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Poco celeste, molto roja

Che non fosse la serata perfetta lo si era capito sin dal principio; squadre sul terreno di gioco, pronte per i rispettivi inni. Parte quello dell’Uruguay, ma qualcosa non torna: i giocatori si guardano perplessi, non cantano, sguardi persi nel vuoto. Cosa è successo? Semplice l’inno che hanno fatto partire non era quello della “celeste“, ma quello della “roja“, la nazionale cilena. Un episodio poco gradito, perché sbagliare l’inno di un popolo è cosa raramente perdonabile soprattutto se il popolo in questione è quello uruguaiano.

Roja di rabbia

Lo spiacevole malinteso dell’inno nazionale ha influito nella prestazione immediatamente successiva della squadra di Tabarez. Ovvio che non è stato un semplice scambio di inno a causare la sconfitta dell’Uruguay (la prestazione del Messico è stata ottima) ma quell’episodio ha rappresentato una ferita che, sul terreno di gioco, si è allargata minuto dopo minuto. Il sentimento di appartenenza degli uruguaiani è talmente forte che venire rappresentati da ciò che non è loro non è accettabile e questo ha reso la “celeste” molto nervosa, specie nel primo tempo, quando i ragazzi di Tabarez entravano decisi, forse anche troppo, sugli avversari (emblematica la doppia, evitabile, ammonizione di Vecino che ha portato all’espulsione del centrocampista della Fiorentina). Nervi tesi e quando il livello di tensione è così alto, basta nulla per esplodere. E l’Uruguay è letteralmente esploso al momento del due a uno messicano. Godin, Muslera e Cavani sono andati faccia a faccia con Caceres (l’arbitro della gara), reo di non aver sanzionato una presunta irregolarità della squadra di Osorio. Alla fine della partita la rabbia era tanta; ora però va trasformata in energia positiva per non uscire anzitempo della competizione.

Cile, ricordi di una Copa passata

E se l’aver sentito l’inno cileno non abbia fatto tornare alla memoria quanto successo il 25 giugno del 2015? Cile-Uruguay, quarti di finale di Copa America. Ad avere la meglio sono i ragazzi di Sampaoli che poi andranno a prendersi il torneo in finale contro l’Argentina. Ma quel match è rimasto in memoria soprattutto per il faccia a faccia Jara-Cavani, che ha causato il rosso per il “matador“. Dopo quel match, la “celeste” era infuriata con l’arbitraggio perché riteneva gli errori commessi da Ricci (il direttore di gara di quella partita) decisivi nel computo della qualificazione. Ecco perché a distanza di un anno, ascoltare quell’inno può aver accesso quella voglia di vendetta che l’Uruguay non vede l’ora di compiere. L’avversario, però era il Messico eppure, nel match d’esordio della “celeste“, c’è molto Cile e i risultati si sono visti.

L’inno sbagliato, il nervosismo in campo, il rosso a Vecino e il ricordo di quel quarto di finale di un anno fa. Una serata roja per l’Uruguay sotto tanti punti di vista; una serata, sotto il segno del Cile.

fattori.saverio

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