Calcio

Szczesny, memoria corta: il Barcellona è il top? E la Juve? Dov’è finita la riconoscenza?

Dichiarazioni sorprendenti dell’ex portiere bianconero: “Barcellona miglior club in cui ho giocato”. Dopo anni di vittorie e fiducia alla Juve, un addio senza nemmeno uno sguardo indietro. Ma la gratitudine nel calcio esiste ancora?

Sette stagioni. Più di duecento partite. Tre scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa. Un posto da titolare blindato per anni. Fiducia incondizionata, anche quando le prestazioni traballavano. Szczesny alla Juventus ha avuto tutto. Eppure, oggi, a pochi mesi dal suo addio, con l’eleganza di un messaggio su Sport, se ne esce con un “Il Barcellona è il miglior club in cui abbia mai giocato”.

Ora, lasciamo perdere per un attimo l’ovvietà commerciale della dichiarazione – sei al Barça, che vuoi dire, che a Torino stavi meglio? – ma qui il punto non è diplomatico. È morale. È culturale. È calcistico. Perché questa smania di voltare pagina senza nemmeno una stretta di mano, senza nemmeno un grazie? Cos’è successo al rispetto? Alla riconoscenza?

Szczesny non è stato uno qualunque. Ha raccolto l’eredità di Buffon. Ha parato rigori, ha salvato stagioni, ha vissuto più momenti complicati che esaltanti. E, diciamolo, ha anche fatto qualche papera pesante. Ma la Juve lo ha sempre difeso. Sempre. Dalla dirigenza alla stampa amica, fino ai tifosi, spesso più pazienti di quanto meritasse. E oggi, l’unico ringraziamento è cancellare tutto come se fosse stato un passaggio secondario?

Il calcio moderno e la cultura dell’usa-e-getta

Non è (solo) una questione juventina. È una questione di calcio. Di come questo sport stia perdendo l’anima, travolto da procuratori, sponsor, manager, influencer. Una volta c’erano i Del Piero, i Totti, i Maldini. Oggi ci sono i tweet e le interviste pilotate. Una volta la maglia era un onore, oggi è un’opzione contrattuale. Szczesny è solo l’ultimo esempio di un mondo che dimentica in fretta.

In fondo, non pretendiamo nemmeno la poesia. Nessuno gli chiedeva di dire che la Juve è stata la sua casa, anche se lo è stata. Nessuno lo obbligava a mettere il cuore oltre la retorica. Bastava un minimo di rispetto. Bastava non infangare il passato per rendere migliore il presente. Perché se dici che il Barcellona è “il miglior club” stai dicendo implicitamente che il resto – Roma, Arsenal e soprattutto Juventus – sono stati qualcosa di meno. E no, caro Tek, così non va.

Dove finisce l’uomo e inizia il personaggio?

La vera domanda è questa. Szczesny oggi è un professionista che ha scelto di chiudere la carriera in un grande club, con un grande ingaggio e in una grande città. Buon per lui. Ma dov’è finito l’uomo? Quello che ha pianto quando se n’è andato Buffon. Quello che diceva “alla Juve mi sento importante”. È stato tutto marketing? Tutto un copione?

Chi ha vissuto gli anni bianconeri con attenzione sa che Szczesny, pur con i suoi limiti, è stato un riferimento. E oggi, leggere certe parole fa male. Non tanto perché il Barcellona non lo meriti – per carità – ma perché è un’altra ferita a un calcio che non sa più cosa sia la riconoscenza.

Una volta la Juve era una scuola. Oggi è diventata una tappa. E quando anche chi ci ha vissuto dentro per anni se ne dimentica così facilmente, forse ha ragione chi dice che questo sport non è più lo stesso.

E allora, caro Tek, buona fortuna. Ma noi non dimentichiamo. Né quello che hai dato. Né quello che hai detto.

Stefano Vercelli

Mi chiamo Stefano Vercelli e sono juventino nel profondo. La Juventus è la squadra che mi ha insegnato a non arrendermi mai, ma oggi non posso ignorare la realtà: siamo lontani dai nostri standard. Dal 2017, scrivo con l’unico obiettivo di analizzare la situazione senza sconti. Non sono disposto a giustificare la mediocrità, perché so che la Juve può fare molto di più. Ogni articolo che scrivo è un richiamo alla grandezza di una squadra che non deve mai dimenticare chi è. La Juve merita di più, e io non smetterò di dirlo

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