La gioia e l’allegria nel giocare a calcio fatta a uomo. Il suo sorriso inconfondibile con quella dentatura, marcata alla fine di ogni azione a prescindere da come si fosse conclusa. Un’esteta del pallone, capace di giocare in ogni posizione del campo ma con la predilezione per la fascia sinistra in modo tale da poter rientrare disegnando traiettorie inimmaginabili con il suo destro. Non importava dover fare solo gol o assist in quanto tali, ma serviva farli con quel tocco geniale da artista facendo diventare una semplice rete un tocco di magia. Ronaldinho è stato probabilmente il più grande illusionista di questo sport, ma a un certo punto è sparito come dopo una delle sue irreali giocate. Sono stati pochi i suoi anni al vertice, ma sono bastati per renderlo una leggenda.
Nacque a Porto Alegre nel barrio Vila Nova e pur avendo umili origini nella sua famiglia la vita trascorse abbastanza serenamente fino a quando non morì il padre João quando il piccolo Ronaldo aveva solo otto anni. Da allora instaurò un fortissimo legame con il fratello Roberto che ne diventerà il suo procuratore. Il suo talento nel giocare a calcio fu immediatamente notato dal Grêmio che se lo coccolò fin dall’età di sette anni ed è proprio qui che cambiò la storia del suo nome. La classe superiore rispetto ai suoi compagni lo portò a giocare sempre con giocatori più grandi di lui che venivano sempre colpiti dai modi di fare gentili e sorridenti del ragazzo e quindi tutti lo chiamavano con il vezzeggiativo. Nel 1997 debuttò in prima squadra e per due anni fu il trascinatore di una squadra che riuscì a imporsi nel proprio campionato statale grazie ai quindici gol del piccolo campioncino. Nel 1999 aveva attirato su di sé l’attenzione di tutta la nazione ma di Ronaldo ce n’era già uno e il nome era abbastanza ingombrante e quando in quell’estate venne convocato per la Copa América in Paraguay divenne ufficialmente per tutti Ronaldinho. Chiaramente fu riserva nel suo primo grande torneo ma riuscì comunque a mettersi in mostra segnando un gol incredibile contro il Venezuela nel girone iniziale dopo aver saltato come se nulla fosse due difensori prima di trafiggere Vega.
La prestazione scintillante non poté passare inosservata nemmeno agli osservatori europei e dopo un’altra annata in patria nel 2001 venne acquistato dal Paris Saint Germain. I francesi non erano ancora quella realtà dominante, ma venivano da un ottimo decennio che li aveva visti ben figurare anche in Europa. Nella Capitale qualcosa si era rotto e così la dirigenza, per far ripartire al meglio la squadra, cercò un colpo a effetto e quale acquisto migliore se non quello del più promettente giovane brasiliano in circolazione. La trattativa però fu più complicata del previsto perché i nerazzurri non volevano lasciarlo partire e venne messa in mezzo addirittura la Fifa che alla fine diede ragione ai parigini. In Francia visse due stagioni particolari che lo fecero apprezzare dal grande pubblico, ma non in maniera del tutto convincente. I primi mesi di adattamento furono complicati e questo inizio a rilento costò carissimo al Psg che perse il terzo posto valido per la Champions League per un solo punto. Il 2002 però non coincise solo con la fine del suo primo campionato in Europa ma era anche l’anno del Mondiale in Corea del Sud e Giappone. Ronaldinho era uno dei pupilli del commissario tecnico Scolari che lo scelse per completare un tridente da sogno con Rivaldo e Ronaldo e il suo torneo fu probabilmente al di sopra di ogni aspettativa. Nella seconda partita contro la Cina segnò su rigore il primo gol personale nella competizione, ma fu ai quarti di finale che il suo immenso talento venne espresso al massimo. L’Inghilterra era passata in vantaggio grazie a Michael Owen ma il numero undici Verdeoro si scatenò e a fine primo tempo orchestrò una meravigliosa ripartenza, superò con un doppio passo Ashley Cole e poi allargò per Rivaldo che incrociò di sinistro per il pareggio. Il pezzo grosso però se lo era tenuto per il secondo tempo calciando una punizione da posizione praticamente impossibile dandogli un effetto tale da sorpendere David Seaman. Non si capì mai se la rete fosse voluta o si trattasse di un cross sbagliato, ma la sostanza non cambiava e con un assist e un gol il ragazzo di Porto Alegre aveva ribaltato la partita. Sembrava tutto perfetto ma pochi minuti dopo il messicano Felipe Ramos Rizo decise di entrare a far parte dei pessimi arbitri di quel Mondiale. In un palla contesa davanti all’area inglese Dinho e Mills cercarono di intervenire e fu il britannico ad anticipare il brasiliano che, non potendo smaterializzarsi, toccò la gamba dell’avversario. Fallo indiscutibile, volendo essere severi si sarebbe potuto dare il cartellino giallo, ma il rosso diretto fu un vero e proprio insulto al calcio. La cosa che rese il tutto ancora più assurdo fu come il sudamericano reagì mantenendo ancora il sorriso pur avendo subito una palese ingiustizia. Il risultato però non si modificò e la squadra sconfisse la Turchia regalandogli la finale con la Germania. A Yokohama la Seleçao dominò la sfida e una doppietta di Ronaldo permise al Brasile di laurearsi per la quinta volta campioni del mondo.
