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Storia del Pallone d’oro: l’87, Ruud Gullit

Un autentica forza della natura, un levriero capace di falcate impressionanti abbinate a una potenza fisica raramente vista nella storia del calcio. Ruud Gullit è stato uno dei rarissimi casi di campione dotato di tocco di palla delicato nonostante fosse un longilineo. Sono indimenticabili le sue sgroppate palla al piede, impossibile da fermare per i difensori e con le sue accelerazioni era l’uomo determinante per spaccare in modo decisivo la partita. Gianni Brera coniò per lui il soprannome di Simba e non ce ne fu uno più azzeccato perché vedendolo correre con la sua chioma fatta di dreads con il suo scatto unico sembrava veramente di vedere un leone.
Nacque ad Amsterdam l’1 settembre 1962 e da giovane non riesce a essere notato dai grandi club passando tutta l’adolescenza tra i Meer Boys il Dws. Ad accorgersi di lui all’età di diciassette anni fu l’Haarlem, squadra che militava con qualche difficoltà in Eredivisie. Gullit debuttò in prima squadra con i rossoblu fin dalla stagione 1979-80 e nonostante la tenera età e la retrocessione a fine anno riuscì a mettersi in mostra segnando i suoi primi quattro gol da professionista. Nel nord del Paese ci rimase ancora due stagioni dove divenne decisivo prima per l’immediata promozione e poi per lo straordinario campionato in Eredivisie dell’anno successivo dove la squadra chiuse con un incredibile quarto posto. Ruud segnò in entrambi i casi ben quattordici gol e divenne il giocatore più ambito in Olanda nell’estate 1982 e ad accaparrarselo fu il Feyenoord che aveva voglia di interrompere il dominio dell’Ajax. Il Club del Sud dovette attendere ancora un anno prima di alzare al cielo qualche trofeo e nella stagione 1983-84 Gullit entrò in contatto con il suo grande idolo e maestro, quel Johan Cruijff che stupì il mondo intero decidendo di giocare per la squadra di Rotterdam. I due formarono una coppia d’attacco strepitosa con il vecchio e il bambino che davano spettacolo e che risultavano assolutamente imprendibili per le difese avversarie. La classe dell’Olandese volante e la straripanza atletica del Tulipano nero portarono in bacheca la doppietta campionato e Coppa d’Olanda con Gullit che venne nominato miglior giocatore del campionato. La sua fama cresceva sempre di più rendendolo popolarissimo in Olanda tanto che fin da giovanissimo divenne un punto fisso della nazionale, ma l’anno delle conferma fu molto sfortunata. Un brutto infortunio lo costrinse fermo ai box per metà del campionato e senza i suoi due giocatori migliori, Cruijff si era ritirato, il Feyenoord arrivò soltanto terzo e l’avventura del ragazzo con origini del Suriname a Rotterdam era finita.

A chiederlo e a ottenerlo nell’estate 1985 fu l’ambizioso Psv Eindhoven che in controtendenza con il classico calcio all’olandese faceva della solidità difensiva il suo marchio di fabbrica. Il portiere Van Breukelen e il libero Capitano Gerets formavano una diga difficilmente arginabile e Gullit rappresentava l’uomo perfetto per sfruttare al meglio ripartenze e contropiedi. Sotto la guida di Reker, Kraay e infine anche Guus Hiddinik visse le sue migliori stagioni dal punto di vista realizzativo. Ruud divenne una vera e propria macchina da gol non riuscendo mai a vincere la classifica marcatori solo perché all’Ajax giocava un certo Marco Van Basten. I suoi numeri però furono impressionanti con ventiquattro reti il primo anno e ventidue nel secondo, risultati mai più neanche lontanamente avvicinati in carriera. Non aveva una posizione vera e propria perché sapeva sempre dove mettersi per poter correre, saltare l’uomo e diventare devastante. Nei suoi due anni nella casa della Phillips vinse altrettanti campionati e nel 1986, dopo il secondo Mondiale consecutivo mancato dall’Olanda, gli venne affidata la fascia da Capitano della sua nazionale. Perché Simba non era solo una forza della natura ma era anche un uomo squadra, capace di trascinare i compagni cercando di metterli sempre nelle migliori condizioni per rendere quanto più possibile. Non amarlo era impossibile e rimase per sempre uno dei più grandi rimpianti della Juventus di Boniperti. Dopo un anno ad Eindhoven infatti venne acquistato dai bianconeri, ma la dirigenza non era ancora convinta e gli propose un anno di prestito all’Atalanta prima di passare a Torino. Ruud rifiutò e probabilmente con lui in squadra la Vecchia Signora non avrebbe iniziato un triste periodo di nove anni senza Scudetti.

