Figlio di una ninfa e di un dio, la fluviale Liriope e Cefiso, Νάρκισσος incarnava nella sua persona le doti migliori da possedere secondo il modello di bellezza tramandato dalla grecità: tra le varie versioni del mito, quello ellenico lo vede infatti cacciatore, bellissimo, dotato di un aspetto così attraente da far perdere la testa a pressoché chiunque. Non vi stupirà dunque che facesse innamorare molti, ma vi dirò che tra di essi in tanti erano di sesso maschile. Sebbene si parli di Grecia, in cui l’omosessualità era spesso considerata d’emblée un qualcosa di corrispondente all’ethos comune, questo ragazzo continuava costantemente a respingere i pretendenti maschi che gli facevano la corte. Tralasciando le varie versioni e i molteplici aggiustamenti, un giorno questo Narciso si stava specchiando su una pozza d’acqua quando fu commesso l’ennesimo atto di ὕβϱις ed egli stesso rimase innamorato della propria immagine. Si sporse per avvicinarvisi meglio, ma fu a quel punto che cadde e annegò. Tutto questo per dire che a volte come il narcisismo (che da lui ha preso il nome, ça va sans dire) funga da fattore autodistruttivo.
Specchiarsi – Il Cile di questa sera era un gigantesco Dorian Gray, un dandy così effervescentemente estasiato da se stesso da trascurare ogni altra cosa e dunque anche la Germania. La creatura gestita dalla sapiente arte maieutica non di Socrate bensì Sampaoli, e svezzata dal credo di Pizzi e non Platone, è parsa tutt’altro che irresistibile al cospetto di una Mannschaft giovane e forse anche timorosa. I primi 20′ sono stati emblematici, perché Vidal tra le linee faceva un po’ quel che gli pareva e Sanchez insieme a Vargas arpionava il pallone e lo difendeva al pari di un polpo dopo aver avvolto la preda. Dopo una Copa America vinta da padroni di casa e dolcemente cullati (tra le altre cose) dalla dolcezza con cui il Mago Valdivia accarezzava la sfera, dopo una Copa Centenario in cui un Vargas in versione Turboman vero annichiliva un Messico che poi fu definito Tri-diculo dalla stampa del paese, ecco la caduta di stile. Si è sporta troppo oltre, questa Roja narcisista, e alla fine la pozza l’ha risucchiata non dandole via di scampo. La fine è ingloriosa e anche triste, se volete, ma non si può dire sia immeritata. Narciso pagò l”eccessiva esaltazione del self, questo Cile ha dovuto pagar dazio ad un errore nel momento in cui tutto andava per il meglio. Sin dall’inizio la creatura di Pizzi era apparsa in campo determinata, pressava alto, si divertiva a far volare Isla e Beausejour come leggiadre farfalle sospinte dal vento (o dalla precisione dei metronomi Aranguiz, Hernanez e Vidal?). La Germania era lì, ad un angolo del ring, che non riusciva mai ad uscire dalla sua metà campo e raramente sapeva cosa fare di quel pallone tra i piedi. L’approccio di evidente superiorità era evidente nel volto turbato di Loew in panchina, mentre in campo la Roja aveva chiaramente più benzina: tirerà 12 volte in tutta la partita, ma solo 7 di quelle saranno nello specchio. Sanchez, Vidal, Vidal, Vargas, Vargas: la lista potrebbe continuare. I tedeschi si erano fatti vedere col contagocce dalle parti di Bravo, ma erano stati bloccati da un Aranguiz davvero principesco e da un Jara giganteggiante. Intorno al 20′ ecco però le sliding doors, il rovesciamento della bilancia, l’inconveniente che non ti aspetti.
Sporgersi troppo – Quando al braccio di Milorad Mažić l’orologio tocca quota 19 minuti, il Cile è avanti. Vidal fa partire una saetta improvvisa, un bolide da fuori area, ter Stegen è pronto e porge le mani ma nulla può sul terra-aria del cileno. Ne consegue una respinta blanda, centrale, proprio nella zona in cui Turboman Vargas era appostato. Eccolo qui, il massimo momento di narcisismo: Edu sbaglia, portandosi con sé un peso che difficilmente lo farà dormire stanotte. Il peso di chi, dopo aver gettato all’ortiche la più ghiotta delle chances, vede che dietro il pallone è tra i piedi di Marcelo Diaz: una sicurezza, il cervello del Celta Vigo nonché metronomo preferito da Sampaoli prima e Pizzi poi. Ma non questa volta, perché il match horribilis non si fermerà ad una quantità industriale di palloni persi in una zona nevralgica del campo (la sua abituale). Al minuto 20 infatti Diaz si gira, non si accorge di Werner che gli soffia palla mettendo in bella mostra le sue doti espresse al Lipsia. Un po’ con lo stesso spirito del cholismo, Timo si trova davanti a quel gigante di Bravo che già pregustava di chiudergli lo specchio. In un nanosecondo, il 21enne si accorge del 28enne Lars Stindl solissimo al centro e lo serve. Dal secondo più giovane della truppa sperimentale di Loew al più vecchio, che nulla aveva da fare se non mandare quel pallone oltre la linea di porta. Fin troppo facile, per l’attaccante del ‘Gladbach. A questo punto il clamore non basta più: Narciso ha fatto il passo più lungo della gamba osando l’impossibile. Non riuscirà a baciare se stesso, in compenso non uscirà mai più da quella tragica situazione.
