L’Europeo è uno di quei tornei in grado di cambiare la storia di squadre e giocatori, di creare nuovi miti e di affossarne altri e questa situazione iniziò già negli anni ’60, quando il torneo era solamente ai suoi albori. L’Italia ha sempre avuto un rapporto molto burrascoso all’interno del Continente, faticando a esprimere quella sua grandezza che invece ha più volte mostrato a livello mondiale, ma nel 1968 le cose cambiarono permettendo agli Azzurri di scrivere la storia.
L’Europeo era ancora in via sperimentale, tanto che la fase finale era formata unicamente da semifinale e finale con la nazione ospitante che sarebbe stata decisa unicamente una volta avute già ben chiare le quattro ultime rimaste. Per qualificarsi al torneo a eliminazione diretta l’Italia venne sorteggiata in un girone non troppo complicato con Romania, Svizzera e Cipro con gli Azzurri che volarono senza grossi problemi al primo posto concedendosi solo un 2-2 a Berna all’interno di un cammino trionfale fatto esclusivamente di vittorie. Lo spareggio finale venne giocato contro la sorpresa Bulgaria che a Sofia mostrò al mondo intero come era riuscita a eliminare il fortissimo Portogallo nel primo turno. La Nazionale venne travolta dalla furia del Leoni dell’est, ma a rendere meno amaro il passivo ci pensò l’autorete di Penev e soprattutto il gol di Pierino Prati che a pochi minuti dal termine batté Boncev per il 3-2 finale che lasciava speranze in vista della sfida di ritorno. Il San Paolo di Napoli si riempì all’inverosimile nella seconda partite per sostenere l’Italia verso la sua prima qualificazione alla fase finale dell’Europeo e i ragazzi di Valcareggi non tradirono l’amore del pubblico partenopeo. Fu ancora una volta Prati a girare da deviare da pochi passi un cross dalla destra per l’1-0, ma la regola dei gol in trasferta non era ancora stata inventata e serviva un altro gol che arrivò nella ripresa. Angelo Domenghini calciò una punizione di seconda straordinaria lasciando partire una sassata mostruosa che sbatté sul palo e finì in rete per il 2-0 che valse la qualificazione. L’Uefa scelse proprio il Belpaese come nazione ospitante del torneo e fu ancora una volta all’ombra del Vesuvio che gli Azzurri vissero una serata pazzesca contro l’Unione Sovietica in semifinale. Lo 0-0 non riusciva a sbloccarsi e dopo centoventi minuti il tutto si concluse nel modo più ingiusto: il lancio della monetina. La scelta giusta fu quella di Giacinto Facchetti che mandò così l’Italia in finale nel modo più incredibile e pazzesco di sempre. Dall’altra parte ci sarebbe stata la Jugoslavia, squadra molto forte ma che non era più quella corazzata di fine anni ’50 e soprattutto primi anni ’60 che era stata capace di arrivare in finale all’Europeo e in semifinale al Mondiale. Nel girone venne inserita contro i vicecampioni mondiali della Germania Ovest e a diventare giudice inatteso della sfida fu la piccola Albania. Gli scontri diretti tra balcanici e tedeschi erano finiti in una sostanziale parità, con gli slavi vincitori a Belgrado per 1-0 e il Mannschaft trionfatore ad Amburgo per 3-1 e proprio questa differenza reti favorevole dava grande sicurezza ai ragazzi di Schön di passare il turno eppure a Tirana il risultato non si sbloccò mai e quello 0-0 permise incredibilmente alla Jugoslavia di passare il turno. Nello spareggio dovette affrontare la Francia e dopo aver strappato un ottimo pareggio in trasferta demolì i Bleus a domicilio con un perentorio 5-1 staccando così il pass per il volo in Italia dove era attesa a un’altra sfida impossibile. A Firenze dovette affrontare i campioni del mondo in carica dell’Inghilterra e i favori del pronostico erano tutti per la squadra di Sua Maestà, ma incredibilmente una rete di Džajić nei minuti finali dell’incontro bastò per segnare le sorti della sfida e mandare i balcanici nella decisiva sfida di Roma. L’8 giugno la Capitale italiana era gremita in ogni ordine di posto per vedere il trionfo Azzurro, ma quella sera la Jugoslavia sembrava essere incontenibile e passò in vantaggio nel primo tempo con un tocco ravvicinato di Džajić. L’Italia era completamente imbrigliata dagli avversari ma trovò l’ormai inatteso pareggio con una sassata su punizione di Domenghini che mandò la sfida in parità e per decretare i nuovi campioni d’Europa si dovette andare allo spareggio.