Nel 1987 passò al Milan di Berlusconi che fece piazza pulita dei migliori campioni olandesi riuscendo ad accaparrarsi anche Van Basten per formare una coppia d’oro per quella che sarebbe diventata una squadra leggendaria. Con Sacchi in panchina le cose non iniziarono però nel migliore dei modi, con i rossoneri che non riuscivano a ingranare e la panchina del tecnico romagnolo che sembrava sempre più in bilico. Un discorso del presidente però risvegliò la squadra che si trasformò trascinata dal proprio campione che intanto era rimasto l’unico olandese, infatti il centravanti di Utrecht visse una stagione difficile con moltissimi problemi fisici. A dicembre arrivarono le votazioni per il Pallone d’oro e a trionfare fu il fenomeno di Amsterdam. Il Tulipano nero raccolse centosei voti contro i novantuno del portoghese Futre e i sessantuno di Butragueño venendo così nominato miglior giocatore d’Europa. Alzò al cielo il trofeo al cielo di San Siro il 3 gennaio 1988 in una delle più grandi partite del Diavolo. A Milano era arrivato il Napoli campione in carica di Maradona e una vittoria in casa dei rossoneri avrebbe praticamente voluto dire secondo successo nonostante mancasse ancora mezzo campionato. Gli Azzurri sembravano inarrestabili e dopo dieci minuti passarono in vantaggio con Careca, ma il Milan non si scoraggiò. Trascinato dal suo numero dieci non solo ribaltò la gara ma la dominò vincendo per 4-1 e l’olandese festeggiò il premio personale segnando la terza rete dove scartò anche Garella. Fu l’inizio di una rimonta fantastica che si concretizzò proprio nella gara di ritorno al San Paolo. Il 2-3 finale voleva dire sorpasso in classifica a sole tre partite dal termine e l’immagine della contesa fu la terza rete rossonera. Dopo aver servito già un assist a Virdis fu Simba ad azionare il turbo per il contropiede che chiuse la gara e davanti a Garella fu molto generoso perché invece di concludere preferì passare a Van Basten che a porta vuota non potè far altro che segnare il gol Scudetto. Al primo anno italiano Gullit era riuscito a vincere il campionato, un’impresa che ai rossoneri non riusciva da ben nove anni.

