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Non chiamatela Macedonia del Nord

Prima del 12 febbraio 2019, la questione – per quanto spinosa – era rimasta in fase d’incubazione. Da quando però è entrato in vigore l’accordo di Prespa, che il 12 giugno 2018 pose fine alla diatriba internazionale sul nome dello stato che calcisticamente parlando viene identificato in Goran Pandev e Ilija Nestorovski, le cose sono cambiate. Così oggi l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia si chiama formalmente Macedonia del Nord e la Grecia non ha interamente preso bene l’affaire diplomatico internazionale, che già nell’ottobre 1993 – con l’elezione di Andreas Papandreou e l’apogeo del PASOK – vide una linea dura promossa nei confronti di quella che sarebbe poi stata denominata FYROM. Per via del contenzioso che lega i greci a quelle terre sin dall’occupazione persiana e la conseguente dominazione sotto Alessandro Magno, oggi ad Atene e dintorni è curioso sottolineare che non esista la Macedonia intesa invece dal resto dell’Unione Europea. Il distacco, o l’assimilazione, a seconda di che prospettiva decidiate di adottare, è talmente forte che per indicare i residenti nello stato contiguo si usa la parola Σκοπιάνοι, letteralmente «gli abitanti di Skopje», e anzi si preferisca definirli letteralmente «slavomacedoni» (Σλαβομακεδονικά) proprio perché per loro la Μακεδονία è il territorio che s’estende intorno a Salonicco. Con queste premesse, il 30 settembre 2018 nella Repubblica di Macedonia si andò al voto: comprensibilmente, la quasi totalità dei votanti (94%) scelse la nuova denominazione, ma in Grecia fu contestato il fatto che si fosse presentato alle urne il solo 36% circa degli aventi diritto. Ben lungi – ribatterono da Salonicco – rispetto al 50% richiesto come quorum.

Se il discorso fosse esclusivamente politico chiaramente non lo trovereste su Footbola, ma visto che da quelle parti il PAOK e il Gate 4 mantengono saldamente le loro posizioni, evidentemente è una questione anche calcistica. I tifosi bianconeri – che già avevano seccamente rifiutato che la nazionale ellenica giocasse le sue partite casalinghe al Toumba – erano dunque nuovamente scesi in piazza. La loro animosità s’era tramutata in tensioni e tumulti la mattina del 22 giugno 2018, per le strade. Alle ore 8 avevano assaltato il Centro congressi cittadino, dove s’era tenuta una conferenza avente proprio come tema la possibile nuova denominazione della Macedonia, scontrandosi con la polizia cui avevano lanciato sassi ottenendo i lacrimogeni in risposta. Poi s’erano spostati, e dalle 10 la nuova sede del conflitto era divenuta quella di SYRIZA, che successivamente reagì emanando un duro comunicato stampa in cui chiedeva al PAOK di prendere le distanze e condannare l’evento, secondo i parlamentari «commesso per conto della storica associazione PAOK». Arrivò la risposta del club, ma in direzione opposta rispetto a quella che avrebbero voluto in SYRIZA: «La Macedonia è il nostro posto, la nostra casa, la nostra storia. È storicamente greca. Non è compito nostro la politica, ma è necessario che la verità e la storia siano preservate a tutti i costi. Comprendiamo la crucialità della risoluzione di una questione nazionale, ma non a scapito della coscienza nazionale dei cittadini della Macedonia. Qualsiasi soluzione che non provocherà la società e che contribuirà al rafforzamento della Grecia settentrionale e dell’intero paese è accolta favorevolmente, senza falsificazione della realtà e della storia». A rinforzare i bastioni ci pensò Theodoros Zagorakis, storica bandiera del club e capitano della spedizione vincitrice a Euro 2004, che condannò la decisione del governo circa la discussione dei termini dell’accordo di Prespa. Zagorakis fu chiaro, rivelò come il primo ministro non avesse informato tutti i partiti e, peggio, avesse sporto il fianco alle ingerenze altrui: «Gli estranei hanno voluto risolvere questo problema».

Il global claim «Macedonia is only one and it’s here» fu preso ancor più a cuore dal Gate 4, che fece comparire uno striscione nei settori del Toumba. Addirittura vennero ripescate delle parole di Martin Bogatinov, calciatore del Karpaty Lviv che il 18 agosto 2011 si recò a Salonicco per incontrare il PAOK nei preliminari d’Europa League. Il portiere macedone in quell’occasione raccolse due volte il pallone dalla sua porta, ma s’era guadagnato una buona dose d’inimicizia in un’intervista del giorno prima: «La Grecia è la Grecia e la Macedonia è Macedonia. Forse la Grecia ha la sua Macedonia, ma è sbagliato». A quei tempi, raccontò, i cittadini macedoni erano soliti trasferirsi in Grecia per le vacanze, dunque la rivalità geo-politica non si rifaceva a livello sociale. Da allora però sono passati anni e la Βόρεια Μακεδονία – che calcisticamente ha debuttato giovedì battendo per 3-1 la Lettonia – è diventata una questione ben più scottante. Tanto che nel febbraio 2017, quando ai sedicesimi d’Europa League lo Schalke 04 si recò al Toumba, il Gate 4 diffidò gli ultras tedeschi (storicamente gemellati col Vardar Skopje) dal menzionare la faccenda negli striscioni. I rivali presero sottomano la faccenda, estrassero una bandiera macedone e allora il Gate 4 lasciò che la polizia si recasse nel loro settore e procedesse con lacrimogeni e manganelli alla rimozione del vessillo proibito.

Matteo Albanese

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