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Storia del Pallone d’oro: il ’71, il ’73 e il ’74, Johan Cruijff

Uno dei più grandi giocatori di sempre, totale come il calcio che esprimeva la sua Olanda, unico per rapidità di esecuzione. Lo sport che oggi conosciamo dove tutti devono sapere fare tutto e tutti devono aiutare i propri compagni nacque proprio da quella squadra magica che aveva come Capitano e guida un fenomeno. Perché alla fine è più facile fare gruppo e sacrificarsi per gli altri quando ci si rende conto di non essere all’altezza dei propri compagni, ma quando questo sacrificio avviene dal migliore del mondo l’effetto è tutto diverso. Johan Cruijff è stato un rivoluzionario del calcio, un calciatore capace di fare giocate pazzesche a velocità fuori da ogni logica. Gianni Brera lo definì il “Pelé bianco” più per esaltarne la sua grandezza che non per fare un paragone con il brasiliano che aveva caratteristiche diverse.

Nato a Betondorp, un quartiere residenziale della parte orientale di Amsterdam, crebbe in mezzo alla frutta e alla verdura, data la professione dei genitori, e passò tutta l’infanzia più a giocare a calcio con il fratello Heini che sui banchi di scuola. A dieci anni venne già avvistato dagli osservatori dell’Ajax che non persero tempo e lo portarono nella loro squadra giovanile. Gli addetti ai lavori iniziavano a notare i continui miglioramenti del ragazzo, ma a dodici anni il padre perse la vita per un attacco cardiaco. La madre fu costretta a vendere la casa e il negozio, ma furono i Lancieri a venire incontro alla famiglia del loro bimbo prodigio offrendo un lavoro come donna delle pulizie alla signora Nel. La crescita di Cruijff sembrava inarrestabile e dopo aver segnato in un anno settantaquattro reti venne arruolato in prima squadra quando non era ancora maggiorenne. Fu Vic Buckingham a farlo debuttare contro il Groningen e solo sette giorni dopo segnò il suo primo gol contro il Psv Eindhoven. Il tecnico inglese però non riuscì a vivere un’annata felice e dopo un’umiliante sconfitta per 4-9 contro il Feyenoord venne esonerato e iniziò ufficialmente l’era di Rinus Michels.

In una sola stagione la squadra passò dalla zona retrocessione alla vittoria di ben tre campionati consecutivi e nel 1967 arrivò perfino la doppietta con la Coppa d’Olanda. Johan si prese il posto da titolare solo nella stagione di grazia 1966-67 dove realizzò l’impressionante numero di trentatre reti in campionato, risultato che non riuscirà più a eguagliare in carriera e che gli permise di vincere la classifica marcatori. Il Cruijff dei primi anni vestiva ancora la maglia numero nove e, pur mostrando una grande velocità nell’esecuzione e un’innata abilità nel dribbling, veniva messo molto più vicino all’area di rigore per sfruttare il suo enorme senso del gol. Il calcio olandese non era mai riuscito a ritagliarsi un grande spazio nel palcoscenico continentale fino a quando nel 1969 l’Ajax stupì tutti arrivando in finale di Coppa dei Campioni contro il Milan. I Lancieri eliminarono nei primi turni senza grosse difficoltà Norimberga, due le reti di Johan, e il Fenerbahçe ma ai quarti di finale dovettero affrontare i vicecampioni in carica del Benfica. Una sfida impossibile sulla carta e quando i lusitani vinsero ad Amsterdam per 1-3 nessuno rimase sorpreso. Per le Aquile di Lisbona si stavano aprendo le porte della semifinale, ma al Da Luz il mondo si innamorò di Johan Cruijff. Un colpo di testa di Danielsson firmó lo 0-1 olandese e in venti minuti una doppietta del “Profeta del Gol” ribaltò completamente la situazione. Il primo centro fu un tap in da vero centravanti su una corta respinta di José Henrique, mentre il secondo fu autentico capolavoro. Con il Benfica spinto in avanti per accorciare le distanze partì un contropiede con Keizer che servì perfettamente il suo uomo migliore che scartò prima il portiere e poi fece un tunnel a Machado per concludere con un dolce appoggio in porta. Nessuno poteva credere a ciò che stava accadendo e José Torres rimediò parzialmente segnando l’1-3 che portò le squadre alla ripetizione della gara in campo neutro a Parigi. La sfida fu molto combattuta e si dovette andare ai tempi supplementari e dopo soli due minuti la svolta con l’1-0 ancora una volta firmato Johan Cruijff. Gli olandesi dilagorono sfruttando gli enormi spazi concessi dai portoghesi e Danielsson segnò una doppietta per il definitivo e storico 3-0. Una partita leggendaria che sembrò rendere una passeggiata la semifinale contro i cecoslovacchi dello Spartak Trnava. L’emozione e l’inesperienza giocarono però un brutto scherzo agli ajacidi che in finale con il Milan persero sonoramente per 4-1, ma l’Olanda era uscita dall’anonimato.

