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Storia del Pallone d’oro: il ’97 e il ’02, Ronaldo

Se si dovesse descrivere con una sola parola quello che è stato Ronaldo nei suoi anni d’oro probabilmente si dovrebbe usare “perfezione“, perché il brasiliano aveva davvero tutto quello che serve per rappresentare il giocatore ideale. Scatto fulmineo, dribbling secco, con il doppio passo suo grande alleato, spietatezza sotto porta e grande capacità di dialogare con i compagni esaltandone le loro doti. Una vita sregolata però lo ha reso molto incline a infortuni, prima solo di natura muscolare e poi anche di tipo ben più grave, che lo hanno via via umanizzato facendolo diventare per la maggior parte della sua carriera un grande centravanti di area di rigore ma non più quell’essere devastante che era un tempo.
Nacque a Rio de Janeiro nel quartiere Bento Ribeiro e inizialmente al calcio a undici preferì il futsal e probabilmente fu proprio praticando questo sport che riuscì a sviluppare una tale abilità nel gioco stretto. Passò allo sport più noto e praticato giocando nelle giovanili del São Cristóvão ma nonostante Rio pullulasse di grandi squadre, nessuna scommise su di lui e partì per Belo Horizonte, destinazione Cruzeiro. Giocò nelle giovanili solo per una stagione prima che il suo immenso talento venisse notato anche dalla prima squadra che lo fece debuttare a soli diciassette anni. Fin da subito Ronaldo dimostrò di essere ispirato se aveva la possibilità di partire dalla propria trequarti e liberare la sua falcata tanto che divenne subito un’icona del campionato brasiliano. Nella prima stagione segnò dodici reti in quattordici gare, ma fu la seconda quella della consacrazione. Nel campionato Mineiro andò a segno per ben ventidue volte, ma fu in Copa Libertadores che realizzò il primo dei suoi tanti gol da fenomeno. In una sfida contro il Boca Juniors prese palla a centrocampo e partì scartando come se nulla fosse tutta la difesa argentina, compreso il portiere Montoya, prima di depositare in rete. Era nata una stella tanto che Parreira nel marzo 1994 lo chiamò per la prima volta in nazionale e a giugno fece parte della Seleçao che partì per il Mondiale negli Stati Uniti. Fu considerato un po’ la mascotte della squadra per la sua giovanissima età e chiuso da campioni come Bebeto e Romário si laureò campione del mondo senza mai giocare.

In Brasile si era già fatto un nome importante e l’Europa lo stava aspettando a braccia aperte. Alla fine della competizione più importante per nazioni fu il Psv Eindhoven ad acquistarlo rinnovando la sua grande tradizione di giocatori carioca dopo aver avuto per tanti anni Romário. La vita tra la calda Rio e la fredda Olanda non era proprio la stessa e chiunque avrebbe avuto bisogno di un periodo di inserimento, ma non il Fenomeno. In biancorosso iniziò a segnare valanghe di gol, peccato che la squadra non aveva nemmeno lontanamente il valore del proprio campione sudamericano. I trenta gol di fine anno lo elevarono a capocannoniere della Eredivisie, ma nonostante questo i “Boeren” chiusero solo al terzo posto ben lontani dall’Ajax campione. La seconda stagione fu senza dubbio molto più travagliata e complicata perché i problemi al ginocchio iniziarono a tormentarlo e giocò la miseria di tredici partite, ma andando a segno con la pazzesca media di dodici reti. L’infortunio non gli aveva permesso di essere in campo neppure dal primo minuti in occasione della finale di Coppa d’Olanda vinta contro lo Sparta Rotterdam, ma il suo tempo in casa Phillips era stato fatto.
