L’attaccante classe 2003 Ricardo Pepi è il nuovo talento prodotto dal calcio statunitense che si conferma in un periodo di netta ascesa.
Di proprietà del FC Dallas, club in cui è cresciuto anche Weston McKennie e Bryan Reynolds, Pepi si è immediatamente messo in luce con la maglia della nazionale americana segnando 3 gol nelle sue prime 3 presenze.
Il primo, all’esordio, contro l’Honduras e gli altri due contro la Giamaica, entrambi i match valevoli per le qualificazioni ai mondiali del 2022.
Primi passi da predestinato per un ragazzo che ha sempre vissuto a metà tra gli States e il Messico.
La famiglia di Pepi ha infatti origini messicane e lo stesso Ricardo ha trascorso la sua infanzia tra El Paso, in Texas, città popolata quasi più da messicani che da statunitensi dove giocava a calcio in una squadra allenata da suo padre, Daniel e Ciudad Juarez, città confinante in cui viveva il resto della sua famiglia.
Pepi è stato per questo molto vicino a vestire la maglia degli Aztecas avendo preso parte a dei training camp per under-17.
Alla fine, con una decisione che ha definito “molto difficile e dolorosa”, Pepi ha scelto di giocare per l’USMNT non senza dispiaceri per suo padre Daniel che avrebbe preferito vederlo con la maglia de “El Tri”.
L’exploit in nazionale ha messo Ricardo sotto gli occhi di tutto il mondo ma non è stato affatto una sorpresa per i suoi allenatori che erano abituati da sempre a vederlo segnare.
Intorno ai 13/14 anni, Pepi, complice anche uno sviluppo fisico precoce, era decisamente più forte dei suoi coetanei (e non solo) ed era in grado di segnare anche 5 o 6 gol a partite, per questo il suo allenatore, Luchi Gonzalez, decise di iniziare a schierarlo fuori ruolo, talvolta anche da da difensore centrale per metterlo alla prova in situazioni di gioco e di campo differenti per favorirne uno sviluppo più completo.
Sebbene i numeri parlassero per lui sin dalla giovane età, non mancavano scetticismi intorno a Pepi sia da parte di recruiter messicani che statunitensi: i commenti più frequenti erano legati alla sua scarsa coordinazione, al suo sembrare quasi buffo nei movimenti e il fatto che non avesse nessuna abilità particolare.
Molina, direttore dell’Academy del Dallas, in una recente intervista con la MLS ha risposto a queste critiche parlando di un “Chicarito effect”: <<Non è molto tecnico ma fa sempre gol. Chicharito Hernandez non era molto dotato tecnicamente ma faceva gol e ha giocato con il Manchester United e con il Real Madrid. In fondo è questo che si chiede ad un numero 9, fare gol.>>
I numeri danno ragione a Molina e Pepi, 13 gol in 27 partite in questa stagione di MLS (più giovane di sempre a siglare una tripletta), 3 in altrettante partite con la nazionale maggiore ed una caterva di gol nelle categorie giovanili.
Difficile dire se sia effettivamente un altro caso di “effetto Chicharito” ma intanto Pepi già sogna un trasferimento in Europa: <<l’idea è di giocare un giorno in un club come il Real o il Chelsea>> ma intanto circolano già rumors su un interessamento di molti club europei tra cui spicca quello dell’Ajax, club da sempre straordinario nello scouting e nello sviluppi di giovani talenti di tutto il mondo.
Su di lui ci sono già aspettative molto alte ma per suo padre Daniel questo non è affatto un problema: <<Non c’è nessuna sfida dinanzi alla quale non possa trovare una soluzione.>>
La strada per Ricardo Pepi è ancora, ovviamente, molto lunga ed ha tutto da dimostrare ma l’impressione è che sentiremo ancora parlare di questo giovanissimo talento con il gol nel sangue.