Solo Samuel Mbangula, attaccante belga, ha dedicato un messaggio all’ex tecnico Thiago Motta dopo l’esonero. Nel silenzio generale dei 28, Mbangula esprime gratitudine per la fiducia ricevuta. Gli altri giocatori della Juventus ignorano l’addio, postando altro
Cosa si nasconde dietro il silenzio assordante dei giocatori della Juventus? È un interrogativo che rimbomba come una eco inquietante, soprattutto dopo l’esonero di Thiago Motta. In un’era in cui ogni gesto e ogni parola possono essere amplificati sui social, il fatto che solo un singolo calciatore, Samuel Mbangula, abbia avuto il coraggio di esprimere gratitudine verso l’ex tecnico è un dato che non può passare inosservato. Gli altri? Un silenzio tombale che fa più rumore di un tuono.
Mbangula, un giovane attaccante belga lanciato da Motta stesso, ha deciso di rompere il ghiaccio. “Grazie per tutto mister. Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi dato fiducia fin dal primo giorno“, ha scritto in una storia su Instagram. Parole cariche di significato, che riflettono un legame autentico e una riconoscenza profonda. Ma perché solo lui? Gli altri 27 membri della rosa bianconera sono stati colpiti dalla sindrome del muto?
In un contesto dove il rispetto e la gratitudine dovrebbero prevalere, la reazione della squadra è stata non solo deludente, ma anche rivelatrice. Mbangula ha segnato 4 gol e fornito 5 assist in poco più di 1.000 minuti, ma il suo successo è frutto di una fiducia che, evidentemente, pochi altri atleti hanno sentito di dover riconoscere. La domanda sorge spontanea: i calciatori della Juve non hanno nulla da dire, o semplicemente non vogliono dirlo?
Il silenzio dei compagni di squadra di Mbangula è ancora più inquietante considerando che, nelle ultime 24 ore, i social media sono stati inondati da post di ogni tipo. Ecco alcuni esempi:
Tutto, tranne che un semplice messaggio di saluto a un allenatore che ha creduto in loro. Questo silenzio non è solo assordante; è gelido. Sembra quasi che i giocatori abbiano scelto di ignorare il loro ex tecnico come una forma di punizione silenziosa. È un comportamento che fa riflettere sul clima all’interno dello spogliatoio: è mai sbocciato un vero rapporto tra Motta e i suoi calciatori? Oppure si è trattato di un’accettazione forzata, una relazione basata su obblighi contrattuali piuttosto che su un genuino rispetto reciproco?
Il silenzio può rivelare tanto quanto le parole. In questo caso, riflette una mancanza di empatia, una scarsa comprensione della dinamica di squadra. Gli sportivi non sono solo atleti, ma anche uomini e donne che vivono emozioni, speranze e delusioni.
La domanda che resta è se questa mancanza di comunicazione segni un problema più profondo all’interno della società bianconera. La cultura aziendale di un club non può prescindere dalla costruzione di relazioni solide tra allenatore e giocatori. La Juventus, una delle squadre più titolate d’Italia, sta perdendo di vista il concetto di squadra in favore di un individualismo che rischia di costare caro.
Quello che è certo è che il silenzio dei giocatori, in contrasto con il gesto isolato di Mbangula, non è solo una questione di social media. È un sintomo di una crisi più ampia, di una rottura che potrebbe avere conseguenze devastanti per il futuro del club.
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