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Storia del Pallone d’oro: l’83, l’84 e l’85, Michel Platini

Eleganza, classe, dolcezza nel tocco di palla, maestoso e meraviglioso uomo dell’ultimo passaggio e giocatore in grado di segnare reti con punizioni telecomandate. Un’artista del pallone e un ambasciatore di quello che, grazie a leggende come lui, è diventato lo sport più bello del mondo. Platini era in grado di giocare ovunque nel campo, anche se la posizione che prediligeva era quello di regista facendo partire l’azione dalla propria trequarti. È incredibile pensare che un calciatore in grado di segnare così tanto in carriera in realtà prediligesse una posizione così arretrata e tanti dei suoi gol nascevano proprio da azioni iniziate da suoi lanci millimetrici. Perché si sà che i Re devono stare sempre al centro dell’attenzione e l’istrionico Michel voleva avere sempre tutto sotto controllo e con quel destro che si ritrovava la squadra non aveva mai nulla da obiettare.
Nacque a Jœuf nella regione del Grande Est della Francia vicino al confine con il Lussemburgo da una famiglia piemontese emigrata per aprire un ristorante e cercare fortuna. Fu il padre Aldo, professore di matematica e allenatore del Nancy, a contagiarlo con la passione per il calcio, meno con quella per gli studi. La madre Anna avrebbe voluto un figlio più attento alla scuola e meno al pallone, ma la sua passione fu tale che per tanti anni si divertì a firmarsi come “Peleatini“, in onore del suo grande idolo d’infanzia Pelé. Da ragazzino ebbe delle difficoltà a esprimersi e a quattordici anni subì un’enorme delusione. Venne convocato a Parigi per un concorso tra i migliori giovani della nazione ma il pessimo clima e il vento forte ne limitarono il rendimento tanto che, a detta sua, non riuscì mai a giocare un pallone buono e a fine giornata gli venne consigliato di fare il turista tra la Senna e la Tour Eiffel. L’amarezza fu tanta, ma questo lo fece concentrare ancora di più sul Jovicienne, la squadra di Jœuf, tanto da iniziare ad attirare le attenzioni di varie squadre nazionali. Alla fine fu il Nancy a convincerlo a firmare nel 1972 e dopo vari mesi giocati con la squadra delle riserve concluse la stagione con i grandi. Le prime cinque partite tra i professionisti furono esaltanti e Platini segnò due reti a Sedan e Lione venendo però schierato nell’isolito ruolo di ala sinistra. La posizione in campo però non era la classica del numero undici dell’epoca, ma piu simile a quella dell’interno di centrocampo e dalla stagione seguente divenne titolare. Les Chardons però vissero un’annata molto travagliata e anche Michel non riuscì a convincere tanto che a fine anno arrivò una clamorosa retrocessione. La squadra però non si perse d’animo e rialzò immediatamente la testa sempre sotto la guida tecnica di Antoine Redin. Per Platini però si iniziò a pensare a un’altra sistemazione e venne così avanzato in campo e portato a ridosso delle punte per poter sfruttare la sua capacità realizzativa. I diciassette gol di fine torneo permisero al Nancy un immediato ritorno tra i grandi di Francia e in Ligue 1 potè finalmente esprimere al meglio tutto il suo potenziale. La capacità di calciare da fuori area e le punizioni lo portarono a scalare le classifica dei marcatori come non era mai successo in passato a un centrocampista arrivando a segnare ventidue e addirittura venticinque reti nella stagione 1976-77, il suo record personale di sempre.

La nazionale intanto non poteva non accorgersi di lui e nel marzo 1976 debuttò a Parigi in un’amichevole contro la Cecoslovacchia e bagnò la sua prima volta con il tocco dell’artista. Da una punizione a due in area disegnò una parabola perfetta sotto l’incrocio dei pali che rese vano il tuffo del portiere Viktor. Era stata scritta solo la prima pagina di una fantastica storia d’amore con i Bleus. Nel 1976 e nel 1977 venne nominato miglior giocatore francese ma l’apice con i biancorossi non era ancora stato toccato. Il Nancy non era solito visitare i piani alti della classifica e già il quarto ottenuto nel ’77 era un risultato straordinario, ma nessuno avrebbe mai pensato di vincere trofei. Nel 1978 invece la squadra arrivò fino alla finale della Coppa di Francia per sfidare i rossoneri del Nizza. A Platini venne assegnata la maglia numero nove e pur una volta in carriera fu un centravanti strepitoso. Da un cross basso di Rubio dalla sinistra Michel stoppò la palla spalle alla porta, si girò eludendo la marcatura di Morabito e incrociò di sinistro facendo sbattere la sfera sul palo prima di infilare il portiere Baratelli. A inizio secondo tempo “Les Chardons” si erano portati in vantaggio e l’1-0 non si sarebbe più modificato. Quella sera divenne ufficialmente “Le Roi” e in quella Parigi che lo aveva scartato qualche anno prima alzò al cielo il suo primo trofeo. In estate però la Francia sarebbe tornata a disputare un Mondiale dodici anni dopo l’ultima volta, ma venne inserita in un girone infernale con Italia, Argentina e Ungheria. Qualche mese prima a Napoli era stata giocata un amichevole proprio contro gli Azzurri e Platini non dimostrò alcun segno di affetto nelle dichiarazioni verso la terra dei suoi genitori e ne dimostrò ancora meno in campo battendo Zoff con una sua classica punizione. In Sudamerica però l’avventura dei transalpini non fu delle più felici. Nella prima sfida proprio contro la Nazionale di Bearzot arrivò una sconfitta per 2-1 e il risultato venne ripetuto quattro giorni dopo contro l’Albiceleste. In questa circostanza arrivò la prima di rete del campione di Jœuf nella competizione con una ribattuta a seguito di un parapiglia in area, ma non servì a evitare la sconfitta. Nell’ultima e irrilevante partita contro l’Ungheria giocò solo il secondo tempo e il 3-1 finale fu una magra consolazione per una spedizione che avrebbe potuto essere ben diversa.
