Pallone d’Oro e polemiche, binomio quasi inseparabile soprattutto negli anni in cui è più complicato assegnare il premio. Anche perché i criteri sono decisamente interpretabili e ogni visione è comunque soggettiva. L’edizione 2019 sembra già avere un vincitore, per quanto debba ancora venire premiato: Lionel Messi. Un nome che alza grande polverone: l’aveva fatto l’assegnazione del premio Fifa The Best, figuriamoci il riconoscimento di France Football, il più prestigioso a livello individuale.
Le schiere, seppur inconsciamente, sono le stesse da sempre: chi vorrebbe premiare i successi e chi invece lo spessore. E quando le due cose non coincidono si scatenano guerre ideologiche abbastanza pesanti. Ed è per questo che c’è chi sostiene che il premio andrebbe assegnato a un giocatore del Liverpool, vincitore dell’ultima Champions League, e non a chi ha messo in bacheca ‘soltanto’ una Liga.
Con Messi il caso è abbastanza eloquente. Sui meriti del Pallone d’Oro, come già precedentemente spiegato, non è possibile dare una visione oggettiva, altrimenti sarebbero anche inutili i voti dei 173 giornalisti. Serve quindi una visione personale, spiegata nella maniera più chiara possibile, che però, appunto, rimane personale. Se si considera che il premio va assegnato al migliore giocatore del 2019, allora i dubbi sono pochi: Messi è stato il più forte. Perché viene da una stagione fuori dal normale per livello e continuità di quel livello. Messi è stato il padrone totale della Liga, è stato fenomenale in Champions League pur dovendosi arrendere in semifinale, e soprattutto è stato ciò che non è mai stato con l’Argentina: un capopopolo, un leader caratteriale e non solo tecnico. Ha fatto la guerra al Brasile e alle istituzioni, ha preso per mano la squadra, ha dato agli argentini ciò che gli avevano sempre chiesto, persino le parole nell’inno che non aveva mai cantato. Ed è stato grande in campo, anche nella partita della sconfitta. Forse di più rispetto alle altre gare.
Non servono i numeri per giustificare la sua forza: sono impressionanti, ma non ne ha bisogno. Anzi, non rendono giustizia a quanto di bello ha fatto in campo e forse basterebbe guardarsi il suo anno partita per partita per capire che a livello tecnico è stato il più forte di tutti.
Sulla fragilità della considerazione popolare di questa candidatura di Messi pesa inevitabilmente il raffronto con il passato. La Pulga ha vinto tanto, per alcuni troppe volte questo titolo. E il caso emblematico è rappresentato dall’edizione del 2010, in cui un nome era sicuramente più candidabile del suo, quello di Andrés Iniesta. Perché uno dei centrocampisti più forti di sempre aveva portato da protagonista il primo storico Mondiale alla Spagna, con tanto di sigillo decisivo nella finale, gesta probabilmente da premiare anche rispetto a un Messi che dominava in lungo e in largo. Il fatto comporta che in queste situazioni di ballottaggio la vittoria di Messi venga vista come un favoritismo nei confronti del campione e un ostacolo verso chi non ha il suo palmarès.
Ma se nel 2010 il suo competitor era uno destinato a rimanere nella leggendagrazie a quanto fatto in quell’anno, questa volta i nomi hanno sfaccettature differenti. Cristiano Ronaldo viene da una stagione buona, ma non esaltante come gli anni di gloria 2014 e 2017 e per questa volta non sembra eleggibile per un riconoscimento del genere (che non significa che non lo potrà essere tra un anno). E i nomi rimanenti sono due: Van Dijk e Alisson. Se se ne fa una questione di titoli, nessuno ha vinto quanto il brasiliano: campione dei due mondi, dall’Europa al Sud America, con tanto di high spot della sua annata rappresentato dalla parata su Milik decisiva per la Champions (per quanto questa sia avvenuta nell’anno solare 2018).
Se se ne fa invece una questione di valore nella squadra allora Van Dijk potrebbe avere qualche gallone in più, visto il suo enorme impatto sulla squadra. Ma così facendo si darebbe la precedenza alle prestazioni rispetto ai titoli. Ed ecco che Messi tornerebbe probabilmente fuori concorso.
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