Nell’estate 1996 passò al ben più blasonato Barcellona dove distrusse ogni record possibile e immaginabile. In Catalogna visse la sua miglior stagione in carriera risultando assolutamente inarrestabile, una vera macchina da gol e un trascinatore in campo. Togliergli la palla era praticamente impossibile e furono rarissime le giornate buie per Ronaldo in quell’anno tanto che alla fine dell’anno realizzò trentaquattro reti nella sola Liga e quarantasette totali in stagione, il rendimento migliore di sempre in carriera. Incredibilmente però il titolo di campione di Spagna andò al Real Madrid ma il Barça potè consolarsi con le due Coppe, in particolare in Europa. I blaugrana erano impegnati in Coppa delle Coppe e arrivarono fino alla finale dove affrontarono i francesi del Paris Saint Germain. Fu una partita molto ruvida e a sbloccarla poteva essere solo la giocata del Fenomeno. Presa palla in area di rigore puntò in velocità N’Gotty che venne preso in contropiede e non trovò modo migliore per fermarlo se con una sconsiderata e fallosa scivolata. Il calcio di rigore fu netto e indiscutibile e dagli undici metri andò proprio il brasiliano che spiazzò Lama e l’1-0 finale bastò ai catalani per vincere il trofeo continentale. Quella però era anche l’estate della Copa América in Bolivia e l’altitudine limitò molte stelle di quel torneo ma non Ronnie. Nel primo turno si limitò a liquidare il Costa Rica con una doppietta e ai quarti di finale fu l’assoluto protagonista contro il Paraguay. Il risultato venne sbloccato da una sua strepitosa sgroppata dalla trequarti e  non appena incrociò con il destro non diede nemmeno il tempo di buttarsi a Chilavert. Il raddoppio fu sempre del numero nove, questa volta con un piatto destro aspettando l’uscita del portiere e il passaggio del turno fu garantito. Il 29 giugno a La Paz si giocò la finale contro i padroni di casa boliviani che sfruttarono l’abitudine all’altura per sopporire agli evidenti limiti tecnici. Il primo tempo finì sull’1-1 e in molti pensavano a un possibile trionfo de “La Verde“, ma non avevano ancora fatto i conti con Ronaldo. Denílson lanciò il suo centravanti che si smarcò della marcatura di Peña e calciò al volo un missile di sinistro che si infilò sotto al sette rendendo inutile il volo di Trucco. Nel finale Zé Roberto chiuse definitivamente i conti con il Brasile che era diventato campione del Sudamerica e il Fenomeno che venne nominato miglior giocatore della competizione. Tutto il mondo si era innamorato di questo fuoriclasse e sembrava destinato a dover scrivere la storia a Barcellona, ma il suo idillio d’amore durò solo un anno. Alla fine del torneo continentale l’Inter di Massimo Moratti fece follie per acquistarlo, ma alla fine riuscì a portarlo a Milano scatenando una vera e propria RonaldoMania. Il suo impatto con la Serie A fu come al solito devastante e a dicembre France Football lo nominò miglior giocatore d’Europa. Non ci fu nemmeno un minimo di pathos e di dubbio perché i suoi duecentoventidue voti spazzarono via i settantadue di Mijatović e i sessantatre di Zidane.

Festeggiò il Pallone d’oro alzandolo in una notte dove San Siro era strapieno in occasione del Derby d’Italia con la Juventus vinto alla fine dai nerazzurri dove il brasiliano ispirò la rete decisiva di Djorkaeff con una straordinaria giocata sulla destra. I venticinque gol segnati a fine anno però non bastarono per vincere il Tricolore con l’Inter che chiuse al secondo posto non senza polemiche. Nella sfida decisiva per il titolo a Torino contro i bianconeri un netto intervento di Iuliano sul Fenomeno non venne sanzionato con la massima punizione facendo scattare i nervi della panchina meneghina e del sudamericano stesso che a fine partita mostrò tutto il suo disappunto. in Europa però la storia era ben diversa e i nerazzurri fecero un cammino da squadra davvero pazza. Contro Lione e Strasburgo sembravano destinati all’eliminazione dopo le pesanti sconfitte nelle gare di andata, ma riuscirono sempre a rimontarle grazie a un Ronnie ispiratissimo che divenne leggendario nelle ultime due partite. Il 2-1 di San Siro contro lo Spartak Mosca non lasciava del tutto tranquilli in vista del ritorno in Russia e il campo fangoso e ai limiti della praticabilità avrebbe potuto rappresentare un ostacolo per la banda di Simoni. Fu di Tikhonov infatti a siglare la rete dell’1-0, ma i lombardi avevano dalla loro parte il migliore al mondo. Prima segnò con un destro a seguito di una corta respinta della difesa di casa e nella ripresa con un’incursione in area dove scartò il portiere Filimonov e appoggiò in rete per l’1-2 che volle dire finale. A Parigi si sarebbe disputata una sfida tutta italiana contro la Lazio e i nerazzurri schiantarono l’ottimo rivale con un perentorio 3-0 dove Ronaldo fece il bello e il cattivo tempo. Se nella prima frazione fu la traversa a negargli una straordinaria rete da fuori area nel secondo arrivò il suo definitivo sigillo quando lanciato da Moriero saltò con un doppio passo Marchegiani e mise in rete il 3-0 che voleva dire Coppa Uefa. Fu nominato miglior giocatore della finale e ad attenderlo in estate ci sarebbe stato il suo secondo Mondiale, questa volta da assoluto protagonista. In Francia dimostrò ancora una volta perché era considerato il miglior giocatore disputando un fantastico torneo e sviluppando una grande intesa con Bebeto e Rivaldo. Andò a segno nel girone contro il Marocco e fu l’uomo in più per il passaggio dei turni contro Cile e Olanda e il 12 luglio si giocò la finale contro i padroni di casa. La sera prima però ebbe un malore così forte e così violento che in un primo momento i compagni pensarono al peggio e che fosse morto. Fortunatamente così non fu ma quella turbolenta e dannata nottata costò caro a tutta la squadra Verdeoro. Sembrò dover essere escluso dalla partita, ma alla fine venne schierato dal primo minuto ma non fu lui. Sempre fuori dal gioco e lontano anni luce dai suoi standard e a risentirne fu tutta la squadra. I Galletti vinsero per 3-0 e di quella straordinaria cavalcata non restò che un triste e amaro secondo posto.
