C’è stato un periodo nella storia calcistica in cui battere il Real Madrid sembrava un’impresa impossibile, una possibilità concessa solo agli dei e a qualche formazione spagnola che, a seguito di diversi scontri, riusciva ogni tanto a prevalere. In Europa però i Blancos vestivano la loro maglia migliore, quella più scintillante, quella più ambita, quella che alla fine risultava essere quella più imbattibile per chiunque si parasse di fronte. Così erano arrivate cinque Coppe dei Campioni in altrettanti stagioni e la prima squadra a eliminarla a livello continentale fu proprio l’odiato Barcellona, in una doppia gara che elevò a genio del calcio Luís Suárez, ma per le formazioni europee risultava ancora impossibile.
Nella stagione 1961-62 era tornata solo la Casa Blanca a rappresentare la Spagna nella più importante Coppa internazionale e tutti aspettavano solo una partita: quella contro i nuovi campioni in carica del Benfica. I lusitani erano infatti riusciti a sbarazzarsi, non senza una buona dose di fortuna manifestata in forma di pali e traverse, del Barça nella finale di Berna dell’anno precedente, ma il passaggio di testimone non era completo. Certamente l’impresa era stata grandiosa e il successo ottenuto contro i giustizieri dei madridisti, ma serviva il trionfo nello scontro diretto per permettere alle Aquile di volare ancora più in alto. Nel torneo successivo il cammino delle due verso la finale fu perentorio, con i portoghesi che fecero del Da Luz il proprio fortino inespugnabile, mentre in trasferta in problemi non mancavano. Già negli ottavi di finale a Vienna contro l’Austria è solo 1-1, prima del 5-1 casalingo, mentre con Norimberga e Tottenham arrivano due sconfitte, fortunatamente sempre rimediate tra le mura amiche, e nella storia entra soprattutto il 6-0 contro i tedeschi. Il cammino del Real Madrid è invece praticamente impeccabile, con la sola Juventus nei quarti di finale che mette in difficoltà gli spagnoli costringendoli alla ripetizione dopo che un memorabile Omar Sívori si fosse rivelato artefice del trionfo bianconero al Bernabéu. Oltre a quella sconfitta interna erano però arrivate solo vittorie per i cinque volte campioni d’Europa e il complessivo 6-0 inflitto in semifinale allo Standard Liegi dava l’idea che la Coppa sarebbe tornata a casa.
Il 2 maggio 1962 allo stadio Olimpico di Amsterdam oltre sessantamila spettatori si assieparono per godersi la partita più grandiosa che il calcio europeo potesse garantire e le enormi aspettative non furono assolutamente deluse. Da una parte c’era la grande esperienza madridista che primeggiava con i fenomeni del calibro di Di Stéfano e Puskás su tutti e che aveva nella velocità sulla sinistra di Gento e nell’intelligenza tattica di Del Sol due frecce di primissimo livello all’interno del proprio arco. Dall’altra parte invece c’erano stati pochi cambiamenti rispetto alla vittoria di dodici mesi prima contro il Barcellona, ma l’unico vero prezioso accorgimento rispetto al 1961 fu probabilmente l’arma vincente per entrare nella storia. Dal Mozambico si era fatto valere un giovane dotato di un potenza fisica devastante, capace di partire dalla trequarti e di mantenere una falcata tale da risultare inarrestabile per gli avversari, così da essere il vero asso nella manica nel mazzo di Béla Guttmann. Il suo nome era Eusébio, uno dei più devastanti cannonieri che la storia del calcio sia in grado di ricordare, ma che ad Amsterdam aveva ancora solo vent’anni e la pressione sembrava fermarlo. A inizio gara il Real Madrid sembrò lasciare sfogare gli avversari, un po’ come fece due anni prima con l’Eintracht Francoforte, ma in contropiede la Casa Blanca fu letale. Di Stéfano fece ripartire l’azione lanciando Puskás che a tu per tu con Costa Pereira riuscì a trafiggerlo con un preciso sinistro all’angolino, ma l’ungherese non era sazio di marcature. Agganciò la palla dai trenta metri e con uno spettacolare sinistro da lontano batté per la seconda volta il portiere lusitano, tradito da un ingannevole rimbalzo avvenuto poco prima dal suo mancato intervento, e dopo ventitre minuti la partita sembrava già finita. Come poter rimontare due gol al grande Real? Il Benfica dimostrò come i calci da fermo siano una grande risorsa ed è proprio da una bomba su punizione di Eusébio che arriva la rete che riaprì la sfida. Il ragazzo venuto dall’Africa colpì il palo dal limite dell’area ma sulla respinta fu Águas a mettere in rete in tap in vincente da pochi passi e poco dopo fu Cavém a raccogliere un batti e ribatti al limite del’area e a mettere la palla all’incrocio con un sinistro imparabile. La rimonta era dunque stata completata, ma quel favoloso primo tempo non era ancora terminato e un fenomeno ungherese con la maglia numero dieci non aveva ancora smesso di regalare gioia al calcio. In area di rigore portoghese riuscì con un tocco a superare l’intervento di Cruz e con un meraviglioso collo sinistro all’angolino mise a segno la sua tripletta che riportò in vantaggio il Real vestito di viola quella sera. Il Maggiore a cavallo voleva pareggiare il suo poker realizzato due anni prima nella finale di Glasgow, ma la ripresa fu tutta di marca portoghese. Il pareggio arrivò dopo pochi minuti con un destro portentoso da fuori area di Coluna, prima della definitiva esplosione della Pantera Nera. Il numero otto prese palla a centrocampo e iniziò una terrificante falcata che venne fermata solo dall’intervento falloso di Pachín che causò il calcio di rigore che poteva incredibilmente ribaltare le sorti della sfida. Nessuno dei giocatori portoghesi voleva prendersi una tale responsabilità e a sorpresa fu il ragazzono a incaricarsi della battuta dagli undici metri e con freddezza glaciale spiazzò Araquistáin per il clamoroso sorpasso. Il 4-3 distrusse psicologicamente i ragazzi di Muñoz che solo tre minuti dopo concedettero un’altra punizione al limite dell’area velenosissima e ancora una volta fu Eusébio a suggellare definitivamente la seconda vittoria consecutiva delle Aquile. Coluna toccò la palla quel tanto che bastò per permettere al ventenne di calciare un terrificante destro che passò in mezzo a tutte le gambe della foltissima area madridista diventando imprendibile per il numero uno blanco e il 5-3 fu la mazzata definitiva. Al fischio finale il giovane fenomeno scoppiò in lacrime e la soddisfazione più grande fu ricevere la maglia del suo grande idolo Don Alfredo Di Stéfano, eleggendolo a suo degno successore ed erede.
Il Benfica era riuscito a laurearsi per il secondo anno consecutivo come la miglior squadra d’Europa e questa volta ce l’aveva fatta spodestando definitivamente l’impero madridista, diventando la prima squadra non spagnola capace di battere in Coppa dei Campioni l’invincibile Real. La nascita di un mito, il passaggio del testimone, l’ultima eroica e memorabile partita di un’icona e ben otto gol in una finale di Coppa dei Campioni ed è grazie a questo e molto altro che si può assistere a una “Partita leggendaria“.