Si tratta senza ombra di dubbio del Pallone d’oro più contestato e più insolito di sempre. Non venne premiato infatti il miglior giocatore del continente, ma senza dubbio quello più continuo e più essenziale dell’annata. Matthias Sammer è stata una bellissima rivisitazione del libero negli anni ’90, arrivata però in un’epoca dove questo ruolo non era più così utilizzato e così di moda. La sua ottima abilità difensiva veniva elevata ancora di più dalla sua grande visione di gioco e dal suo carisma con il quale riusciva a controllare i vari reparti.
Nacque a Dresda durante gli anni della Germania Est dal padre Klaus anch’egli calciatore e proseguì immediatamente le sue orme. Fu la Dynamo a portarlo nel proprio settore giovanili quando questi aveva solo nove anni e sembrava destinato a una vita intera in giallonero. Inizialmente giocò a centrocampo come mediano di regia e la sua capacità di inserirsi lo resero l’uomo in più anche in zona gol. Con la squadra della sua città riuscì sempre a segnare un ottimo quantitativo di reti, tanto da diventare un osservato speciale di Berndt Stange, commissario tecnico della Germania Est. A diciannove anni fece dunque il suo debutto in nazionale e da allora non uscì più. In quegli anni però a dominare il calcio nella parte orientale era la Dinamo Berlino, ma nel 1989 arrivò finalmente la rivincita. La Dynamo Dresda riuscì a vincere il suo settimo campionato distanziando i rivali granata di ben otto lunghezze e Sammer fu grande protagonista dell’annata segnando sette reti. La politica stava però cambiando per sempre la nazione e la Germania era pronta a riunificarsi, ma nel 1990 riuscì a vincere il suo secondo campionato con i gialloneri portando in bacheca anche l’ultima Coppa. Il Mondiale di quell’anno lo vide chiaramente da casa, nonostante ci fosse già una nazione unica le qualificazioni erano state fatte in maniera separata, ma una nuova vita lo attendeva al di là del muro ormai distrutto.
Nell’estate di quell’anno passò allo Stoccarda conscio che stava per aver la sua occasione nel grande calcio. Si tolse la soddisfazione a settembre di essere Capitano dell’ultima Germania Est e di segnare le due reti con la quale la nazionale sconfisse il Belgio a Bruxelles, prima di diventare una colonna del Mannschaft. Intanto in biancorosso le cose andavano a gonfie vele e nella sua prima stagione in Bundesliga segnò la bellezza di undici gol, il suo record in carriera, ma sarebbe stato nell’anno seguente che Matthias avrebbe arricchito la sua bacheca. Segnò ancora la ragguardevole cifra di nove reti contribuendo così a un fantastico e inatteso quarto titolo tedesco di sempre nella storia dello Stoccarda. Le porte della nazionale si erano ormai spalancate da tempo e Euro ’92 lo attendeva. Berti Vogts lo lasciò inizialmente in panchina nella sfida contro i sovietici, ma divenne titolare fin dalla gara successiva contro la Scozia e non uscì più di squadra. La sua visione di gioco e il suo essere a tutto campo erano l’arma in più di una squadra che arrivò fino in finale ma incredibilmente perse contro la Danimarca all’ultimo atto. Di Sammer però si iniziò a parlare in tutto il continente e le sue grandi prestazioni furono ben notate dall’Inter. Arrivò quando gli altri tedeschi lasciarono i nerazzurri, ma a Milano sembrò rinverdire la grande tradizione teutonica. Segnò con incredibile regolarità arrivando a quota quattro dopo sole sette partite segnando anche preziose reti nella trasferta di Napoli e in casa contro la Juventus. Reti che portarono punti importanti alla Beneamata, ma reti che denotarono sempre di più la sua attitudine al gioco offensivo e a incursioni poco gradite al tecnico Bagnoli. Il calcio italiano era molto tattico e i suoi allenatori volevano il massimo rispetto dei ruoli e così iniziò a uscire dalla formazione base. Uno scarso adattamento anche alla città meneghina fecero sì che a gennaio chiedette e ottenne il trasferimento per iniziare la sua più grande avventura, quella al Borussia Dortmund.
