del Tigre, che ora gioca addirittura nel Nacional, ma quella Copa Sudamericana fu un momento meraviglioso, conclusosi nel peggiore dei modi.
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