Gli impegni europei tolsero molte energie alla squadra che lasciò il titolo nazionale agli acerrimi rivali del Feyenoord che l’anno seguente riuscirono nell’impresa di laurearsi campioni d’Europa. I Lancieri però vinsero l’Eredivisie e quindi erano pronti per riprovare l’assalto alla Coppa più ambita. Intanto Johan nell’ottobre del 1970 era definitivamente passato alla maglia numero quattordici. Un numero insolito per l’epoca con i giocatori che dovevano indossare una casacca con la sola numerazione dall’uno all’undici. Prima di una gara contro il Psv Eindhoven però ci si accorse che la maglia numero sette di Mühren non c’era e allora Cruijff decise di cedergli la sua numero nove e di prendersi la quattordici. Fu solo un caso e un gesto di generosità, ma il prezioso 1-0 finale fece sì che il campione mantenne sempre questo numero. Anche perché lui un vero centravanti non lo era e non poteva essere minimizzato con un solo ruolo. Il quattordici divenne dunque il simbolo della sua anarchia e pazzia tattica. Il 1971 fu l’inizio del dominio dell’Ajax sull’Europa. La squadra ancora una volta si prese delle pause in campionato, arrivando così seconda, ma arrivò in finale di Coppa dei Campioni e questa volta la storia fu ben diversa. A Wembley venne affrontata la rivelazione Panathinaikos allenata dalla leggenda Ferenc Puskás. I greci però vennero annichiliti nel gioco dai Lancieri e il 2-0 finale fu quasi un atto di clemenza nei loro confronti. I Tulipani di Amsterdam erano in cima all’Europa e il loro simbolo era senza ombra di dubbio il migliore al mondo. Il Pallone d’oro di quell’anno fu un plebiscito senza storia e Cruijff arrivò primo con centosedici voti, più del doppio di Sandro Mazzola secondo con cinquantasette e George Best terzo con cinquantasei.

L’apice del “Pelé bianco” venne toccato nella stagione successiva, dove però incredibilmente non solo non si confermò miglior giocatore ma non entrò nemmeno nel podio dietro a tre tedeschi campioni d’Europa. Una decisione molto discutibile perché quell’anno probabilmente si vide la sua migliore versione. Tornò a essere implacabile marcatore e con venticinque reti si laureò per la seconda volta capocannoniere dell’Eredivisie e riportò il titolo di miglior squadra d’Olanda dalle parti di Amsterdam dove l’Ajax vinse campionato e Coppa. Nessuno però potrà dimenticare la sua incredibile finale di Coppa dei Campioni a Rotterdam contro l’Inter. I Lancieri disputarono probabilmente il loro miglior ultimo atto e i nerazzurri sembravano arrivati lì per caso. Un giovane Gabriele Oriali venne messo in marcatura strettissima su Cruijff ma quella era la sua notte e nulla lo avrebbe fermato. Sfruttando una pessima uscita di Bordon e con un preciso colpo di testa sistemò la sfida nel secondo tempo e l’Ajax potè vincere tutti i trofei a propria disposizione. A completare una stagione memorabile arrivò anche la Coppa Intercontinentale contro l’Independiente e dopo sei minuti il numero quattordici segnò la rete del vantaggio nell’infuocato catino de La Doble Visera, e l’1-1 finale fu un ottimo antipasto prima del 3-0 di Amsterdam.