Dalle parti del Westfalenstadion divenne subito un leader e una colonna sembrando rinato. Nel solo girone di ritorno andò a segno per ben dieci volte, ma gli insegnamenti del tecnico milanese non erano stati dimenticati. Dalla stagione seguente Sammer arretrò sensibilmente il suo raggio d’azione dando maggiore importanza alla fase difensiva e a quella della regia diventando così il simbolo dei gialloneri. Nell’estate del 1994 giocò il suo primo Mondiale e pur disputando un torneo sottotono, causa le elevatissime temperature, risultò tra i più positivi della squadra. Berti Vogts sottovalutò eccessivamente il quarto di finale contro la Bulgaria lasciando Matthias in panchina in vista della semifinale con l’Italia, ma Stoichkov e Letchkov sorpresero il Mannschaft che venne così a sorpresa eliminato. La delusione per non essere sceso in campo nella partita più importante fu enorme, ma lo attendeva un ciclo magico di vittorie. Dopo un esaltante testa a testa con il Werder Brema il Borussia Dortmund concluse la Bundesliga al primo posto laureandosi così campione di Germania e Sammer venne nominato miglior giocatore del campionato a fine anno. Un trionfo che lo aveva consacrato come uno dei migliori registi d’Europa e ultimo vero grande libero incursore. Dopo il trionfo del 1995 concedette il bis l’anno seguente e da grande stella del calcio continentale si apprestò a disputare gli Europei in Inghilterra. In Gran Bretagna fu l’assoluto re della competizione risultando l’uomo in più per la Germania per ordine e intelligenza tornando però a essere anche quell’incursore tanto apprezzato in gioventù. Nella seconda partita contro la Russia segnò ribadendo in rete un suo precedente destro respinto da Kharine riuscendo così a sbloccare una complicata partita per i suoi, ma il meglio se lo tenne per i quarti di finale. La Croazia era la grande rivelazione del torneo e stava creando grossi problemi al Mannschaft tanto che il risultato a fine primo tempo si trovava ancora sull’1-1. Da un cross di Babbel arrivò dalle retrovie Sammer che anticipò Jerkan e di collo destro a incrociare trafisse Ladić per il 2-1 che diede la qualificazione ai suoi. Contro Inghilterra e Repubblica Ceca guidò sapientemente la squadra da dietro, sapendo l’importanza della posta in palio, e la Germania vinse il torneo con Matthias che venne nominato miglior giocatore della competizione. France Football fu molto indecisa se conferirgli anche quello di miglior giocatore ma alla fine vinse a sorpresa anche il Pallone d’oro per soli tre voti. Furono centoquarantaquattro i suoi punti contro i centoquarantuno di Ronaldo secondo e i centonove di Shearer terzo.
La Germania e il Borussia Dortmund sembravano aver trovato la propria bandiera, ma lo sguardo tetro e oscuro della sfortuna era dietro l’angolo. Nessuno infatti poteva immaginare che quella rete a Old Trafford contro la Croazia sarebbe stata l’ultima della carriera. Un infortunio al ginocchio ne limitò pesantemente la stagione 1996-97, ma riuscì a essere in campo a Monaco di Baviera come Capitano dei gialloneri per la trionfale finale di Champions League contro la Juventus. Gli interventi al ginocchio intanto proseguivano e da una banale operazione di routine partì una gravissima infezione che per poco non gli costò la vita, ma lo obbligò a smettere col calcio a soli trentun’anni.
L’ultimo libero del calcio moderno, capace di difendere, impostare e inserirsi da grande centrocampista. È stato spesso sfortunato, ma in quell’estate inglese riuscì a prendersi una bella rivincita, la rivincita di Matthias Sammer.