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Perché ci sono tanti brasiliani allo Shakhtar?

Il 23 gennaio 2015, lo Shakhtar Donetsk annunciò una tournée in Brasile con cinque amichevoli, una tra le quali contro l’Inter. Gli arancioneri ucraini, con la loro rosa impregnata di verdeoro (ben 13 elementi) si sarebbero dunque presentati a Porto Alegre, dove i nerazzurri sarebbero stati sconfitti – guarda caso – dalle marcature di Luiz Adriano e Taison. Passi per un’estemporanea apparizione all’ombra del Cristo Redentore, gli Hirniky (“Minatori) sono facilmente identificabili con una componente piuttosto sostanziosa proveniente dal sudamerica. Così ecco che nella storia i 29 brasiliani hanno contribuito ad aiutare lo Shakhtar in termini di 1983 presenze e 668 reti apportate alla causa. L’apripista in tal senso fu Brandão, attaccante giramondo che nell’estate 2002 approdò in Ucraina direttamente dall’Iraty Sport Club. Da allora, lo Shakhtar “lucrou R$ 763 milhões com só 7 deles”. Ovvero: con sole sette cessioni, ha fatto fruttare 783 milioni di real. Che fosse una bottega cara è chiaro, così come la strategia del compra/cedi con un buon segno più davanti. Addirittura a San Paolo si sono inventati un’espressione per descrivere le strategie di mercato a Donetsk: “todos comprados a preço “de banana” no Brasil e negociados depois por uma “fábula”. Tutti comprati a prezzo “di banana” e venduti per una favola. Semplice, chiaro immediato.

Semplice, chiaro e immediato è proprio il primo motivo per cui Donetsk è pullula di brasiliani. Alex Teixeira è stato pagato 6 milioni di euro dal Vasco e ne ha fruttati 50 nel momento della sua cessione allo Jiangsu Suning. Per Fred sono stati investiti 15 milioni all’Internacional e ricavati 60 dal Manchester United, mentre Fernandinho fu ceduto ai concittadini del City per 40 dopo i 7,8 usati per acquistare il mediano dall’Atlético-PR. L’elenco è ancora lungo: Willian, pagato 14 al Corinthians, è fruttato 35 dall’Anzhi. Per Douglas Costa, gli 8 milioni al Grêmio sono diventati 30 dal Bayern Monaco. Un po’ meno remuneranti gli affari Elano e Luiz Adriano (il centrocampista pagato 7,6 al Santos e ceduto a 12 al Manchester City, nel caso dell’attaccante rispettivamente 3 milioni all’Internacional e 8 dal Milan), ma il computo è eccezionale. Da 61,4 milioni spesi per i 9 cartellini, a Donetsk ne hanno ricavati 235. Profitto di 173,5.

Il meccanismo di pianificazione a lungo termine ideato da Akhmetov ha fatto sì che il suo Shakhtar attirasse ben presto l’appellativo di “squadra più brasiliana d’Europa”. Utile a tale scopo la presenza di un account ufficiale del club su Twitter in lingua portoghese, così come un poliglotta quale Lucescu è stato un’ottima chiave di volta. Rodato il meccanismo, trasformati sconosciuti ragazzi in calciatori dal talento comprovato, la fama di fabbrica raffinatrice di brasiliani s’è diffusa a macchia d’olio e il modello in stile Porto o Benfica (crearsi prodotti da vendere per poter competere e restare a galla economicamente) ha cominciato a divampare.  Infine, ecco due motivazioni di carattere pratico. Ottenere un permesso di lavoro in Ucraina è molto più facile e rapido, sotto il profilo delle tempistiche, rispetto alla medesima procedura ma in Spagna o Inghilterra. Inoltre è economicamente molto allettante, per i giovani brasiliani, l’idea di aumentare esponenzialmente lo stipendio che vedrebbero in patria: anche a costo di trasferirsi in un’Europa non certamente al top, e non mi riferisco solo all’Ucraina bensì alla colonia brasiliana presente in Romania o in Bulgaria al Ludogorets. Un fattore dunque caratterizzante l’intero calcio balcanico, con punte ad esempio su Legia Varsavia e Partizan Belgrado, ma mai avente epicentri consistenti come quello esistente a Donetsk. Dove pare, quasi, che l’import-export di brasiliani faccia parte della cultura stessa del club.

Un quadro complessivo della situazione fu fornito da Oleksandar Tkach, caporedattore di Tribuna.com: Akhmetov voleva rendere lo Shakhtar l’orgoglio della regione, la più grande attrazione di Donetsk, voleva avere successo in Champions League e giocare un calcio spettacolare. I brasiliani facevano parte del concetto, insieme alla brillante Donbass Arena, il marketing e tutto il resto. L’obiettivo iniziale era quello di mantenere tutte le migliori stelle, e sono state vendute solo se il club è stato costretto a farlo”.

Matteo Albanese

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