In Sudamerica il calcio è una cosa molto seria, quasi una religione intoccabile da venerare e da consacrare alle divinità. In Brasile questo atteggiamento è probabilmente ancora più accentuato fin dalla notte dei tempi, fin da quando inseguire un pallone è diventata una possibilità di riscatto sociale. Nel 1950 il mondo era ancora profondamente scosso dal dramma della Seconda Guerra mondiale, ma il continente latinoamericano era stato parzialmente risparmiato e così, a soli cinque anni dal termine del conflitto, fu proprio il Brasile a ospitare il Mondiale della ripresa che divenne iconico per i vicini di casa dell’Uruguay.
Le Celeste era stata inserita nel Girone D, quello che si rivelerà essere il più strano di sempre della storia del torneo iridato. Infatti quello che doveva essere un classico raggruppamento a quattro squadre divenne un semplicissimo spareggio con la Bolivia causa a due rinunce. Il sorteggio avrebbe dovuto mettere di fronte anche la Scozia e la Turchia, ma i britannici scelsero di non partecipare dato che nel girone di qualificazione erano arrivati al secondo posto dietro all’Inghilterra, mentre i Sultani decisero di non andare in Brasile a causa dei grandi costi. Tutto dunque si sarebbe deciso in una sfida unica contro la Verde e fu un vero e proprio massacro. L’Uruguay venne trascinato dai suoi campionissimi e a Belo Horizonte distrusse i suoi rivali con un perentorio 8-0 con la grande firma di Míguez, autore di una tripletta. Così facendo la squadra poté approdare al secondo e decisivo girone finale e lo scarso rodaggio iniziale si trasformò in uno svantaggio. Nella prima partita contro la Spagna fu Ghiggia a sbloccare il risultato, ma gli iberici si ripresero e con la doppietta di Basora passarono in vantaggio. Varela ci mise una pezza importante per un 2-2 che lasciava però l’amaro in bocca e anche nella seconda gara con la Svezia ci furono da sudare sette camicie. Gli scandinavi passarono in vantaggio in due occasioni, ma prima Ghiggia e poi negli ultimi minuti una doppietta di Míguez permise di ribaltare il risultato con un 3-2 preziosissimo in vista del gran finale. Il Brasile invece voleva divertire e divertirsi davanti a un pubblico che si mostrava sempre più entusiasta davanti ai propri beniamini. La gara di apertura fu una semplice formalità con il Messico che venne spazzato via da un netto 4-0, ma a sorpresa ci fu un passo falso nella seconda gara. La Svizzera non avrebbe dovuto creare troppe insidie, eppure una doppietta di Fatton permise di concludere la gara sul 2-2, obbligando al successo nell’ultimo e decisivo scontro con la Jugoslavia. La classifica premiava gli europei a punteggio pieno e dunque i Verdeoro avevano un solo risultato possibile e dopo soli tre minuti fu Ademir a sbloccare la partita. Nella ripresa Zizinho chiuse i conti per un 2-0 che fu fondamentale per il passaggio al girone finale. La Seleçao volava ora a vele spiegate verso il successo e nulla poteva mettersi in mezzo tra quella grande squadra e la prima storia Coppa Jules Rimet. Quattro gol di Ademir contribuirono alla distruzione della Svezia travolta per 7-1 e andò poco meglio alla Spagna nella seconda partita che si limitò a perdere per 6-1. Alla vigilia dell’ultima partita del girone bastava dunque un pareggio ai padroni di casa per vincere per la prima volta il titolo iridato.
Il 16 luglio 1950 allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro una folla oceanica si riversò nello stadio carioca per assistere a quello che doveva essere un trionfo annunciato e chiamato da tutti. López Fontana non voleva che la sua squadra fosse la vittima sacrificale, ma presentò una squadra molto attenta con Matías González nel ruolo di libero, Capitano Obdulio Varela a comandare la squadra e Schiaffino e Ghiggia a creare le più pericolose azioni da gol in attacco. Flávio Costa invece sembrò dimenticarsi del vantaggio in classifica della sua squadra e come da tradizione brasiliana si dedicò quasi unicamente all’attacco utilizzando un Sistema offensivo con Chico, Ademir e Friaça come bocche di fuoco terminali. Prima dell’inizio della partita parlò al centro del campo il Prefetto del Distretto di Rio de Janeiro Ângelo Mendes de Morais vendendo la pelle dell’orso con troppo anticipo, dato che saltò i suoi connazionali come i futuri campioni del mondo, in barba alla scaramanzia. Nel primo tempo effettivamente la partita seguì lo schema tanto atteso, con il Brasile che voleva dimostrare la propria superiorità e il proprio dominio sui rivali cercando di andare subito al gol, ma la Celeste aveva preparato bene la partita. Tejera lavorò da perfetto stopper della difesa e i terzini Gambetta e Rodríguez Andrade rimasero molto bloccati, permettendo al portieri Máspoli di eseguire poche parate. Dall’altra parte però non vi erano segni di vita e lo 0-0 con il quale si concluse la prima frazione di gioco non faceva felice nessuna delle due. L’Uruguay sapeva che doveva limitare i danni, ma aveva l’obbligo di vincere e appena provò a giocare più offensivamente passò in svantaggio a inizio ripresa. Zizinho crossò per Friaça che stoppò e con un perfetto diagonale mise la palla all’angolino per il vantaggio dei padroni di casa. Il Maracanã esplose di gioia e ora sembrava davvero impossibile perdere quella Coppa. Varela però non era d’accordo e riuscì con una mossa astutissima a far innervosire i rivali. Dopo il gol prese subito il pallone portandolo a centrocampo, ma iniziando una lunghissima lamentela con l’arbitro per un inesistente fuorigioco, il tutto con il solo intento di far spegnere l’urlo dello stadio carioca. Nemmeno in vantaggio di un gol il Brasile però si abbassò in difesa del risultato e in ripartenza la Celeste divenne letale. Ghiggia se ne andò sulla destra a Bigode e mise al centro per Juan Alberto Schiaffino che con un fantastico destro al volo prese il tempo a Juvenal e batté Barbosa per il pareggio. La Seleçao perse ancora di più lucidità e il gioco offensivo divenne molto pasticciato e poco pratico, garantendo così a dieci minuti dalla fine il vantaggio uruguagio. Ancora una volta fu Ghiggia ad andarsene sulla destra e nonostante al centro dell’area ci fossero diversi suoi compagni preferì accentrarsi e calciate di destro sul primo palo. La conclusione non era certo irresistibile, ma Barbosa venne tradito da un passo in anticipo al centro dell’area e si buttò con troppo ritardo non riuscendo a evitare il gol. Era il settantanovesimo e l’Uruguay era passato in vantaggio facendo cadere un irreale silenzio per tutto il Maracanã. Esultarono solo quel centinaio di persone arrivate da Montevideo e a fine partita si consumò la tragedia.
La premiazione fu rapida e quasi furtiva, come se la Celeste avesse scippato un qualcosa che spettava di diritto alla Seleçao e a fine gara furono diverse le persone che decisero di togliersi la vita. Il ribaltamento di un esito già scritto, l’esaltazione di due campionissimi del loro tempo, la tragedia di un popolo e l’impresa di un altro ed è proprio grazie a questo e a molto altro che nasce una “Partita Leggendaria“.
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