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Swedish House Zlatan

“It was time”. Con queste parole, e una notevole quantità di indizi disseminata in giro per il mondo del web, la Svezia ha vissuto il ritorno in scena della Swedish House Mafia: la reunion del trio di dj, composto da Axwell, Sebastian Ingrosso e Steve Angello, è infatti uno dei due temi che sta riempendo le pagine di cronaca dell’Aftonbladet in questi giorni, scatenando le forti reazioni dell’opinione pubblica. A cinque anni di distanza dal 24 marzo 2013, ecco il ritorno (in grandissimo stile) sul palco dell’Ultra Music Festival, a Miami, con una favolosa vista su Bayfront Park. Expect the unexpected aveva profeticamente annunciato il CEO dell’UMF, Russell Faibisch, dando il via alle speculazioni per il ventennale del noto festival americano.

“Miami, my name is Axwell, this is Sebastian Ingrosso, and this is Steve Angello. You know that we are the Swedish House Mafia, accompagnato da una folla che si aspettava nient’altro che loro. Il loro rientro, un regalo magnanimamente concesso dall’Ultra ai suoi spettatori: non quelli da casa, vista l’angolatura inesistente di una camera più che mai criticata, quanto i presenti. La scritta oscurata, l’hype crescente al pari dei minimi indizi che si susseguivano sui profili paralleli rispetto a quelli del trio (Palm Angels, Virgil Abloh), gli occhi di oltre 150mila persone soltanto dal live stream. Questo, per dire, che l’affare Swedish House Mafia è stato di portata nazionale. Non c’era persona che non avesse un occhio a loro, pur con tante, troppe critiche in vista di una reunion avvenuta (secondo molti) prettamente per soldi, a cinque anni dall’One Last Tour.

L’altro grande topic che ha tenuto impegnati i redattori dell’Aftonbladet, cronaca a parte, è quello di un campione indeciso sul suo futuro. Così come gli autori della hit mondiale “Don’t You Worry Child“, del resto, l’idea di un ritorno sui propri passi: Zlatan Ibrahimović è una mina che dalle parti di Stoccolma è pronta a esplodere tra poco, non senza conseguenze.. Il discorso è complesso, ma si può visualizzare graficamente come un sottile duello di potere. Sulla bilancia, Zlatan da un lato e il ct blågult Janne Andersson dall’altro. Il primo aveva chiuso le porte ai gialloblù nell’estate 2016, a 34 anni, al termine di un Europeo deludente e vissuto male dal gruppo di Hamrén e pure dai tifosi in patria: “Ho conquistato la Svezia, che è diventata il mio Paese. A modo mio, io sono la Svezia. Un immenso grazie al popolo svedese, vi voglio bene, senza di voi non sarei mai riuscito a realizzare i miei sogni”. Un messaggio d’addio che oggi, clamorosamente, potrebbe clamorosamente vedere un dietrofront con tanto di biglietto concesso a Ibra tra i 23 convocati per Russia 2018. A 17 anni dal 2001, quando cioè il giovanissimo calciatore cresciuto a Rosengård fece la sua prima apparizione con la nazionale dei grandi, tutto è ancora in gioco.

Ibra può ancora vestirsi di gialloblù, ma non solo: la sua sfrontata personalità gli consentirebbe pure di avere un credito illimitato verso tutta la SvFF, la Federcalcio di Stoccolma. Oltre che con la gente, ovvio. Addirittura, quando è stato presentato ai Los Angeles Galaxy (forse ricorderete l’istrionico “You’re welcome”) gli hanno posto l’immancabile domanda e Zlatan non ha glissato: “Mi chiamano ogni giorno per sapere come sto, come vanno le cose, cosa sto pensando. Se voglio, vado al Mondiale. Una sfrontatezza non nuova, che non è dunque piaciuta al ct Janne, il quale ha risposto in modo seccato: “Lui ha preso la decisione di lasciare la nazionale nel 2016. Rispettando questo, non sarò certo io a chiamarlo, ma se ci ha ripensato, mi chiama lui. Un sottile strumento psicologico, un tiro alla fune senza vincitori né vinti per il momento. Si lotta sul piano caratteriale, ogni azione presuppone una reazione da parte dell’altro e dunque non sono certamente escluse sorprese. Dopo la sconfitta rimediata in amichevole col Cile, peraltro, pareva che tutti si sentissero in qualche modo obbligati a evincere come con Ibra in campo sarebbe andata diversamente. Non si può dire. Quello che si può dire è che, in un 2018 che ha già visto l’impensabile ritorno sulla scena della Swedish House Mafia, non sorprenderebbe più di tanto un tormentone svedese della stessa portata. E lì sì, dunque, che la 10 svedese a Russia 2018 penderebbe nuovamente sulle spalle del suo calciatore più rappresentativo, Kung Ibra.

Matteo Albanese

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