Uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio, capace di abbinare forza fisica, freddezza sotto porta a una tecnica da fantasista. Andriy Shevchenko è stato uno dei centravanti più completi di sempre e i suoi gol sono autentici capolavori, un giocatore capace di sorprendere sempre e comunque le difese avversarie andando in rete da opportunista dell’area di rigore, ma anche con percussioni o precisi conclusioni da fuori. L’ucraino è stato il più grande talento dell’est Europa nel periodo post Unione Sovietica e probabilmente l’ultima e migliore creazione del Colonnello Lobanovski.
Nacque a Dvirkivschchyna, non lontano da Kiev, nel 1976, ma a soli tre anni si trasferì proprio in quella che sarebbe diventata la futura Capitale dell’Ucraina. Dall’età di tredici anni venne messo sotto contratto con la principale squadra cittadina, la Dinamo, e intanto la politica rivoluzionava la geografia. L’Urss divenne un lontano ricordo e nacquero tanti Stati indipendenti e Sheva rappresentò a livello giovanili sempre e solo la nazionale gialloblu. Dopo aver fatto vedere grandi cose tra i più piccoli debuttò in prima squadra nel novembre del 1994 contro lo Shakhtar Donetsk, ma già da dicembre iniziò a prendere confidenza con la porta. Contro il Dnipro andò a segno per la prima volta tra i professionisti e il sette dicembre realizzò l’unica rete della Dinamo nella pesante sconfitta interna per 1-4 contro il Bayern Monaco in Champions League. A diciotto anni aveva timbrato per la prima volta in quella che competizione che lo avrebbe fatto diventare una leggenda. Intanto in Patria la squadra volava vincendo campionati a raffica imponendo così il suo dominio sulla neonata Vyšča Liha. Sheva però nei primi anni risultò molto più abile come seconda punta in aiuto soprattutto al compagno Rebrov il quale spesso chiudeva l’annata con più reti. A svoltare la sua carriera fu la prestazione che disputò sempre in Champions League nel 1997-98 e da lì iniziò a far parlare di sé in tutta Europa. Il 5 novembre la Dinamo andò al Camp Nou per una gara della fase a gironi e nessuno avrebbe mai pensato di assistere a un tale massacro. Lo 0-4 degli ucraini fu sonoro e umiliante per un Barcellona che rimase sbigottito per tutta la partita non riuscendo mai a marcare quel ragazzetto in attacco. Shevchenko realizzò la sua prima tripletta europea consentendo così alla sua squadra di vincere il proprio girone ed eliminare i catalani. Ai quarti la Juve si rivelò però troppo forte, ma il ritorno di Lobanovski sulla panchina della Dinamo aveva fatto riaccendere la speranza. Intanto a fine anno fu il ragazzo di Dvirkivschchyna a decidere la finale di Coppa di Ucraina nel derby con il Cska con una doppietta permettendo alla Dinamo di realizzare l’accoppiata campionato e Coppa. Il continente ormai conosceva i biancoblu di Kiev e conosceva il suo uomo migliore che visse concluse il decennio con l’annata che lo consacrò come grandissimo. All’interno dei propri confini non gli bastò più ridiventare campione vincendo i due trofei nazionali, ma con diciotto reti si laureò per la prima volta capocannoniere e il premio di re dei bomber non lo ebbe solo in Vyšča Liha. In Europa risultò inarrestabile e sembrò avere un conto aperto con le spagnole quando ai quarti di finale affrontò il Real Madrid. I campioni d’Europa rimasero folgorati dal suo talento tanto che Sheva prima realizzò la rete all’andata dell’1-1 al Bernabéu e poi nel ritorno freddò per due volte Illgner mandando agli annali un 2-0 che fece storia. In semifinale ci sarebbe stata la sfida contro un’altra nobile del calcio, il Bayern Monaco e anche in quell’occasione dimostrò tutto il suo talento. Con un dolce piatto destro a incrociare e con una punizione laterale trafisse per due volte Kahn facendo impazzire lo Stadio Olimpico di Kiev portando la Dinamo sul 2-0 e a sfiorare la finale. Purtroppo la sfida in terra ucraina finì 3-3 e al ritorno in Baviera una rete di Basler fece finire il sogno dei ragazzi di Lobanovski ma per Shevchenko era il momento del grande salto di qualità.
