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Storia del Pallone d’oro: il ’99, Rivaldo

Tecnica, potenza fisica e rappresentazione perfetta dell’attaccante brasiliano capace di segnare grandi quantità di gol facendo in modo che non manchi mai lo spettacolo. Il sinistro era la sua arma preferita che sapeva essere dolce e delicato oppure poteva scagliare dei veri e propri missili. Ha fatto parte di uno dei tridenti più devastanti del calcio mondiale, forse è sempre stato sottovalutato e dimenticato maggiormente rispetto agli altri suoi colleghi, ma nei suoi anni d’oro Rivaldo è stato l’emblema del calcio offensivo.
Nacque a Recife nello Stato del Pernambuco in una delle varie povere Favelas della città e questo lo segnò per sempre nello spirito ma soprattutto nel fisico. Erano rare le volte che il piccolo Vítor poteva mangiare sia a pranzo che a cena e così crebbe con vari problemi di nutrizione che lo portarono ad avere problemi alle ossa delle gambe e alla perdita di alcuni denti. Eppure questi problemi non gli pesavano quando doveva giocare a calcio e così nel 1989 firmò il suo primo contratto da professionista con il Paulista giocando così nella seconda serie. La gavetta fu lunga anche perché il fisico estremamente gracile e quella gamba curva non promettevano nulla di buono e così fino a vent’anni girovagò nelle serie minori vestendo anche le maglie del Santa Cruz e del Mogi Mirim. Il ragazzo però aveva talento da vendere e stava riuscendo a far ricredere anche i più scettici e nell’estate del 1993 riuscì a fare il tanto atteso salto di qualità venendo acquistato dal Corinthians. In bianconero segnò con una buona regolarità tanto da guadagnarsi dopo pochi mesi la prima convocazione in nazionale per giocare un’amichevole contro il Messico e fu subito gol. Il colpo di testa non era certo la sua specialità ma quell’incornata che valse lo 0-1 finale a Guadalajara non se la scordò mai. Nonostante il felice debutto e le buone prestazioni in campionato non fece parte della spedizione per il Mondiale negli Stati Uniti ma quell’estate fu comunque cruciale per la sua carriera dato che si concretizzò il passaggio agli acerrimi rivali del Palmeiras. L’impatto con i Verdão fu devastante e fu l’uomo in più per la vittoria del campionato 1994. Nei playoff per l’assegnazione del titolo segnò una doppietta in semifinale contro il Guaraní che permise alla squadra di approdare in finale proprio contro il suo ex Corinthians. Rivaldo però non si fece prendere dai ricordi e dalla compassione e nel derby d’andata fu decisivo segnando una doppietta di classe e potenza. Prima si involò in area di rigore, saltò Ronaldo e appoggiò in rete a porta vuota e nella ripresa si ripetè rubando palla a Branco al limite dell’area e sorprese il portiere con un esterno sinistro da posizione molto angolata. I Pappagalli avevano vinto per 1-3 la prima sfida, ma il ritorno si mise male con Marques che portò subito in vantaggio il Timão. La tensione e la paura di perdere un titolo che sembrava già vinto cresceva ma fu ancora una volta il centravanti di Recife a chiudere la contesa con un sinistro ravvicinato dopo una grande azione di Edmundo. A ventidue anni Vítor era diventato grande risultando il simbolo della squadra campione del Brasile e a fine anno venne nominato miglior giocatore del torneo.

