L’imponente ufficio, disseminato di trofei e impregnato dell’odore di tabacco, era lo scenario perfetto per convincere i più giovani talenti del Regno Unito a firmare per il Manchester United. Era però una tattica del tutto ininfluente, dato che fra gli anni 90 e gli inizi del nuovo millennio forse non c’era in giro una squadra più forte e irresistibile di quella allenata da Sir Alex Ferguson. È proprio in una circostanza analoga che Ramon Calliste approdò per la prima volta a Manchester, pronto a realizzare un sogno che non era concesso a tutti i ragazzi della sua età.
La sua storia ha avuto inizio in Galles, con la convocazione ad appena 13 anni con la nazionale under 19, un obiettivo vissuto soltanto a metà a causa delle troppe pressioni imposte dal Coventry, prima squadra in assoluto per il gallese. L’imperativo del suo allenatore era chiaro: Calliste non avrebbe mai dovuto esordire in nazionale perché avrebbe turbato l’equilibrio del club, scavalcando gli altri giocatori di qualche gradino. Ovviamente tutta questa situazione andava stretta a un giocatore così ambizioso che preferì tornare sui banchi di scuola piuttosto che assecondare le direttive imposte.
Alla fine la sua scelta si rivelò più che giusta, tanto che un paio di anni dopo a chiamarlo fu proprio l’Academy del Manchester United, il premio per un giovane che non ha smesso di sognare il grande calcio neanche per un solo momento. Ed è proprio in quella stanza impregnata dell’odore del fumo che Calliste incontrò per la prima volta Ferguson accompagnato dalla madre e dai fratelli, ancora tutti increduli e sconvolti da ciò che stava per accadere.
Era un momento magico quello per l’attaccante gallese: non di rado ai ragazzi giovani come lui era concesso di allenarsi con la prima squadra, proprio al fianco delle stelle emergenti come Wayne Rooney e Cristiano Ronaldo. Purtroppo, l’idillio durò soltanto quattro anni. In tutto questo tempo Calliste rimase bloccato all’interno della squadra delle riserve, senza mai la possibilità di trovare un minuto in Premier League. E così decise di cambiare aria, sempre alla ricerca di una squadra che potesse permettergli di crescere ancora e di mettersi in mostra nel calcio europeo.
Ad aspettarlo questa volta c’era il Liverpool, la squadra nemica per eccellenza dello United con una rivalità che esisteva ben oltre il campo da gioco. A 19 anni però Ramon Calliste non sentiva affatto la pressione del suo gesto e probabilmente neanche sapeva che l’ultimo ad aver valicato quel sottile confine tra le due città era stato l’ala Phil Chisnall nel 1964. Ed effettivamente la sua sfrontatezza lo ripagò: nella stagione 2005/06 diventò il miglior marcatore della squadra riserve dei Reds, un clamoroso passo in avanti che avrebbe potuto presto catapultarlo in Premier League.
Ma ancora una volta la convocazione in prima squadra continuava a tardare e, dopo essersi consigliato con il suo agente, decise di passare allo Scunthorpe per aumentare le chance di trovare un posto da titolare. Ma anche qui, quando il sogno di esordire tra i professionisti sembrava essere a un passo, la sfortuna continuò a perseguitare la vita calcistica di Calliste: nei primi giorni della sua nuova esperienza un orrendo infortunio alla caviglia lo costrinse a stare fermo per alcuni mesi, giocandosi di fatto anche questa opportunità.
L’ultima batosta fu quella decisiva per allontanare il gallese dal suo più grande sogno. Per ricominciare a giocare avrebbe dovuto unirsi a qualche squadra dei campionati semi-professionistici, una prospettiva che non lo entusiasmava per niente. Ecco perché ancora una volta preferì rinunciare, non senza qualche rimpianto: “Se avessi subito lo stesso infortunio al Manchester United o al Liverpool, mi sarebbe andata bene. Ma poiché ho ricevuto il trattamento presso Scunthorpe, non credo di aver ricevuto la giusta assistenza medica.”
Anche adesso, dopo dieci anni dall’accaduto, la caviglia continua a dargli problemi tanto da richiedere un’altra operazione, ma in compenso la vita professionale di Ramon Calliste sembra procedere bene. Il calcio giocato ormai non fa più parte del suo mondo e l’ex attaccante adesso si guadagna da vivere come imprenditore in un’azienda che commercia orologi di marchi di lusso, grazie ai quali è riuscito a restare in contatto con molti giocatori diventati adesso suoi clienti.
E anche il passato adesso non sembra fare più così male: “Nonostante tutto il talento che avevo, non era il mio destino. Non avrei incontrato mia moglie, non avrei incontrato i miei figli perché non sarei venuto a Londra in quel preciso momento. Questa sola è la cosa più importante per me.”
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