Nell’estate di quell’anno si scatenò una vera e propria asta per accaparrarsi quello che era considerato il miglior attaccante sulla piazza e ad acquistarlo alla fine fu il Milan. Berlusconi sapeva bene che Geroge Weah era ormai alla fine della sua brillante carriera e aveva bisogno di un attaccante forte e agile da affiancare al centravanti Bierhoff. In molti si aspettavano un inizio in sordina dovuto al passaggio in un campionato molto più competitivo e tattico, ma i grandi campioni non hanno bisogno di adattamento. Segnò subito all’esordio contro il Lecce con un anticipo secco sul difensore da grande centravanti, ma fu in altre due circostanze che si fece amare dal popolo rossonero. Già alla quinta giornata si giocò all’Olimpico la sfida con la Lazio futura campione d’Italia e fu una partita memorabile. Il Diavolo riuscì a spuntarla vincendo per 3-4 e Sheva fu l’incubo dei biancocelesti realizzando una tripletta da fenomeno. A febbraio invece segnò la rete più bella della Serie A quando, in una sfida interna contro il Bari, prese palla dalla trequarti e iniziò a volare verso la porta di Mancini e con un sinistro dal limite dell’area mise la palla all’angolino segnando il definitivo 4-1. ll Milan era ai suoi piedi, peccato che la squadra non riuscisse a essere alla sua altezza e spesso incappò in risultati deludenti e il terzo posto finale fu la logica conseguenza, ma l’ucraino andò a segno ventiquattro volte, prima delle sue annate record in carriera, diventando così già alla prima stagione capocannoniere della Serie A. I dubbi sul suo approccio al campionato italiano vennero dunque immediatamente spazzati via e nel 2000-01 si ripetè. I rossoneri vissero però un’annata disastrosa con Zaccheroni che venne esonerato e la squadra non entrò mai in lotta per lo Scudetto chiudendo a fine anno con un mesto sesto posto. Nonostante questo Shevchenko sembrò non risentire della triste situazione e per il secondo anno consecutivo confermò le ventiquattro marcature dell’anno precedente, anche se il trono di re dei bomber quell’anno andò a Crespo. A salvare parzialmente l’annata del Diavolo fu lo storico derby in casa dell’Inter vinto per 0-6 e l’ucraino si esaltò, come quasi sempre è accaduto quando vedeva il nerazzurro, andando a segno con una doppietta.
Nell’estate 2001 ci fu l’avvicendamento in attacco tra Bierhoff, che partì per Montecarlo, e Pippo Inzaghi, che arrivò dalla Juventus, e tutti aspettavano di vedere all’opera la coppia dei sogni, ma insieme non riuscirono mai a trovare la giusta alchimia. A pagare a caro prezzo questa inattesa incompatibilità dei due fu Fatih Terim che venne esonerato dando così vita all’epoca Ancelotti. Shevchenko segnò molto meno, fermandosi solo a quota quattordici ma illuminando San Siro con un’incredibile rete da posizione impossibile contro la Juventus. Il Milan riuscì solo all’ultima giornata a guadagnarsi il quarto posto che voleva dire Champions League portandolo così a vivere la straordinaria stagione 2002-03.
Per l’ucraino fu un’annata veramente strana e particolare perché a inizio anno subì un grave infortunio al menisco che lo tenne fuori per tante giornate e quando rientrò non sembrava più essere quell’attaccante a tutto campo del passato. In Serie A segnò con il contagocce, addirittura solo cinque marcature, ma fu in Champions che scatenò tutta la sua voglia di rifarsi. Nel secondo girone piazzò il destro a incrociare per infilare Casillas e regalare una splendida vittoria per 1-0 a San Siro contro il Real Madrid e il primo posto portò il Diavolo a sfidare l’Ajax ai quarti. In una delle poche occasioni stabilì con Inzaghi un affiatamento pazzesco e da un cross deviato del piacentino l’incornata del numero sette trafisse Lobonț. In semifinale ci fu il primo storico EuroDerby di sempre contro l’Inter e furono due partite cariche di tensione. Dopo lo 0-0 dell’andata al ritorno fu Sheva a sbloccare il risultato dopo aver vinto un rimpallo con Córdoba ed essere riuscito da terra ad anticipare Toldo. A nulla valse il pareggio di Martins, perché i gol in trasferta premiarono i rossoneri. Nella finale di Manchester ci fu un’altra sfida tutta italiana contro la Juventus e l’uomo decisivo fu ancora una volta Andriy. Andò a segno nel primo tempo con un gran sinistro, ma la posizione di fuorigioco attiva di Rui Costa gli rimandò la gioia ai calci di rigore. Dopo tanti errori fu l’ucraino a posizionare la palla dagli undici metri e dopo una lunga rincorsa aprì il destro spiazzando Buffon regalando così al Milan la sua sesta Champions League. Shevchenko era salito sul tetto d’Europa da grande protagonista e ora gli mancava solo quello Scudetto mai raggiunto dopo quattro anni. L’infortunio di Inzaghi a inizio 2003-04 fece sì che fu Tomasson la vera spalla del campione venuto dall’est e dal Brasile era arrivato un ragazzino di nome Kaká che provava gioia nell’ispirare le punte. L’ucraino iniziò a segnare caterve di gol e nel girone d’andata sembrò essere una macchina inarrestabile. Timbrò tutti i momenti decisivi, dal derby con l’Inter alla sfida a Torino con la Juventus, ma quell’anno la rivale per il titolo fu la Roma che cadde sotto la legge di Sheva. Nell’andata all’Olimpico realizzò una doppietta con un dolce pallonetto in corsa e con una destro forte a incrociare che diede al Diavolo un prezioso 1-2, mentre al ritorno si potè scatenare la festa. A tre giornate dalla fine erano sei i punti che distanziavano rossoneri e giallorossi e a San Siro i ragazzi di Capello volevano riaprire i giochi per il Tricolore. Da una splendida giocata di Kaká sulla destra scaturì un perfetto cross per la testa del numero sette che inidirizzò all’angolino rendendo vano il volo di Pelizzoli e dopo solo due minuti il Milan aveva trovato la rete che valeva il titolo. Per la diciassettesima era arrivato lo Scudetto, il primo per l’ucraino che aveva realizzato ancora ventiquattro reti vincendo la classifica marcatori. Inoltre ad agosto in Supercoppa Italiana coronò un anno strepitoso segnando una magica tripletta alla Lazio. In una stagione strana e assurda dove Porto e Grecia erano diventate campioni d’Europa per France Football non ci furono dubbi su chi meritasse il Pallone d’oro. Dopo un paio di terzi posti Shevchenko vinse il premio con centosettantacinque voti, contro i centotrentanove di Deco e i centrotrentatre di Ronaldinho.