Il 1988 non fu però solo da dedicare al Diavolo, ma in quell’estate si sarebbe giocato anche l’Europeo in Germania Ovest. L’Olanda era tra le grandi attese ma nonostante avesse una squadra di primissimo livello veniva snobbata causa il suo passato poco felice nelle grandi competizioni. L’inizio infatti fu da dimenticare con la sconfitta contro l’Unione Sovietica, ma quello doveva essere il torneo degli Oranje e soprattutto era tornato a pieno regime Marco Van Basten. Il Cigno di Utrecht iniziò a segnare a raffica trascinando la squadra fino alla finale ancora una volta contro l’Urss a Monaco di Baviera dove arrivò anche la rete del Capitano. Fu Gullit a sbloccare la sfida con un magnifico colpo di testa tanto forte da sembrare essere fatto con i piedi. Il numero nove poi segnò una rete capolavoro per il 2-0 e il Tulipano nero fu il primo e per ora unico Capitano olandese ad aver alzato un titolo.
Per rendere eterna la sua carriera però mancava ancora il grande successo internazionale anche a livello di club. Per ironia della sorte nel 1988 fu proprio il suo ex Psv a vincere la Coppa dei Campioni, ma nella stagione successiva ci sarebbe stato anche il Milan. Fu un cammino travolgente ed esaltante quello della squadra di Sacchi con il numero dieci che iniziò in Bulgaria contro il Vitocha Sofia segnando la rete della tranquillità e dello 0-2. Il meglio però doveva ancora venire e quale partita migliore per entrare nella storia se non una col Real Madrid. Dopo l’ottimo 1-1 del Bernabéu a San Siro ci fu un tripudio rossonero e il 5-0 che venne mandato agli archivi entrò di diritto nella leggenda di questo sport. Gullit segnò la terza rete ancora con un colpo di testa e dopo una simile impresa la finale con la Steaua Bucarest sembrava una semplice formalità. Il popolo milanista, che aveva vissuto anche i difficili anni della Serie B, si riversò in massa al Camp Nou di Barcellona per l’ultimo atto e novanta mila cuori rossoneri spinsero la squadra a un altro trionfo. Il 4-0 ai rumeni fu tanto netto quanto insindacabile e il trionfo fu tutto a tinte arancioni. Due gol a testa per Van Basten e Gullit, ma il Tulipano nero sbloccò il risultato con un anticipo da grande centravanti e segnò la rete più bella della giornata con uno spettacolare collo destro dal limite dell’area imparabile per Lung. Vent’anni dopo l’ultima volta il Milan era campione d’Europa.

Il vertice era stato raggiunto, la vetta del mondo aveva le treccine e ballava a ritmo di reggaeton, ma tutto finì l’anno seguente. Un brutto infortunio al ginocchio gli permise di giocare solo due partite in tutta la Serie A 1989-90, ma rientrò per l’ultima parte di stagione giusto il tempo di giocare la finale vincente contro il Benfica e poter partecipare al Mondiale di Italia ’90. I campioni d’Europa furono la principale delusione della competizione e uscirono già agli ottavi di finale dopo aver passato il girone con tre pareggi. Gullit segnò contro l’Irlanda il suo unico gol nel più importante torneo per nazioni e quella nel Belpaese fu anche la sua unica partecipazione. I problemi fisici continuarono a tormentarlo e anche la convivenza con le regole ferree di Sacchi e Capello iniziarono a essere mal vissute. Con il tecnico friulano vinse altri due Scudetti, ma non più da protagonista, soprattutto il secondo dove visse la più grande delusione della carriera. In aperta polemica con il tecnico per lo scarso utilizzo venne escluso dai convocati per la finale di Coppa dei Campioni contro il Marsiglia e l’assenza di Simba si sentì a tal punto che i francesi riuscirono a sorpresa a vincere il titolo.
A fine anno passò così alla Sampdoria con tanta voglia di far capire che a trentun’anni poteva dare ancora tantissimo e a Genova rinacque. Venne accolto come un idolo dalla tifoseria blucerchiata e con Mancini formò un coppia strepitosa che lo portò a segnare quindici gol nella sola Serie A, un record per lui nel nostro campionato e numero superato solo negli anni di Eindhoven. I liguri furono la grande sorpresa del campionato chiudendo al terzo posto e Berlusconi insistette per riportarlo in Lombardia, ma con Capello le cose proprio non andavano. La sua seconda esperienza al Milan durò solo fino a ottobre prima di tornare ancora a infiammare il Ferraris. A fine anno lasciò l’Italia per andare in Inghilterra al Chelsea ma ormai non era più il giocatore di una volta. In un calcio atletico come quello britannico non riuscì a rendere al meglio e l’anno seguente iniziò il suo periodo da calciatore-allenatore anche se in quelle due stagioni decise di scendere in campo solo dodici volte e nel 1998 si ritirò definitivamente.
Forza fisica e prestanza atletica allo stato puro, mista a classe e una meravigliosa gioia di vivere il gioco più bello del mondo. Sport che è reso tale anche da campioni strepitosi come Ruud Gullit.

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