Tornato da quella competizione sembrava un uomo diverso, non più il volto sereno e felice di chi viveva per questo sport, ma bensì solo un calciatore. Gigi Simoni lo ha sempre raccontato come uno poco incline all’allenamento, ma dopo il Mondiale sembrò quasi rendersi conto che non poteva vivere di solo calcio e furono più le sue comparse nei locali notturni di Milano che quelle in campo. Nel 1998-99 si vide solo in diciannove partite giocando molto male le gare di Champions League e venendo addirittura sostituito a inizio secondo tempo nel decisivo quarto di finale contro il Manchester United e l’Inter, costruita come una corazzata, si sfaldò concludendo con un umiliante ottavo posto. Ritrovò parzialmente il sorriso in estate perché con la Seleçao vinse la sua seconda Copa América. La copertina principale questa volta se la prese l’amico Rivaldo ma Ronaldo tornò a livelli eccelsi realizzando cinque reti a fine torneo compresi il fantastico destro da fuori area che permise di ribaltare il quarto di finale con l’Argentina e il sinistro al volo per chiudere i conti nella finale con l’Uruguay. Il suo gioco ora però era profondamente cambiato e le sue percussioni divennero sempre più rare, mentre decise di concentrarsi solo ed esclusivamente sulla fase realizzativa. L’Inter intanto aveva cambiato allenatore chiamando Marcello Lippi, ma le cose peggiorarono sempre di più. In una partita al Meazza contro il Lecce si lesionò il tendine rotuleo che venne operato e si lacerò completamente il giorno del suo ritorno in campo nella finale di Coppa Italia contro la Lazio. Quello che lasciò colpiti maggiormente è che in entrambi i casi non subì mai dei traumi a seguito di scontri di gioco. A ventiquattro anni sembrava dover chiudere la carriera e ci volle più di un anno per rivederlo in campo. La Beneamata intanto era passata sotto la guida tecnica dell’argentino Cúper il quale non riusciva a creare un grande rapporto col Fenomeno. La stagione del rientro fu ancora ricca di problemi fisici, ma fu una gioia vederlo tornare a segnare nel dicembre 2001 al Rigamonti di Brescia. Una sua doppietta nella gara di ritorno contro lo Rondinelle sembrò spianare la strada al quattordicesimo Scudetto interista, ma nel pomeriggio del 5 maggio contro la Lazio accadde l’impensabile. La banda dell’Hombre Vertical si sciolse come neve al sole e il 4-2 dei biancocelesti consegnò il titolo alla Juventus. Quando venne sostituito per far spazio a Kallon capì che anche questa volta non avrebbe vinto il titolo nazionale e scoppiò in lacrime. Nessuno poteva immaginarlo ma questa sarebbe stata l’ultima immagine del Fenomeno in maglia nerazzurra.