Johan era arrivato a limiti di perfezione inimmaginabili ed era stato nominato per acclamazione dai propri compagni come Capitano della squadra e a fine anno arrivarono altri due titoli con la conferma del campionato e della Coppa dei Campioni, vinta per 1-0 ai danni della Juventus. Una dominanza tale da non fare quasi più notizia, ma in quella squadra che sembrava inarrestabile si notavano le prime crepe. Nell’estate del 1973 venne deciso di revocargli la fascia da Capitano e lo smacco fu tale che Cruyff chiese la cessione e non fu difficile trovare un valido offerente.
Nonostante una serrata trattativa tra Ajax e Real Madrid fu lui stesso a spingere per andare al Barcellona e in Catalogna continuò a creare calcio. Intanto a dicembre arrivò la votazione per il Pallone d’oro e questa volta non ci furono dubbi su chi fosse l’inarrivabile. Johan vinse con novantasei voti contro i soli quarantasette del secondo Zoff e i quarantaquattro del terzo Müller. Il suo obbiettivo era però diventare grande anche in blaugrana ma dovette rinunciare al suo storico quattordici per tornare al nove, anche se del classico centravanti continuava a non avere nulla. In panchina poi ritrovò un vecchio amico, Rinus Michels e con lui ritornò il calcio spettacolo. Sciolte le varie difficoltà legate al contratto riuscì a debuttare solo a fine ottobre con la squadra penultima in classifica, ma al suo ritorno tutto cambiò. Le sue prestazioni furono da indiscusso numero uno al mondo e in quella stagione timbrò due momenti indimenticabili contro le due squadre della Capitale. Il primo fu nel dicembre del 1973 quando decise la sfida del Camp Nou contro l’Atlético Madrid con una fantastica acrobazia di tacco, tanto che la stampa gli affibierà la nomea di “Olandese volante“. Il secondo nel febbraio 1974 quando con una partita impressionante trascinò i propri compagni a uno storico 0-5 al Bernabéu, segnando il raddoppio e dispensando perle calcistiche. Sedici anni dopo l’ultima volta il Barcellona era tornato campione di Spagna.

Il 1974 era anche l’anno del Mondiale e finalmente l’Olanda tornava a disputare un torneo internazionale trentasei anni dopo l’ultima volta. Gli Oranje a Italia ’34 e Francia ’38 avevano sempre perso, ma in quell’edizione della Coppa del Mondo partivano come grandi favoriti e per quello che si vide furono una squadra unica. Cruijff si limitò a servire assist nel girone iniziale e tanto bastò per arrivare primi davanti a Svezia, Uruguay e Bulgaria, ma il meglio se lo era riservato per il secondo girone. In una pazza giornata a Gelsenkirchen segnò due reti capolavoro all’Argentina, la prima sotto il sole con uno stop volante e dribbling al portiere prima di appoggiare la palla in rete e il secondo sotto un nubifragio da vero attaccante. La squadra ottenne anche la vittoria sulla Germania Est prima di arrivare alla decisiva sfida con il Brasile che avrebbe decisa quale delle due sarebbe andata in finale. I Verdeoro erano molto cambiati rispetto alla grande squadra di quattro anni prima e a Dortmund andò in scena una vera e propria battaglia. Ci furono falli a ripetizione, ma alla fine la classe Oranje venne fuori e con due prodezze al volo di Neeskens e Cruijff i ragazzi di Michels, e chi se non lui poteva essere il c.t., andarono in finale contro i padroni di casa della Germania Ovest. A Monaco di Baviera la tensione si tagliava col coltello e già da quando le due squadre entrarono in campo con a capo i loro Capitani si capì la maestosità della gara, perché i due simboli erano anche gli ultimi tre Palloni d’oro in carica. Da un lato il Kaiser, la forza dell’eleganza, mentre dall’altra c’era l’Olandese volante, l’eleganza della forza. Pronti via e gli Oranje passarono in vantaggio grazie a una delle più classiche accelerazioni di Cruijff che venne steso in area da Vogts e permise al compagno Neeskens di segnare l’1-0. I tedeschi occidentali non avevano ancora toccato un pallone ed erano già in svantaggio e la nazionale più bella del mondo era lanciata verso il successo. Ma vent’anni dopo aver fermato la meravigliosa Ungheria di Puskás la Germania Ovest fermò un’altra macchina perfetta e con i gol di Breitner e Müller ribaltò il risultato vincendo il titolo Mondiale. Dall’Aranycsapat all’Arancia meccanica, da Puskás a Cruijff, a distanza di vent’anni fu sempre il Mannschaft a interrompere i sogni di gloeia delle due squadre più belle ma non vincenti della storia. Nonostante la sconfitta in finale Johan si consolò con il terzo Pallone d’oro a fine anno strappandolo a Beckenbauer per centosedici punti a centocinque, mentre il polacco Deyna arrivò terzo ma con soli trentacinque voti.

