Daniele De Rossi riassapora l’amarezza della sconfitta in campionato dopo due mesi. A sorprendere la Roma, il Bologna di Thiago Motta che blinda la Champions, anche in virtù degli scontri diretti e della apertura a cinque squadre alla prossima edizione dell’Europa che conta. Una sconfitta che era nell’aria, arrivata al termine di una partita in cui la coperta è apparsa corta, specialmente lì davanti dove la squadra non sembra avere alternative reali a Romelu Lukaku. O perlomeno non lo è ancora Tammy Abraham.
Tammy Abraham, aspettando il ritorno
Il Bologna ha avuto praticamente il 100% di realizzazioni. La Roma no. E il gol, in questo sport è abbastanza importante. In questo senso Abraham doveva essere l’arma in più di questo finale di campionato affidato alle cure di Daniele De Rossi. Un allenatore capacissimo, ma non ancora in grado di fare miracoli. La voglia di tornare in campo di Abraham è inversamente proporzionale al gol, ma non sembra solo una questione di condizione fisica. De Rossi, uno che il calcio lo conosce benissimo, lo ha perfettamente inquadrato: “Abraham non deve disperdere il potenziale di energia e concentrarsi sul calcio senza pensare a cose superflue”.
Una istantanea dei pregi e dei difetti dell’attaccante inglese, che ha corsa, fisico e qualità da top player, ma sembra mancare proprio nell’idea stessa di gioco del calcio, inteso nel saper stare in campo e nel gestire energie, emozioni e sensazioni: la frenesia non lo aiuta, l’errore lo immalinconisce, la partita di rincorsa lo frustra. E tende a correre a vuoto e a uscire dalla partita.
Un giocatore dai pregi e difetti immutati
Abraham al netto dell’infortunio appare ancorato al sé stesso, dal punto di vista squisitamente calcistico. Era e continua a essere nevrotico nei movimenti. Non riusciva né riesce a controllare e a mettere la palla a terra e a giocarla con e per i compagni se servito con palloni alti. Al di là di qualche “spizzata” di testa, difficilmente dettava e detta il passaggio con i tempi giusti e andava e va in difficoltà nello scambio sullo stretto.
Riassumendo il concetto con un termine del calcio di qualche anno fa, Abraham si definirebbe “acerbo”. Un potenziale da esplorare ma anche da scoprire quale sia, davvero, sino in fondo. Contro il Milan dove non gli era richiesto il gol e la prestazione da attaccante trascinatore, ma solo il sacrificio. È evidente però che la Roma abbia bisogno di qualcosa di diverso da questo ragazzo che resta un capitale tecnico ed economico da recuperare presto e bene.