In estate però ci sarebbe stato il suo terzo Mondiale e nonostante i problemi per Scolari non vi erano dubbi su chi avrebbe dovuto essere il titolare. Nei suoi altri tornei per nazioni era solito partire con il freno a mano tirato per poi ingranare in occasione delle grandi sfide, ma in Asia già nel girone segnò in tutte le partite contro Turchia, Cina e Costa Rica. Faticò di più contro Belgio, dove di sinistro al volo siglò comunque il definitivo 2-0, e Inghilterra, ma ritornò alla carica nella semifnale ancora conto i turchi. I ragazzi di Günes erano la grande sorpresa del torneo e per risolvere la contesa ci volle un colpo di genio. Partendo dalla sinistra Ronaldo si trovò in mezzo a tre giocatori avversari e decise di calciare di punta a incrociare e così facendo sorprese Rüştü per il decisivo 1-0. Nella finale di Yokohama tutto era pronto per il grande trionfo ma nel primo tempo venne probabilmente bloccato dalla tensione e solo davanti a Kahn sbagliò un facile gol. Il tempo per rifarsi però c’era e su un sinistro da fuori di Rivaldo fu il portiere teutonico a sbagliare la presa e il numero nove fu il più lesto a ribadire in rete per l’1-0. Il gol fu una mazzata per la Germania che dopo dieci minuti crollò ancora. Kléberson crossò al centro, Rivaldo fece una splendida finta e appena dentro l’area il Fenomeno piazzò il destro all’angolino per il 2-0 definitivo e l’ottavo gol nella competizione, un record nel torneo da quando non è più la Coppa Rimet. Festeggiava il popolo brasliano il suo quinto successo, ma festeggiava anche quello interista certo di aver ritrovato il proprio campione dopo averlo aspettato e coccolato per tre anni. Ad agosto invece decise di andarsene di notte come un ladro per passare al Real Madrid e per la Beneamata fu uno shock. In Spagna iniziò subito a segnare valanghe di reti servito come era da campioni come Figo, Zidane e Raúl e a fine anno arrivò il secondo Pallone d’oro. Fu un testa a testa con il compagno di club e nazionale Roberto Carlos, ma alla fine vinse con centosettantuno voti a centoquarantacinque, mentre Kahn arrivo terzo a quota centoquattordici.
L’apice era stato raggiunto e nelle Merengues aveva solo il compito di realizzare la grande mole di gioco che arriava dalla trequarti. Quella squadra verrà ribattezzata i “Galácticos“, ma spesso tanti grandi nomi non fanno un grande collettivo. Nel 2003, grazie anche ai suoi ventitre gol, il Real vinse la Liga e per Ronaldo fu il primo, e unico, titolo nazionale vinto in carriera. In quella stagione fu anche grande protagonista del quarto di finale contro il Manchester United dove a Old Trafford realizzò una sontuosa tripletta che non evitò la sconfitta per 4-3, ma garantì il passaggio alla semifinale. Nella stagione seguente venne acquistato anche David Beckham, ma i galli nel pollaio iniziavano davvero a essere troppi e così iniziò un periodo incredibilmente buio per i Blancos. Nel 2004 vinse la classifica dei marcatori con ventiquattro reti, ma la squadra arrivò solo quarta e la stagione 2004-05 fu l’ultima che lo vide segnare con regolarità arrivando a quota ventuno. Voleva però a tutti i costi disputare il suo quarto Mondiale e venne convocato nonostante in molti lo ritenessero un giocatore finito e evidentemente in sovrappeso, tanto da essere ribattezzato “El Gordo“. Le prime due partite contro Croazia e Australia misero a nudo tutti i suoi limiti, ma si riprese contro il Giappone quando di testa e con uno splendido destro da fuori area segnò una doppietta. Il Fenomeno si era sbloccato, ma aveva ancora un obbiettivo, quello di superare Gerd Müller nella classifica marcatori di tutti i tempi dei Mondiali. Raggiunse l’obbiettivo dopo soli cinque minuti dell’ottavo di finale contro il Ghana quando saltò Kingston con un doppio passo e appoggiò in rete ricordando quello che otto anni prima fece contro la Lazio in finale di Coppa Uefa. Il primato durò solo otto anni perché un altro tedesco, Miroslav Klose, lo superò arrivando a quota sedici proprio in una gara contro il Brasile, ma in quel pomeriggio a Dortmund venne scritta la storia. L’avventura Verdeoro si interruppe ai quarti di finale contro la Francia e fu la sua reale ultima partita in nazionale prima di un amichevole di addio al calcio nel 2011 contro la Romania.
Arrivato in estate Fabio Capello al Real Madrid per Ronaldo non c’era più spazio e a gennaio tornò in Italia al Milan facendo un altro sgarbo enorme all’Inter. Fu breve e anonima la sua parantesi rossonera ma riuscì comunque a segnare proprio in un derby con un grande sinistro da fuori area, anche se la stracittadina venne vinta da Ibra e compagni. La seconda annata in rossonero iniziò con i soliti problemi che lo tennero fuori fino al 2008 quando rientrò segnando una doppietta al Napoli, ma in occasione di una partita contro il Livorno si ruppe nuovamente il crociato. In estate tornò in Brasile e per tre anni vestì la maglia del Corinthians vincendo anche un campionato Paulista prima di ritirarsi nel 2011.
Un campione con classe e qualità che raramente si sono viste nella storia, peccato non averlo apprezzato per tanti anni all’apice, ma può bastare anche poco tempo per lasciare un segno indelebile nella storia del calcio, soprattutto se ci si chiama Luís Nazário de Lima, per tutti Ronaldo.

Francesco Domenighini

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