A soli ventidue anni aveva già vinto il trofeo più importante del mondo e la Francia ormai gli stava sretta. Tornato dal Mondiale giocò un’ottima Ligue 1, ma la squadra crollò a picco a metà classifica senza nemmeno qualificarsi per l’Europa. Ronaldinho non era disposto a rimanere ancora al Psg e così chiese e ottenne in trasferimento in direzione Barcellona. Nemmeno i blaugrana stavano passando un periodo esaltante dopo la pessima stagione appena trascorsa e avevano bisogno di un volto nuovo per rilanciarsi. In Catalogna visse senza dubbio gli anni più esaltanti della carriera e fu lui il vero iniziatore di quella che di lì a breve sarebbe stata la squadra dominatrice del mondo per oltre un decennio. Quel calciatore meraviglioso da vedere ma altamente discontinuo era diventato una bellezza per gli occhi. Le giocate esaltanti erano all’ordine del giorno e non più ogni tanto e dopo il secondo posto nel primo anno esplose definitivamente nella stagione 2004-05. In Liga segnò solo nove reti ma contribuì in maniera determinante per il ritorno al successo finale della squadra di Rijkaard e in Champions regalò due momenti indimenticabili. Il primo fu nei gironi contro il Milan dove decise la sfida negli ultimi minuti con una rete favolosa. Eto’o gli passò la palla al limite dell’area e con un solo tocco saltò Nesta prima di scagliare un violentissimo sinistro all’incrocio dei pali rendendo la traiettoria imparabile per Dida. Il secondo invece arrivò negli ottavi di finale contro il Chelsea. Alla fine furono i Blues a passare il turno ma in pochi se lo ricordano perché che resterà per sempre nella memoria sarà il raddoppio di Ronaldinho. Il brasiliano prese palla al limite dell’area e circondato dai giocatori inglesi iniziò a danzare sulla palla senza mai toccarla prima di calciare con la punta da fermo. La sfera prese un effetto stranissmo che lasciò di sasso Čech e quella rete in quel momento avrebbe permesso ai catalani di passare il turno prima dell’incornata vincente di Terry. La vittoria in Europa era solo rimandata ma il calcio aveva trovato il suo re. Dopo una grande Confederations Cup, vinta col Brasile, riprese la stagione più in forma e carico che mai e nessuno aveva dubbi su chi premiare per il Pallone d’oro. Gli ultimi scettici vennero spazzati via quando a dicembre si giocò il Clásico con il Real Madrid al Bernabéu. Eto’o aveva portato già in vantaggio i blaugrana ma fu il brasiliano a mostrare tutto il suo immenso talento. Con due azione fotocopia partì dalla trequarti di sinistra e iniziò a correre saltando come se nulla fosse Sergio Ramos ed Helguera battendo Casillas e portando i suoi sullo 0-3. Nonostante l’immenso odio tra le due squadre anche il pubblico Blanco fu costretto ad alzarsi in piedi e applaudire il più forte del mondo. I duecentoventicinque voti asfaltarono i centoquarantotto di Frank Lampard e i centoquarantadue di Steven Gerrard venendo così nominato miglior giocatore d’Europa.