Intanto in Italia si inizava a parlare di riapertura delle frontiere per gli stranieri anche se non era ancora stata ufficializzata una data. L’Inter di Ivanoe Fraizzoli iniziò a trattare con Platini trovando un accordo per portarlo a Milano una volta che gli stranieri avrebbero potuto tornare a giocare in Serie A, ma alla fine non se ne farà più nulla. Tornato dal Mondiale giocò ancora una stagione con il Nancy prima di passare nel 1979 in quella che era considerata la super potenza di Francia: il Saint-Étienne. Quell’anno i Verdi acquistarono anche l’olandese Johnny Rep per provare a vincere quella tanto attesa Coppa dei Campioni solo sfiorata nel 1976. Il primo anno fu però avaro di emozioni, ben diverso rispetto alla stagione 1980-81. Con venti reti trascinò la squadra al decimo, e fino oggi ultimo, titolo locale rendendosi assoluto protagonista nella decisiva sfida contro il Bordeaux. I Girondini erano con il Nantes una delle due realtà che stava cercando di insediarsi tra Platini e il suo primo titolo di campione transalpino, ma nell’ultima giornata diventò l’uomo copertina del successo. Con una perfetta girata da centravanti in area di rigore e con un colpo di testa trafisse Delachet e il 2-1 finale mandò in estasi tutto il Geoffroy Guichard. Michel ce l’aveva fatta, era riuscito a salire sul tetto di Francia con un ruolo da assoluto protagonista. La stagione seguente fu la sua terza e ultima con la maglia del Saint-Étienne e i titoli sfuggirono sempre all’ultimo. In Ligue 1 arrivò il secondo posto a un solo punto dal Monaco campione, sebbene Le Roi riuscì a segnare ben ventidue reti, e in finale di Coppa di Francia furono i rigori a dare la vittoria al Paris Saint Germain. Platini disputò una gara eccelsa pareggiando il vantaggio di Toko e portando la sfida sul 2-1 nei tempi supplementari, ma quando ormai il titolo sembrava alla portata fu di Rocheteau il centro del 2-2 e ai rigori l’errore di Lopez regalò la vittoria ai parigini. Fu la sua ultima partita con la maglia Verde addosso, c’erano nuovi piani per lui all’orizzonte, ma prima non si poteva tralasciare la sua seconda Coppa del Mondo. In Spagna indossò la fascia da Capitano al braccio e nonostante qualche difficoltà iniziale i Galletti riuscirono a passare il primo turno e Platini andò a segno nel trionfale 4-1 sul Kuwait. Il secondo posto però permise a sorpresa di avere un turno successivo abbordabile e le vittorie su Austria e Irlanda del Nord spianarono la strada verso la semifinale. A Siviglia ci fu la storica sfida contro la Germania Ovest, una partita che è rimasta in maniera indelebile nella storia del calcio. Dopo il vantaggio di Littbarski fu proprio un rigore del Capitano a spiazzare Schumacher e a pareggiare i conti. Si andò ai supplementari e Le Roi salì in cattedra con una prestazione maiuscola e le reti di Tresor e Giresse sembravano poter aprire le porte alla prima finale francese di sempre. Rummenigge e Fischer però riuscirono a pareggiare e ai rigori gli errori di Six e Bossis furono fatali. Michel uscì dal campo in lacrime certo di aver perso quella che poteva essere la sua più grande occasione per diventare campione del mondo.