Il Mondiale perso in quel modo fu però un duro colpo da mandare giù e da allora non fu più lo stesso. Con il Barcellona le cose iniziarono a peggiorare e precipitarono quando in panchina arrivò il tedesco Hennes Weisweiler. Il pessimo rapporto tra i due non aiutò nessuno, se non il Real Madrid che vinse la Liga sfruttando anche i miseri sei gol finali dell’olandese. L’Europeo in Jugoslavia poi avrebbe dovuto essere l’occasione per vendicarsi della Germania Ovest, ma la rivincita del ’74 non si concretizzò perché nella semifinale di Zagabria fu la Cecoslovacchia a prevalere per 3-1. Fu di fatto il suo addio alla nazionale, dove continuò a giocare solo nelle gare di qualificazione per il Mondiale in Argentina ma senza andare in Sudamerica, considerandosi ormai un giocatore non più indispensabile per la squadra.

Il 1978 fu anche il suo ultimo anno in Catalogna dove riuscì a vincere la Coppa di Spagna e annunciare il ritiro a fine anno. A fargli cambiare idea però ci furono i dollari dei Los Angeles Aztecs con i quali riuscì a laurearsi miglior giocatore della Nasl, l’antenata dell’attuale Mls. Passò ai Washington Diplomats, con un breve prestito al Levante in Spagna prima di prendere la clamorosa decisione nel 1981 di tornare all’Ajax. Nonostante non avevesse più lo scatto di un tempo riuscì a rendersi utile per la vittoria di altre due Eredivisie aiutando a crescere due giovani dal futuro assicurato: Rijkaard e Van Basten. Al termine della stagione 1983 i Lancieri non vollero rinnovargli il contratto e così Cruijff decise di chiudere a modo suo giocando per un anno con quelli che per tutta la sua carriera erano stati i suoi più acerrimi rivali: il Feyenoord. Qui giocò con un altro giovane fenomeno olandese, quel Ruud Gullit che tanto farà bene di lì a poco tempo. A Rotterdam non andò per prendere il suo ultimo contratto, ma per portare la sua esperienza e il suo carisma nella squadra giocando spesso nel ruolo di libero che fu del suo amato rivale Beckenbauer. Con il “Club del popolo” riuscì a vincere sia il campionato che la Coppa e a quel punto poteva definirsi soddisfatto e ritirarsi da vincente.
Intraprese anche la carriera da allenatore, ma solo per le sue due squadre del cuore, Ajax e Barcellona, ottenendo anche qui ottimi risultati. Un anarchico, un ribelle, un rivoluzionario, ma soprattutto un meraviglioso poeta dello sport più bello del mondo e il calcio e tutti i suoi tifosi ringrazieranno per sempre di aver goduto delle gesta di Johan Cruijff.

Francesco Domenighini

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