Attesa e terrore – Il canto del cigno cileno è riassumibile nel resto del primo tempo. In rigorosa sequenza cronologica, si vedranno: Vidal e Isla triangolare e servire a rimorchio Aranguiz che sbaglierà il tiro, Diaz regalar palla a Rudy, poi la Germania uscire dal guscio e tirar fuori la spada dalla faretra. In sintesi: Narciso, ormai in acqua, tenta di salvarsi nuotando o quantomeno implorando qualcuno di salvarlo. Troppo bello per morire così anzitempo, da giovane, così come troppo bello era il Cile prima di affondare definitivamente. La reazione c’è stata ma è stata blanda e pienamente in linea col crollo verticale della Roja. Narciso, che già aveva compreso la sua fine, l’ha potuta solo ritardare. Invano. La fortuna, o sfortuna, è che nel calcio le partite non possano durar meno di 90′. Quella entrata negli spogliatoi nell’intervallo era una Mannschaft orgogliosa: aveva però rischiato di subire lo stesso scherzetto riservato dalla Moira a Narciso, quando al 45′ Goretzka davanti a Bravo sprecava la chance della vita per una doppia doccia gelata. Già Draxler (41′), Werner (38′) e Goretzka ancora (37′) avevano rischiato seriamente di dar la mazzata decisiva al Cile. Ma sarebbe stato troppo semplice veder Narciso morire sul colpo, vero?
Triste epilogo – E invece eccolo lì, il bel cacciatore, annaspare coi polmoni sempre più pieni d’acqua e ingoiare sempre più liquido nelle sue viscere. Patirà certamente, sicché per ogni suo tentativo di emergere vi sarà una forza divina (la Tyche) che lo spingerà giù. Allo stesso modo il Cile proverà ad alzare la testa, addirittura era poi uscito un confuso Diaz, ma ancora la Germania premerà sull’acceleratore. Una gomitata di Jara verrà sanzionata col giallo da Mazic e dalla Var mentre il furor di polo chiedeva il rosso, poi la lucidità scomparirà presto. Narciso ha meno ossigeno, meno forze, l’acqua lo sommerge: la Roja avanza ma la sola disperazione non basterà. Come non era bastata a Narciso, del resto. Aranguiz per Sanchez (72′) murato da Rudy dopo una travolgente serpentina dell’idolo numero 7, Vargas contrastato dall’efficace opposizione di ter Stegen, Vidal a vuoto da pochissimi passi, Aranguiz idem ma con deviazione del portiere tedesco. Tutt’altra tracotanza, la cui somma non riuscirà comunque a pareggiare quanto si vedrà poco dopo. All’82’ era entrato un numero 9 particolare, il semi-sconosciuto Ángelo Nicolás Sagal Tapia: all’esordio in questa Confederations Cup, Sagal si troverà a recitare la parte di uomo sbagliato al momento sbagliato. Il minuto è l’85mo, ed Edson Puch recupera quasi da visionario un pallone sottraendolo caparbiamente dalle grinfie di ter Stegen (tanto coraggio, tanta grinta in quell’azione, tantissimo ardore). Non solo questo, sicché il numero 22 era pure riuscito a tenerlo in campo, girarsi e scodellarlo repentinamente in mezzo. Alla cieca, vero, ma la fortuna che ci vede benissimo aveva apparecchiato la tavola per il comodissimo tap in di Sagal. Tutto era stato messo in preventivo fuorché l’intromissione della Moira, della Sorte, della Tyche come intesa dai greci: fatto sta, Sagal a porta vuota spedisce il pallone in curva. Ci sarebbe un’ultimissima chance, al minuto 95′ dopo 5′ di recupero concessi a causa di una rissa in campo: Sanchez sul pallone, con gli occhi spiritati, con la consapevolezza che chi aveva aperto il ciclo (Estadio Nacional de Chile, 4 luglio 2015, finale di Copa America ospitata dalla Roja, rigore decisivo di Alexis con lo scavetto su Romero) avrebbe potuto chiuderlo in bellezza. Ricapitolando: nel 2015 Copa America, l’anno dopo Copa Centenario, il 2017 sarebbe stato l’anno perfetto per la Confederations Cup. Sarebbe, e uso il condizionale, perché la punizione di Sanchez scende e si abbassa sul secondo palo ma ter Stegen stavolta è reattivo. Finisce così, col trionfo della Germania al Krestovskij e (forse) con la chiusura di un ciclo. Nel mezzo tanta gioia, il rigore del Gato Silva contro l’Argentina, il passaggio da Sampaoli a Pizzi: tutte emozioni a cui inevitabilmente si guarda con una buona dose di nostalgia. Il Cile è ormai annegato al pari di Narciso, condannato da una rete regalata alla Mannschaft dopo una partita in cui avrebbe ben meritato di più. Specchiandosi troppo, del resto, succede. Anche perché in Russia di laghetti, complice il clima freddo, ce ne sono eccome.
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