Rimase ancora per due anni al Palmeiras, diventando un punto fisso della Seleçao che stava vivendo un importante passaggio generazionale. Dopo che nel 1996 prese parte alle Olimpiadi di Atlanta, contribuendo alla vittoria della medaglia di bronzo, capì che era giunto il momento di lasciare San Paolo e il suo Brasile per trasferirsi in Europa, destinazione Spagna. Ad accoglierlo a braccia aperte fu il Deportivo la Coruña e l’impatto fu subito da campione. Furono ventuno le sue marcature che contribuirono a portare i biancoblu a uno straordinario terzo posto finale dietro alle corazzate Real e Barcellona. Durò solo un anno la sua esperienza in Galizia perché, dopo aver ceduto Ronaldo all’Inter, furono proprio i blaugrana ad acquistarlo. Rimpiazzare il Fenomeno non era certo un’impresa facile per nessuno ma il numero undici non sentì minimamente la pressione e contribuì a un’annata magica per i catalani. Con Figo nacque un’intesa pazzesca e con due campioni del genere era impossibile non divertirsi. Il Barça stravinse la Liga arrivando primo con ben nove punti di vantaggio sulla sorpresa Athletic Bilbao e con i ventotto gol di fine stagione Rivaldo fu il marcatore principe della squadra. Non solo in campionato ma anche in Copa del Rey l’undici girava alla perfezione e nella finale di Valencia contro il Maiorca fu proprio il brasiliano con un piatto sinistro a pareggiare il vantaggio di Stanković mandando la sfida ai rigori. Fu una serie interminabile con i due fenomeni di lingua portoghese che si fecero neutralizzare le loro conclusioni da Roa, ma alla fine la Coppa prese la direzione del Camp Nou.
In estate si sarebbe giocato l’attesissimo Mondiale in Francia e il Brasile era tra le grandi favorite. Assieme a Bebeto e Ronaldo formava un tridente eccezionale, ma Vítor sentì probabilmente per la prima volta la pressione. Riuscì a far vedere appieno il suo immenso talento solo nel quarto di finale contro la Danimarca quando segnò una doppietta con un dolce scavetto eludendo l’uscita di Schmeichel e poi con una sassata all’angolino da fuori area, ma per il resto poco altro. Anche lui fu tra gli impalpabili nella disastrosa finale contro la Francia e il secondo posto fu un’amara conclusione. La delusione andava presto dimenticata e a Barcellona era l’anno del centenario e non si poteva non festeggiare a fine anno. I catalani concessero il bis con un’altra Liga e il brasiliano stabilì il suo personale record in carriera in campionato andando a segno per ben ventiquattro volte. Quell’anno fu immarcabile e il meglio se lo era tenuto per l’estate. In Paraguay infatti si sarebbe giocata la Copa América e la voglia di rivalsa dei Verdeoro era tanta. Il Brasile sbaragliò la concorrenza e per una volta Ronaldo venne oscurato dal compagno. Rivaldo giocò un torneo strepitoso in continuo crescendo e dopo aver segnato solo nel 7-0 contro Venezuela nella fase gironi si scatenò quando la posta crebbe. Nel quarto di finale contro l’Argentina pareggiò i conti con una perfetta punizione all’incrocio e contro il Messico in semifinale trovò il raddoppio con una terrificante sassata da oltre venti metri. In finale ad Asunsción ci sarebbe stata la sfida contro l’Uruguay, ma al Defensores del Chaco non ci fu mai partita. In sette minuti il numero dieci segnò una doppietta prima con una spizzata di testa e poi saltò Lembo con uno stop di suola e trafisse Carini con un dolce pallonetto. La Seleçao era campione del Sudamerica e il campione di Recife ne era il suo simbolo. Le grandi prestazioni con il club e con la nazionale non potevano essere certo dimenticate e a fine anno France Football lo nominò miglior giocatore d’Europa con duecentodiciannove voti contro i centocinquantaquattro dell’inglese Beckham e i sessantaquattro dell’ucraino Shevchenko.

