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Verso la finale di Copa Sudamericana: 2003, il miracolo Cienciano

In Sudamerica la Copa Libertadores è sempre stato il trofeo più importante e per oltre trent’anni anche l’unico. Si dovette infatti attendere l’inizio degli anni ’90 per poter assistere alla creazione della Copa Conmebol, un trofeo che avrebbe dovuto diventare il secondo titolo continentale. I primi anni furono però complicati e già alla fine del decennio venne soppressa per far spazio alla Copa Mercosul e Mercornorte. Durarono solo per quattro stagioni prima di essere unificate e dare vita così alla Copa Sudamericana nel 2002. Oggi è a tutti gli effetti il corrispettivo dell’Europa League, ma ai suoi inizi aveva una propria indipendenza rispetto alla Libertadores e quindi era possibile che una squadra potesse vincere entrambi i trofei.
Nel 2003 una delle finaliste fu il grande River Plate che aveva voglia di vincere in Sudamerica dopo che nel massimo torneo era stato eliminato ai quarti di finale. A sfidarlo vi era una realtà nuova per tutti, poco conosciuta e dalla scarsissima storia anche all’interno della propria nazione. Il Cienciano di Cusco non era mai stata al vertice del calcio peruviano e infatti non risultano in bacheca trofei nazionali. Nel 2002 riuscì però a inserirsi tra le grandi Alianza Lima, Sporting Cristal e Universitario, arrivando al terzo posto e portandosi a casa così l’ultima poszione utile per la qualificazione alla Sudamericana. Tutte le altre avrebbero partecipato anche alla Libertadores, ma per Los Rojos fu già una grande soddisfazione quel traguardo. A sorpresa riuscì a passare il preliminare proprio con l’Alianza e dai quarti iniziò una clamorosa scalata al potere. La prima eliminazione importante venne subito dal Santos che non riuscì a vincere in casa e soffrì l’altitudine, Cusco si trova a 3400 metri, perdendo il ritorno. Fu invece un dominio contro i colombiani dell’Atlético Nacional con due vittorie, prima in trasferta e poi in casa, e così approdarono clamorosamente in finale.

L’andata si giocò in un Monumental pieno e caldissimo e in molti avrebbero tremato di fronte a un pubblico del genere. I ragazzi di Freddy Ternero però erano spinti da tutta una nazione, spesso dimenticata, spesso emarginata e che voleva riuscire per la prima a portare in Perù un titolo internazionale. Giuliano Portilla raccolse una corta respinta e appoggiò in rete il clamoroso 0-1 che ammutolì lo stadio di Núñez, ma la partita era ancora lunga. Maxi López segnò una doppietta con un bel diagonale e un semplice tap in a porta vuota e ora erano i Millonarios a condurre. Quella pazza prima finale però aveva ancora tanto da dire e il capocannoniere del torneo, Germán Carty, trovò il pari prima che un altro colpo di testa di Portilla riportasse incredibilmente in vantaggio El Papá de América. Un tocco da pochi passi del Matador Marcelo Salas evitò la sconfitta, ma il 3-3 in Argentina stava a significare che l’impresa era possibile.
Al ritorno il Monumental Virgen de Chapi di Arequipa si riempì come mai prima perché l’impresa era nell’aria, ma il River Plate non era certo squadra abituata a mollare. Fu un monologo argentino con Gallardo e Coudet che fecero tremare la porta di un favoloso Oscar Ibáñez, decisivo con grandi parate. A inizio secondo tempo l’intervento scomposto di Juan La Rosa su Coudet gli costò il secondo giallo e ora serviva veramente l’impresa. A un quarto d’ora dalla fine Los Rojos riuscirono a guadagnarsi un calcio di punizone dal limite e Carlos Lugo bucò la barriera battendo Costanzo per l’1-0. Ne scaturì un boato incredibile, la storia stava per essere scritta. Poco dopo venne espulso anche Julio García e si dovette resistere addirittura in nove, ma quando arrivò il triplice fischio dell’uruguiano Gustavo Méndez si scatenò il delirio. Il piccolo Cienciano era riuscito a portare per la prima volta una Coppa in Perù, proprio quella squadra che mai nella sua storia era riuscita a vincere un campionato. Fu un momento pazzesco e addirittura venne concesso il bis anche in Recopa contro il Boca Juniors ai calci di rigore negli Stati Uniti. Furono pochi mesi di gioia pura, prima di tornare nell’anonimato, subire una retrocessione e tornare tra i grandi solo l’anno scorso, ma quella notte il Cienciano scrisse la storia più incredibile e meravigliosa della storia del calcio peruviano.

Francesco Domenighini

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