Venne nominato dal Premier Leonid Kučma come Eroe d’Ucraina, ma forse l’aver raggiunto il massimo iniziò ad appagarlo. Il Milan probabilmente più forte e completo dell’era Ancelotti si sgretolò negli ultimi attimi della stagione perdendo prima a San Siro contro la Juventus lo scontro diretto per lo Scudetto e poi Istanbul contro il Liverpool la finale di Champions League. Fu la notte più tragica e maledetta nella storia rossonera e dell’ex Dinamo. Dopo essersi portati sul 3-0 a fine primo tempo, i Reds riacciuffarono il pareggio a inizio ripresa e Sheva fu il simbolo del crollo. Nei tempi supplementari sbagliò una facilissima doppia occasione venendo per due volte fermato da Dudek e una volta arrivati ai rigori si fece ipnotizzare dal polacco facendosi parare un tiro debole e centrale. Provò a rifarsi nella stagione seguente e in Europa divenne capocannoniere con nove reti, merito però soprattutto della quaterna realizzata ai gironi contro il Fenerbahçe, ma anche in questo caso il Milan rimase a bocca asciutta. Segnò diciannove reti in campionato ma ormai la decisione tanto sofferta era stata presa e quando nell’ultima giornata nel maggio 2006 Andriy vide la partita con la Roma in Curva Sud si capì che avrebbe veramente lasciato il Diavolo. In estate però riuscì a coronare il suo grande sogno con l’Ucraina che per la prima volta si era qualificata al Mondiale. Da Capitano guidò la nazionale a uno storico quarto di finale andando a segno per due volte nei gironi contro Arabia Saudita e Tunisia, ma ancora una volta un rigore rischiò di risultargli fatale. Negli ottavi di finale contro la Svizzera la sfida si protrasse oltre i centoventi minuti e il primo ad andare dal dischetto fu proprio il numero sette che si fece parare la conclusione da Zuberbühler, ma per sua fortuna gli elvetici sbagliarono sempre e la squadra di Blochin arrivò alla sfida, poi persa, contro l’Italia.
Tornato dall’esperienza in Germania iniziò quella londinese con il Chelsea, ma con i Blues e con Mourinho non scattò mai il feeling. Segnò subito all’esordio in Charity Shield contro il Manchester United ma poi sparì lasciando solo la bella speranza di una possibile coppia gol dei sogni con Drogba. Tra infortuni e problemi con il nuovo campionato realizzò in due anni la miseria di nove reti e nel 2008 visse in panchina tutti i centoventi minuti della finale di Champions contro il Manchester United. Capì che il suo tempo in Inghilterra era finito e provò un nostalgico ritorno al Milan, ma ormai il fisico non lo reggeva più. Giocò solo diciotto incontri segna mai segnare in Serie A e così a fine anno tornò dove tutto era iniziato, alla Dinamo Kiev. Voleva resistere ancora tre anni per poter giocare anche l’Europeo casalingo e tra alti e bassi ci riuscì, segnando anche un gran gol contro l’Inter futura campione d’Europa. In Ucraina però la situazione era cambiata e ora a dominare era lo Shakhtar Donetsk e nella sua seconda esperienza in biancoblu non riuscì a vincere nulla, ma riuscì a guidare da Capitano la sua nazionale anche nel 2012. Nell’esordio contro la Svezia fu l’uomo decisivo e con una fantastica doppietta di testa realizzò le reti che valsero il 2-1 finale e quando a nove minuti dalla fine venne sostituito ci fu un’ovazione da brividi. Le sconfitte contro Francia e Inghilterra condannarono i padroni di casa all’eliminazione e a fine torneo diede una leggenda diede l’addio al calcio.
Classe, potenza, fiuto del gol, dribbling, un attaccante completo, capace di giocare a tutto campo e rimanendo lucido una volta arrivato davanti alla porta. Un campione sempre presente nei momenti più importanti, l’uomo in grado di cambiare le partite e di scrivere la storia, la storia di Andriy Shevchenko.
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