Dopo ventidue anni, l’Arsenal è stato chiamato a prendere la decisione più difficile: la scelta dell’erede di Arsène Wenger in panchina. Il giro di panchine ha portato su quella dell’Emirates Unai Emery, nome a sorpresa tra i pochi che non erano rimbalzati sulle prime pagine. Né i giovanissimi Nagelsmann e Arteta, né gli esperti Ancelotti e Pellegrini, ma un punto di equilibrio: un tecnico con idee fresche, ma con tredici anni di esperienza alle spalle e con un gran curriculum internazionale. Almeria, Valencia e Siviglia in Spagna, Spartak Mosca e PSG all’estero. Dieci trofei in bacheca, tra cui tre Europa League consecutive. Ma soprattutto, idee chiare. Quelle che probabilmente l’Arsenal cercava per ripartire.
Già nella conferenza stampa di presentazione Emery – parlando in inglese, lingua che non padroneggia ma che ha voluto esibire per presentarsi al meglio – ha fatto capire quale sia la sua idea di gioco, racchiusa in un semplice concetto: “Possesso quando si ha la palla, pressione quando non la si ha”. Una linea di continuità che segue il lavoro già iniziato e portato avanti da Wenger negli ultimi anni. Tra i tanti capi d’accusa che si possono imputare all’alsaziano non può rientrarvi l’eccellente organizzazione nella metà campo offensiva, a cui non è mai corrisposta una fase difensiva all’altezza. Uno dei compiti di Emery sarà sistemare quest’ultima per rendere l’Arsenal una squadra non a senso unico. E la sua preparazione tattica lascia presagire che ciò possa accadere, anche se probabilmente non in tempi brevi.
Il board, dando fiducia a Emery dopo l’esperienza non del tutto positiva a Parigi, ha voluto anche dare un segnale importante: c’è voglia di ripartenza immediata, ma soprattutto di portare avanti il progetto Emery nel corso degli anni, senza data di scadenza. La to-do-list dello spagnolo è comunque lunga: valorizzare i giovani proposti da Wenger durante la stagione appena conclusa, dare continuità ai giocatori più importanti e soprattutto convincerli che l’Arsenal può tornare a competere per il titolo, oltre a rinforzare una squadra apparsa troppo corta in diversi momenti della stagione.
La più grande difficoltà a cui Emery va incontro è automaticamente la pressione del dopo-Wenger. “The greatest manager” della storia dell’Arsenal ha lasciato un’eredità pesante in termini di responsabilità, tutte incentrate su sé stesso durante il suo regno, ora passate di mano. Gestire questa pressione sembra la prima chiave per avere successo nel nord di Londra. Nella sua ultima esperienza al PSG il tecnico ha imparato a sue spese che creare un ambiente favorevole non solo non è scontato, ma è probabilmente il primo punto su cui lavorare. Ci era riuscito a Valencia e Siviglia, meno all’ombra della Tour Eiffel. Può farlo all’Arsenal, dove trova un gruppo compatto a disposizione e con tanta voglia di rivincita.
Una delle pecche evidenziate nella sua gestione a Parigi è stata la mancanza di mentalità vincente. In generale il fattore psicologico è stato uno dei talloni d’Achille di Emery negli scorsi due anni, come testimoniano alcune débacle, su tutte il 6-1 subito al Camp Nou e la Ligue 1 persa contro il Monaco nella stagione 2016/17. All’Arsenal la mentalità vincente manca ormai da troppi anni, anche se le tre FA Cup vinte con Wenger tra il 2014 e il 2017 (abbinate a tre vittorie nei Community Shield) possono essere un buon punto di partenza su cui Emery può lavorare. La squadra di talento non gli manca, ora dovrà valorizzarlo al meglio. Sotto il profilo tecnico, tattico e psicologico. Andando, probabilmente, oltre alcuni suoi stessi limiti, ma continuando a tracciare una linea di continuità tra il passato e il futuro del club.
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