Ora poteva guardare tutti i suoi colleghi dall’alto verso il basso ma le cose iniziarono lentamente a peggiorare. Il suo rendimento era sempre eccezionale ma nella stagione 1999-00 ebbe vari problemi con l’allenatore Van Gaal per la sua posizione in campo, ma per sua fortuna a fine anno l’olandese venne allontanato. Nonostante questo divenne capocannoniere della Champions League con dieci reti anche se il Barcellona si fermò in semifinale. I blaugrana non erano più quella squadra dominante e l’addio di Figo si fece sentire. Con la colonia olandese arrivata al Camp Nou riuscì però a instaurare un grande rapporto, soprattutto con il suo compagno d’attacco Patrick Kluivert e nel 2001 sfiorò il suo record di segnature arrivando a quota ventitre ma realizzando probabilmente il gol più bello della carriera. Nell’ultima giornata contro il Valencia con il risultato sul 2-2 stoppò di petto la palla e dal limite dell’area senza pensarci fece una rovesciata perfetta che fu imparabile per Cañizares. Una perla di rara bellezza che diede ai catalani la qualificazione alla Champions League proprio ai danni dei Pipistrelli. Fu il suo ultimo grande acuto a livello di club perché i problemi fisici iniziarono ad attanagliarlo e nel 2001-02 scese in campo solo in venti occasioni segnando la miseria di otto reti, ma in estate c’era un Mondiale da giocare. Questa volta la storia fu ben diversa rispetto a quattro anni prima e a completare il tridente c’era Ronaldinho al posto di Bebeto. Rivaldo fu una macchina da gol implacabile segnando in tutte le prime cinque partite del torneo, anche se si macchiò di una triste simulazione nella prima partita contro la Turchia che costò l’espulsione a Ünsal. Fu nelle gare contro Belgio e Inghilterra che diede il meglio di sè riuscendo a dare coraggio a una squadra che sembrava spaventata della posta in gioco che cresceva. Contro i Diavoli Rossi sbloccò la partita con un grande destro da fuori area, mentre contro la nazionale dei Tre Leoni concluse una perfetta ripartenza di Ronaldinho incrociando con il piatto sinistro e battendo Seaman per l’1-1 che diede il via alla rimonta sudamericana. Non segnò nelle ultime due sfide, ma nella finale contro la Germania fu decisivo giocando una partita eccezionale e aiutando Ronaldo nella doppietta. Fu suo infatti il violentissimo e insidioso sinistro da fuori area che Kahn non riuscì a trattenere per l’1-0 e fu ancora sua la perfetta finta di corpo che spiazzò la difesa teutonica per il raddoppio del Fenomeno. Sotto il cielo di Yokohama il Brasile era diventato per la quinta volta nella sua storia campione del mondo e Rivaldo ne era stato suo grande protagonista.

La vittoria in terra d’Asia aveva scaricato del tutto le pile del ragazzo Recife e ad accorgersene fu il Barcellona che in estate lo cedette al Milan. In rossonero arrivò carico di speranze e di aspettative, ma fu un buco nell’acqua. Non riuscì mai a trovare una vera e propria collocazione tattica non coesistendo nè con Inzaghi e nè con Shevchenko. Ancelotti per vari mesi provò a dargli fiducia, ma alla fine ci rinunciò e un anno dopo essere diventato campione del mondo da trascinatore si laureò campione d’Europa con il Diavolo ma rimanendo in panchina per tutti i centoventi minuti della finale contro la Juventus. Rimase anche per la stagione 2003-04 ma l’esplosione del giovane Kaká lo bloccò completamente e a novembre tornò in patria al Cruzeiro. L’Europa però aveva ancora voglia delle sue giocate e così fu l’Olympiakos a chiamarlo per fargli vivere tre anni da re dalle parti di Atene. In biancorosso era la stella incontrastata della squadra e in un calcio lento e non troppo tecnico come quello greco fece faville vincendo tre campionati e due Coppe di Grecia venendo nominato per due volte miglior giocatore dell’anno. Giocò per un anno anche per i rivali dell’Aek Atene prima di vincere anche in Uzbekistan con il Bunyodkor e provare varie esperienze in piccole realtà brasiliane e addirittura giocando un anno in Angola nel Kabuscorp. Si ritirò a quatantre anni nel 2015 con la maglia del piccolo Mirim.
Potenza e spietatezza sotto porta al servizio di un sinistro incantato con il quale poteva fare quello che voleva. Cannoniere infallibile e anche grande ispiratore per i compagni, la rappresentazione dell’attaccante ideale, la rappresentazione di Vítor Borba Ferreira, per tutti Rivaldo.

Francesco Domenighini

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