A venticinque anni sembrava destinato a dover monopolizzare questo titolo e il bis sembrava cosa fatta quando trascinò il Barcellona alla vittoria di un’altra Liga e della Champions League. In estate però c’era il Mondiale e il Brasile era favoritissimo per la vittoria, ma qualcosa si inceppò. Ronaldinho doveva essere la stella dei quattro meravigliosi tenori d’attacco con Kaká, Ronaldo e Adriano, ma invece fu l’emblema del fallimento. La squadra non poteva supportare tutti quei campioni dell’attacco e non riuscì a rendere al meglio tanto una volta arrivata una corazzata come la Francia si sciolse come neve al sole venendo eliminata. Avrebbe dovuta essere l’esaltazione del Gaucho, invece fu l’inizio della sua fine. Venne accusato di essere un narcisista incapace di essere un trascinatore della squadra e di nascondersi nei momenti più importanti e dalla stagione 2006-07 non fu più lui. Paradossalmente fu l’anno in cui si concentrò maggiormente alla porta realizzando ben ventuno reti, il suo record personale, ma il sorriso sembrava perso e a risentire di tutto questo fu il Barça che perse un campionato che sembrava già vinto. Il Camp Nou aveva ormai un nuovo idolo da venerare e l’esplosione di Messi fece sì che Dinho iniziò a sedersi più volte in panchina. Vari acciacchi dovuti a una vita non da atleta lo portarono a giocare solo diciassette partite nel 2007-08, ma che lo vide realizzare una splendida rete in rovesciata a Madrid contro l’Atlético. A fine anno arrivò Guardiola in panchina e per il brasiliano non c’era più posto. Ad acquistarlo fu il Milan in un’operazione che non si capì mai se nacque con intenti tecnici o commerciali. Il primo anno fu abbastanza in chiaroscuro, ma entrò nel cuore del popolo rossonero quando con un colpo di testa trafisse l’amico connazionale Júlio César dando così al Diavolo la vittoria nel derby. Fu uno dei rari momenti di gioia, ma fu nella stagione seguente che sembrò essere tornato quello di un tempo. I rossoneri si erano molto ridimensionati e con l’addio di Kaká fu il numero ottanta a essere messo al centro del progetto e grazie alla libertà concessagli dal tecnico Leonardo. Contribuì in una maniera determinante a un’inatteso terzo posto con la squadra che lottò per molti mesi fianco a fianco con l’Inter per il titolo. Non era più in grado di fare quelle sue sgroppate leggendarie, ma i lanci lunghi divennero il suo pane quotidiano facendo vedere a tutti che la classe era rimasta intatta. Nell’estate 2010 il Milan rinforzò la rosa acquistando su tutti Zlatan Ibrahimović e in panchina arrivò Allegri, tecnico più interessato alla sostanza che all’estetica e così lo spazio per lui fu ridotto al minimo e a gennaio tornò in Brasile al Flamengo. Vinse un campionato carioca, ma il meglio lo diede nel 2013 quando andò all‘Atlético Mineiro. Grazie anche alla sua presenza i bianconeri di Belo Horizonte arrivarono a vette mai immaginate e nel 2013 vinsero in una doppia pazzesca finale contro l’Olimpia Asunsción la Copa Libertadores per la prima volta nella loro storia. Ronaldinho fu l’eroe di quel trionfo e a fine anno vinse il Pallone d’oro sudamericano, unico nella storia a vincere il premio dei due continenti. Nella stagione seguente andò in Messico al Querétaro prima di chiudere l’anno successivo con il Fluminense.
Il simbolo del calcio gioioso e spensierato brasiliano fatto di tecnica, dribbling e giocate eseguite per divertire. È durato troppo poco, ma quel tanto che bastava per farlo diventare una leggenda e ripensando a ciò che è stato non può che scapparci un sorriso spontaneo come succedeva sempre a Ronaldo de Assis Moreira, per tutti Ronaldinho.