Roma – Inter una sfida che i numeri prevedono ricca di gol. Di fronte, le due squadre che hanno calciato più volte, sebbene con precisione assai diversa, verso la porta avversaria e due difese che qualcosa di troppo hanno, sinora, sempre concesso. Vi sono le premesse per una sfida che una volta si sarebbe definita pirotecnica. Come quella di più di 25 anni fa: è passato più di un quarto di secolo da quel maggio del 1999, quando Inter e Roma diedero vita a una delle partite più epiche della storia della serie A e chiusero definitivamente la parabola del calcio di Zdenek Zeman da allenatore d’élite.
Roma – Inter 4-5, basta il risultato per rendere l’idea di cosa possa aver significato quella sfida. Di fronte, allora, due squadre piene di problemi. La Roma di Zeman, bella da vedere e impossibile da decifrare, croce e delizia dei tifosi giallorossi. L’Inter che torna, dopo un giro di valzer clamoroso di sette allenatori, al punto di partenza, con Roy Hodgson in panchina. Stagione più nera che azzurra per l’Inter che ha rischiato persino di essere risucchiata nella lotta per non retrocedere. Quella notte, accade di tutto. L’Inter va in vantaggio con la rete di Ronaldo, lanciato da un assist di Baggio. Raddoppia Zamorano, accorcia Totti su rigore, poi è ancora il cileno a beffare Konsel. Basterebbe per raccontare una partita intera, invece si è solo alla metà.
Nel secondo tempo succede tutto e il contrario di tutto. La Roma ha la forza di rimettersi in carreggiata per ben due volte. In appena 120 secondi di gioco Paulo Sergio e Delvecchio segnano le due reti che portano la sfida sul 3-3. Zeman, però, non lo ha mai fatto, non si accontenta. E va a caccia del gol vittoria. Subisce la quarta rete, in contropiede, firmata Ronaldo. La Roma ha ancora la forza di risalire a galla. Eusebio Di Francesco, è 4-4 a 11’ dalla fine. I giallorossi, però, sposano sine qua non la filosofia del tecnico boemo. Si gioca sempre per segnare un gol di più dell’avversario. La fase difensiva… pazienza. E proprio su calcio piazzato Simeone trova il gol decisivo. Non c’è più tempo per rimontare, né per subire ancora. Finisce 4-5.
Quella sfida rappresentò lo spartiacque definitivo della carriera di Zdenek Zeman. Il tecnico boemo, che aveva costruito una squadra bellissima quanto fragile, era amatissimo dai tifosi. Meno dal palazzo, complice alcune sue dichiarazioni sulla regolarità del campionato e sui presunti favori alle grandi che non erano piaciute (eufemismo) ai dirigenti di allora. Quel 4-5 racchiude l’essenza stessa del calcio bohemienne di Zeman, prendere o lasciare, e spinse la dirigenza giallorossa alla seconda ipotesi. Quella sera più di qualcuno capì che con uno come Zeman ci si sarebbe divertiti, anche parecchio, ma non si sarebbe vinto. La Roma chiuse la stagione con un buon quinto posto rendendo un campione la promessa Francesco Totti e favorendo la definitiva maturazione di elementi come Cafu, Zago, Candela, Delvecchio, lasciando in eredità a Fabio Capello il gruppo che, puntellato poi negli anni successivi, sarà in grado di centrare lo scudetto due anni dopo. Zeman tornerà alla Roma, nel 2013, ma questa è un’altra storia…
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