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Parliamo di Chapecoense, due anni dopo

Se cumplen dos años de la tragedia de Chapecoense. Era il 28 novembre 2016 quando nei pressi di Medellín, alle 22:15 (ora locale), l’Avro RJ85 partito dall’aeroporto di Viru Viru e destinato a quello di José María Córdova si schiantò precipitosamente al suolo uccidendo 71 dei 77 passeggeri di quel volo, il LaMia Airlines 2933. Maggior risalto a quella tragedia fu data per via della presenza a bordo dell’intera Associação Chapecoense de Futebol, in viaggio verso la prima finale di Copa Sudamericana della loro storia, verso lo stadio dell’Atletico Nacional che con grande fair play avrebbe lasciato a quel che restava del Verdão un minimo di gloria. Il tragitto tra Bolivia e Colombia era macchiato di sangue, lo stesso che la storia del calcio vide versato dal Grande Torino sulla collina di Superga, dai Busby Babes del Manchester United e dallo Zambia 1993. Le autorità locali confermarono 75 morti e 6 sopravvissuti (Alan Luciano Ruschel, Jackson Ragnar Follmann, Hélio Hermito Zampier “Neto“, il giornalista brasiliano Rafael Henzel e due membri del personale di volo, Ximena Suarez ed Erwin Tumiri). Inizialmente erano sette, ma il portiere Marcos Danilo Padilha morì in ospedale. Fu una corsa contro il tempo.

A due anni di distanza, il bilancio resta drammatico: alla compagnia aerea LaMia è stato interrotto il permesso di effettuar voli, in seguito all’accertamento di gravi responsabilità del pilota Miguel Quiroga. A gelare il sangue è il motivo dell’incidente, una banale mancanza di carburante dovuta a calcoli errati, unita a una serie di variabili altrettanto drammatiche (in precedenza altri cinque voli internazionali erano stati effettuati dalla LaMia con quantitativo di carburante a malapena sufficiente). Il permesso per un atterraggio d’emergenza era arrivato, ma quel velivolo non riuscì mai a toccar pista, precipitando sulla collina di El Gordo, situata nei pressi del comune di La Unión, a 2600 metri d’altezza. Stando a quanto affermato dal colonnello Camacho, in forza presso l’aeronautica civile colombiana, «all’aereo sono stati forniti 9.073 kg di carburante e questa quantità era insufficiente per volare da Santa Cruz e Rionegro, essendo l’importo minimo per una tale tratta superiore a 11.603 kg». Ulteriori ricostruzioni avrebbero fatto emergere come la compagnia LaMia vivesse un periodo di inadempienze economiche, con svariate mensilità non pagate ai dipendenti e debiti.

A due anni, la vegetazione ha cominciato a coprire quel che resta di quello scempio, brandelli di carne umana mischiati a lamiere, lasciando spazio a un eterno memoriale della tragedia. Il resto è macabra quotidianità, come il carrello d’atterraggio crollato nella fattoria di un contadino, il signor Albeiro Valencia, o un finestrino di quell’Avro RJ85 raccolto e custodito dal signor Germán López tra le reliquie di casa sua. Marcos Vallejo, proprietario di un locale, il Café Del Carajo, ha raccolto quanti più oggetti possibile erigendo un museo improvvisato che però – come non ha mancato di sottolineare – non ha ancora visto una minima sovvenzione. Il sindaco del paese ha disposto una ricorrenza, una Santa Messa alle ore 14 locali sulla collina, preceduta da un raduno presso il Café del Carajo e un’ulteriore Messa alle 20. Nel 2016 María Teresa Mejía aveva soli 19 anni e si precipitò a soccorrere vittime e feriti. Oggi ha raccontato a El Colombiano che i pellegrinaggi nel sito sono diminuiti drasticamente, segnalando pure come i visitatori si rechino a render omaggio alla Chapecoense ma trovino solo un terreno bruciato con alcune croci sparse e troppo poca informazione: «Quella collina è diventata una specie di santuario. Ci sono fiori, immagini, messaggi di incoraggiamento e immagini della Vergine di Guadalupe».

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Uma tragédia interrompeu o sonho, ma non la vita del club. L’intero sud-est del Brasile, con epicentro nello stato di Minas Gerais, si strinse attorno ai 200mila abitanti di Chapecó, diede il via alla reconstrução accompagnata da svariate manifestazioni di sostegno. Si scrisse di Ronaldinho, Riquelme e Kakà, ma in fin dei conti uno di quelli che realmente si offrì fu l’islandese Eiður Guðjohnsen. A due anni di distanza, la vita è ricominciata: il giornalista Rafael Henzel è tornato a commentare le partite dopo un solo mese di ricovero presso un ospedale di Medellín, riprendendo il microfono per raccontare la Chape: dei tre sopravvissuti, Jackson Follmann ha detto addio al professionismo dopo l’amputazione della gamba destra, Hélio Neto potrebbe tornare in campo il prossimo anno e Alan Ruschel figura regolarmente tra i convocati dopo un recupero record. La Federcalcio brasiliana offrì alla Chape due stagioni senza la possibilità di retrocedere, il club rifiutò ostinatamente. Lo scorso anno arrivarono noni e giocarono in Libertadores, quest’anno si sono salvati per un solo punto, quello che separa il 40 dal 41, quello che ha portato una salvezza che due giornate prima pareva un miraggio.

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