Nonostante i precedenti accordi presi con l’Inter finito il Mondiale venne acquistato dalla Juventus. Non si chiarì mai fino in fondo la situazione, ma la presenza in nerazzurro di Hansi Müller e Juary bloccava ogni possibile casella per i giocatori stranieri. A Torino furono ben felici di accoglierlo, anche se i primi mesi furono tormentati. Il ritardo di condizione dovuta alla fine della Coppa del Mondo e un difficile ambientamento con il nuovo campionato lo fecero andare al piccolo trotto nel girone d’andata, ma una volta prese le misure con la Serie A tutto cambiò. La Roma ormai aveva preso il volo verso il suo secondo titolo, ma le punizioni del francese lo portarono a fine anno a quota sedici gol che bastarono per diventare il capocannoniere del campionato. In Coppa dei Campioni arrivò un altro amaro secondo posto con la sconfitta in finale contro l’Amburgo dopo che Michel era stato assoluto protagonista del quarto di finale contro i campioni in carica dell’Aston Villa dove realizzò una doppietta. La sua prima stagione venne resa meno amara quando la Juventus riuscì a ribaltare nella gara di ritorno la finale di Coppa Italia. All’andata il Verona aveva vinto 2-0, ma al Comunale non aveva fatto i conti col numero dieci di Jœuf. Dopo l’iniziale vantaggio di Rossi fu Platini a trasformarsi da centravanti d’area segnando una doppietta da opportunista e alzando così il suo primo trofeo italiano. La consacrazione anche in un campionato diverso da quello francese aveva elevato ancora di più la sua nomea di campione e a fine anno arrivò il tanto atteso e meritato Pallone d’oro. Non ci fu nemmeno una vera e propria contesa con lo juventino che sbaragliò la concorrenza con centodieci voti, lasciando le briciole a Kenny Dalglish, fermo a ventisei, e Allan Simonsen, con venticinque.
Platini era ormai diventato un immortale del calcio, ma la sua voglia di primeggiare non si era certo fermata, anzi crebbe ancora di più quando in Italia arrivò all’Udinese un fenomeno come Zico. Il 1983-84 viene ricordato come una delle stagioni più esaltanti del campionato italiano e sicuramente la migliore per il transalpino. Con le venti reti di fine anno, record per lui nel Belpaese, si confermò capocannoniere del campionato e simbolo di quel trionfo fu una sua magistrale punizione all’incrocio dei pali nella sfida Scudetto di Torino contro la Roma. Impossibile per Tancredi arrivarci, come fu impossibile per i giallorossi tenere il ritmo dei bianconeri e dopo la Francia era stata conquistata anche l’Italia. A fine stagione arrivò anche il primo successo internazionale con la Juve che sconfisse in finale di Coppa delle Coppe il Porto e Michel si potè preparare al meglio per l’Europeo casalingo. Rare volte un giocatore si rivelò tanto dominante e decisivo in un torneo come lo fu Le Roi nelle cinque partite dell’estate 1984. I Bleus sapevano di avere una grande rosa che finalmente poteva aspirare a vincere e avevano un grande Capitano, ma nessuno poteva immaginare un andamento del genere. Nel girone iniziale furono spazzate via Danimarca, Belgio e Jugoslavia sotto la valanga di nove reti, sette delle quali segnate proprio da Platini. Un vero e proprio carrarmato inarrestabile che diede il meglio di sè contro i balcanici dove realizzò una tripletta, dopo quella contro i belgi, segnando in tutti i modi possibili. Destro, sinistro, colpo di testa, per lui era indifferente e si arrivò così alla semifinale contro il Portogallo. I lusitani furono l’avversario più ostico per i Galletti e portarono la sfida fino ai tempi supplementari ma quando i calci di rigore sembravano alle porte ecco la zampata del campione. Da un’azione complicata e confusa la palla arrivò sui piedi del numero dieci che stoppò e di potenza calciò sotto la traversa segnando il 3-2 che voleva dire finale. Contro la Spagna c’era già l’aria della grande festa e non volle rovinarla neppure il portiere iberico Arconada che sbagliò l’intervento su una punizione di Le Roi regalando così l’1-0 francese e Michel potè festeggiare il nono gol nella competizione, un record che rimane ancora oggi imbattuto nella storia dell’Europeo. Per la prima volta un Capitano francese alzò al cielo un trofeo internazionale e lo fece davanti alla propria gente dopo essere stato un autentico trascinatore. Inutile pensare che il Pallone d’oro potesse cambiare proprietario e con centoventotto voti concesse il bis, staccando il compagno di nazionale Tigana fermo a cinquantasette e il danese Elkjær Larsen a quarantotto.

