Ivan Juric aveva detto che sarebbe servita la Roma perfetta per superare l’Inter. E ha giocato una partita per non perderla. Quasi ci riesce, tuttavia il calcio è materia volubile e crudele e si accanisce su uno dei calciatori più discussi. Zalewski perde un pallone sanguinoso e lancia in contropiede Lautaro liberato da un errore di Celik. E puntuale come la tassa, arriva il gol che condanna alla sconfitta.
La Roma non ha mai dato la sensazione di mollare, ma agli errori individuali si aggiunge anche una serie di scelte discutibili. Sconfitta e la classifica hanno radici profonde, che affondano in un mercato da record negativo. La proprietà ha speso 100 milioni per una rosa da destinare all’idea del 4-3-3 di Daniele De Rossi, per poi esonerarlo dopo 4 giornate e affidarla a un tecnico come Juric che fa del 3-5-2 o del 3-4-2-1 il marchio di fabbrica. Un modulo difficile da applicare senza esterni di livello. A destra, il buco c’è da anni e non si può chiedere a Celik di riempirlo. A sinistra, la Roma un esterno di ruolo, e anche con un buon piede lo avrebbe, ma Angelino gioca da centrale difensivo. Scelta che può essere comprensibile, ma poco giustificabile se serve per dare spazio Zalewski, che non riesce, per una serie di motivi, a esprimersi all’altezza delle sue doti. E poi resta l’equivoco Soulé: si prosegue in un percorso volto a sacrificarlo in un ruolo non suo.
La sensazione è che fra Juric e la squadra, semplicemente, non sia ancora scoccata la scintilla. Scelte e sostituzioni del tecnico continuano a far discutere. Per recuperare la partita sullo 0-1 ha rinunciato a Dybala, che ha giocato molto lontano dalla porta e prova a predicare calcio in mezzo al campo rincorrendo gli avversari a 50 metri e chiuso con Hermoso a rincorrere Drumfies. Dovbyk abbandonato a sé stesso, costretto a fare a sportellate contro tutti, rappresentano il simbolo di una squadra che è a metà del guado e deve ancora decidere cosa vuole essere.
Per ora è una Roma a metà. Né carne, né pesce, come alcuni suoi interpreti schierati in mezzo al campo. Kone e Pellegrini su tutti. Se si vuole giocare alla Gasperini, non ci sono gli uomini per proporre quel tipo di gioco perché non c’è chi è in grado di giocare uno contro uno a tutto campo e reggere fisicamente affrontando un avversario più dotato. Non a caso, sull’errore del singolo, è arrivato il gol. Se si vuole proporre un calcio più sparagnino, non ha senso sfiancare il calciatore più talentuoso, in grado di risolvere la partita, in rincorse a perdifiato e a 40 metri dalla porta per lasciare spazio a Pellegrini, altro equivoco di ruolo fra mezzala e sottopunta. Se si cerca un calcio propositivo, in rosa ci sarebbero elementi che possono interpretare in modo molto più offensivo ma in un attacco a tre che significherebbe cambiare modulo o nuovamentre allenatore. In tutti i casi, serve una sterzata: 10 punti in 8 partite rappresentano la linea di galleggiamento sul pelo dell’acqua della mediocrità.
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