La prestazione della prima partita aveva obbligato Ferruccio Valcareggi a rivedere gran parte delle proprie decisioni e la squadra fu letteralmente ribaltata da cima a fondo. Venne rafforzata la difesa con l’aggiunta del libero Sandro Salvadore al posto del mediano Lodetti e Castano perse il posto per far spazio a Rosato, ma fu la mediana che cambiò profondamente. La cabina regia venne affidata a Picchio De Sisti che prese il posto di un inconcludente Juliano, mentre venne aggiunta fantasia e classe nel ruolo di interno preferendo Mazzola a Giorgio Ferrini e infine ci fu importante e sostanziale cambio anche in attacco con Gigi Riva che prese il posto di Prati. Mitić invece era ben contento della precedente prestazione dei suoi e in barba alla stanchezza decise di cambiare solamente un elemento all’ala destra, cambiando Petković con Hošić e confermando il duo d’attacco terribile con Musemić e Džajić. Gli Azzurri dimostrarono fin da subito di aver cambiato completamente atteggiamento rispetto a due giorni prima e Anastasi ebbe subito una grandissima occasione da pochi passi, ma in girata non riuscì a sfruttare la perfetta sponda di Riva e il suo destro da terra finì a lato di pochissimo. Il cannoniere del Cagliari era però in forma strepitosa e dal nulla prese palla dal limite dell’area girandosi con un devastante sinistro che obbligò alla grande parata Pantelić, ma il vantaggio era nell’aria. Domenghini provò la conclusione da fuori area ma sporcò troppo il tiro che divenne involontariamente un assist proprio per Rombo di Tuono che stoppò di esterno e di collo sinistro mise la palla all’angolino per l’1-0. Era la rete del vantaggio, la prima volta in tutto il torneo che la Nazionale si trovava avanti e ora diventava fondamentale resistere. Musemić ebbe la clamorosa occasione del pareggio con un colpo di testa in tuffo ravvicinato ma la palla uscì di un soffio e nel calcio la regola del gol fallito-gol subito si dimostra ancora una volta vera e letale. Prima è Pantelić con un intervento sensazionale a deviare in calcio d’angolo una perfetta frustata di testa di Riva, ma non poté nulla pochi minuti dopo. De Sisti diede palla ad Anastasi al limite dell’area che se la alzò e di destro disegnò una parabola sensazionale che andò a spegnersi sulla destra di Pantelić per il 2-0 che iniziava a dare grande fiducia sull’esito della sfida. Nella ripresa ancora uno scatenato Riva sfiorò la doppietta personale con un colpo di testa che sfiorò il palo per il 3-0, ma nella giornata di gloria volle entrare anche Dino Zoff uscendo perfettamente su Džajić e negandogli il gol fotocopia della prima partita.
Al fischio finale dell’arbitro spagnolo Ortiz de Mendíbil poté partire la festa con le piazze italiane che si riempirono urlanti di gioia e piene di passioni perché la Nazionale tornava a vincere un trofeo internazionale dopo il 1938. La finale di un Europeo, l’unica che è stata ripetuta nella storia, la notte di Riva e Anastasi e il primo trionfo di Dino Zoff ed è anche grazie a questo e molto altro che nasce una “Partita leggendaria“.