Platini aveva scritto per sempre il proprio nome tra gli inarrivabili del calcio, ma lui e la Juventus erano ancora alla ricerca della tanto desiderata Coppa dei Campioni. Nella stagione 1984-85 la Vecchia Signora fu spesso distratta dagli impegni internazionali tanto che le diciotto reti finali del francese, ancora una volta capocannoniere del torneo, valsero solo il sesto posto. Fu in Europa però che la storia si ribaltò completamente e i ragazzi di Trapattoni furono inarrestabili. Assieme a Boniek il ragazzo di Jœuf disputò una Coppa strepitosa raggiungendo l’apice quando in semifinale contribuì con una gara eccezionale a eliminare i connazionali del Bordeuax realizzando la rete del definitivo 3-0 al Comunale. Il 29 maggio all’Heysel di Bruxelles si giocò la finale contro il Liverpool ma in quella notte il calcio fu solo un marginale e sgradito contorno. Il crollo del muro di una parte dello stadio portò alla morte di trentanove tifosi, ma nonostante la tragedia si decise di giocare. Un rigore realizzato proprio da Michel diede ai torinesi la loro prima storica affermazione nella più prestigiosa Coppa internazionale, ma da festeggiare ci fu ben poco. Le lacrime e la tristezza dovevano però essere accantonate e dopo i successi in Europa con nazionale e club era tempo di prendersi il mondo. A dicembre del 1985 i bianconeri volarono in Giappone per giocare contro l’Argentinos Juniors la finale di Coppa Intercontinentale e il francese incantò anche la terra del Sol Levante. Con una partita straordinario venne nominato indiscutibilmente miglior giocatore della partita ma avrebbe potuto diventare ancora più storica se l’arbitro Volker Roth non avesse deciso incredibilmente di annullare per presunto gioco pericoloso uno dei gol più belli di sempre di Le Roi. Dopo aver stoppato di petto superò con un sombrero Pavoni e al volo di collo sinistro incrociò sul secondo palo battendo Vidallé, ma la sublime giocata venne considerata irregolare. Riuscì comunque a segnare prima su rigore nei tempi regolamentari e dopo il 2-2 mise in porta il quinto e decisivo tiro dagli undici metri che portò la Juve in cima al mondo. Per la prima volta nella storia un giocatore vinse per tre anni consecutivi il Pallone d’oro e il successo permise di agganciare il record assoluto di Johan Cruijff. Ancora una volta il trionfo fu netto e i centoventisette voti permisero di staccare nettamente i settantuno di Elkjær Larsen e i quarantasei di Schuster.
A trentun’anni Platini era ancora in cima al mondo e sembrava destinata a restarci ancora per tanto e nel 1986 fu ancora uno degli uomini determinanti per il successo della Juventus in Serie A. Mancava solo un titolo alla sua strepitosa carriera e dopo aver trionfato nel mondo con il club serviva la vittoria in nazionale. La Francia campione d’Europa in carica era una delle grandi favorite anche se iniziava ad avere molti giocatori di età avanzata. Due vittorie e un pareggio non bastarono per arrivare in vetta al girone grazie alla miglior differenza reti dell’Unione Sovietica e così agli ottavi di finale a Città del Messico si giocò l’attesissima sfida con i campioni in carica dell’Italia. Bearzot decise di mettere Beppe Baresi in marcatura a uomo sul numero dieci che però era in una delle sue giornate migliori. Dopo soli quattordici minuti si incuneò nella difesa Azzurra dopo un bel passaggio di Rocheteau e trafisse Galli in uscita. Nella ripresa arrivò il raddoppio di Stopyra e i Galletti passarono ai quarti per affrontare il Brasile. Ancora una volta ci sarebbe stata una storica sfida contro Zico ma a sbloccare il punteggio fu Careca per i Verdeoro. Il Capitano transalpino però appoggiò di sinistro la comoda palla del pareggio per l’1-1 che portò la sfida ai rigori. Dal dischetto il numero dieci incredibilmente calciò alto, ma gli errori di Sócrates e Júlio César permisero comunque l’eliminazione della Seleçao. La semifinale era stata conquistata ma l’errore aveva segnato l’animo orgoglioso del Re ferito. Ancora una volta ci fu la sfida con la Germania Ovest ma questa volta i teutonici vinsero con un netto 2-0 e la scalata al trono del mondo si fermò ancora una volta a un passo dalla finale. Provò a rigettarsi sulla Juventus ma la stagione 1986-87 stava incoronando Diego Armando Maradona come nuovo simbolo del calcio mondiale e della Serie A e capendo che ormai non poteva essere più il migliore a sorpresa a fine anno decise di ritirarsi.
Pochi nella storia hanno lasciato un’impronta così netta nel calcio e pochi hanno potuto essere decisivi per così tanti anni. Uomo d’ordine del centrocampo dal passaggio illuminante e spietato uomo gol capace di trasformare in oro anche i palloni più difficili. Delle qualità che in pochissimi possono avere e che sono dei privilegi che sono concessi solo ai Re, come lo è stato Le Roi Michel Platini.

Francesco Domenighini

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