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Niente spettacolo né reti, Åge. Con la Romania è 0-0.

La straordinaria conoscenza calcistica, specialmente nell’ambito scandinavo, che Åge Fridtjof Hareide ha accumulato col passare degli anni è di per sé una delle principali speranze che dalle parti di Copenhagen nutrono nei confronti di uno storico ritorno ad un Campionato del mondo. E’ tanta la voglia dopo il 2010, in cui la truppa di Morten Olsen uscì nella fase a gironi (ed era l’apice di una generazione niente male: Sørensen, Jacobsen, Agger, Krøldrup, Kvist, i tre Poulsen, Grønkjær, Jørgensen, Rommedahl e Jon Dahl Tomasson): da allora il calcio danese ha subito un momento di crisi aggravato dalla contemporanea uscita di scena di tanti protagonisti sopracitati. Il ricambio generazionale aveva restituito all’ultimo Morten Olsen una rosa in transizione, per quello che sarebbe stato l’epilogo finale della sua gestione (il doppio playoff per Euro2016 contro la Svezia). Quel che è emerso dalla Friends Arena prima (2-1) e dal Telia Park poi (2-2) è stato un risultato beffardo, che ha fornito i biglietti per Le Rendez-Vous agli scandinavi di Hamrén. Al ritorno, poi, è arrivato un 2-2 che ha ricordato certamente il famigerato “biscotto” (che nel 2004 estromise l’Italia dall’Europeo in Portogallo): la differenza, questa volta, è che una delle due ne sarebbe uscita sconfitta. E questa parte è toccata alla Danimarca, affondata sotto i tre mortiferi colpi inferti da Ibrahimovic (uno a Stoccolma, due a Copenhagen). Quanto erano lontani i tempi del «We are red, we are white, we are Danish dynamite!», quel coro che i tifosi urlavano a gran voce a ridosso degli anni ’80. Era una squadra che, pur non non avendo vinto un Mondiale, è considerata ancor oggi una delle formazioni più spettacolari nella storia del calcio. E pensare che non era ancora stata scritta la pagina più bella in assoluto del calcio danese, quell’autentico miracolo che si è palesato in Svezia nel 1992

In ogni caso, le strade di Hareide e della Danmarks fodboldlandshold si sono sovrapposte per la prima volta nel dicembre 2016. Dopo aver vinto titoli in tre nazioni nordiche quasi Svezia (Helsinborg 1999 e Malmö 2014), Danimarca (Brøndby 2001-02) e Norvegia (Rosenborg 2003), ecco la grande occasione: il trono lasciato vacante da Olsen, lo scettro tenuto in mano da un tecnico che mai prima d’ora aveva allenato una nazionale. “Beh, la Danimarca è sempre stata uno dei paesi più importanti del calcio in Scandinavia e quindi la nazionale ha un sacco di potenziale. Questo è un paese che produce sempre buoni calciatori e l’attuale generazione, per come la vedo io, ha un buon equilibrio tra uomini esperti che giocano all’estero e giovani giocatori provenienti. Ho visto questo lavoro come una sfida ideale per me in questa fase della mia carriera. Le sue parole facevano più o meno così.

Romania-Danimarca, ieri sera, era un match che avrebbe potuto alimentare non poco il sogno chiamato Russia2018. Gli ospiti avrebbero potuto erigersi al secondo posto, issandosi dietro alla favorita del gruppo E, la Polonia. Ora, invece, si trovano a quota 7 in compagnia del Montenegro. Dietro, a 6 punti, ecco Romania e Armenia. Tutto è ancora apertissimo, eccezion fatta per il primato dei ragazzi di Adam Nawałka (a quota 13). Certo è che sarebbe stato conveniente uscire dalla Cluj Arena con tre punti, specie alla luce del passo falso della selezione montenegrina. Alla fine tuttavia è stato un misero 0-0, tra due formazioni che si sono presentate in campo con modulo pressochè speculare (3-4-1-2 o forse 3-4-3 quello scelto da Daum, 3-5-2 puro quello voluto da Hareide) e con la medesima intenzione di dar una scossa alla classifica.

E’ partita meglio la Romania, resasi pericolosa con un tiro da fuori di Marin (3′) e buone trame orchestrate specie a centrocampo. Quanto alla Danimarca, qualche difficoltà in fase di costruzione si è vista fino a quando il talento probabilmente più cristallino in campo, Christian Eriksen, ha deciso di prender la squadra per mano e guidar l’assalto. E’ da segnalare una pregevole girata del numero 10 ospite (19′), che nel 3-5-2 (puro, come detto prima) ha agito maggiormente da trequartista in appoggio alle sortite offensive dei suoi. Nel mezzo, non che i Tricolorii se ne siano stati a guardare inermi: perché se dall’altra parte il centravanti Cornelius ha fatto ben poco, lo stesso non vale per Claudiu Keșerü. La punta del Ludogorets prima ha alzato sopra la traversa (17′) un traversone di Benzar, poi ha mancato l’appuntamento col gol per questione di pochissimo e sempre da un’azione partita dal terzino destro. Oltre a quanto raccontato, il primo tempo è stato abbastanza tranquillo: le due squadre si sono studiate e nessuna dà l’impressione di voler scoprirsi. Ecco che dunque Atkinson ha sancito la fine dei primi 45′: prima però Kjaer è stato colpito con una manata al volto da Chipciu, Eriksen ha sprecato concludendo sopra lo specchio (minuto 43′, bell’assist di Delaney) e Cornelius è stato ammonito per una gomitata a Sapunaru.

Al rientro degli spogliatoi, non c’era più Kjaer a causa del fallo precedente (l’impatto era stato forte, il difensore del Fenerbahçe era rientrato in campo ma con una vistosa fasciatura alla testa). In campo, ecco il pari ruolo Martin Jørgensen. Il ritmo però si fa più incalzante, e di occasioni di gol se ne vedono ben più rispetto alla prima frazione. Eriksen si è avventato su un pallone vagante (47′) scaricando un destro potente ma provvidenzialmente deviato in corner da capitan Chiricheş, poi ha risposto Stanciu con una punizione calciata a giro e terminata a lato, infine a tentar di sbloccare il punteggio è stata una zampata del neo entrato Jørgensen. Del resto, si è capito come un pari non avrebbe accontentato nessuna delle due squadre. Chiricheş ha accusato qualche problemino fisico, Ankersen si è visto sventolar in faccia un giallo, poi (inspiegabilmente, aggiungo io) Daum ha tolto dal campo Keșerü in favore di Alibec. Si, se ve lo siate chiesto, è lo stesso Alibec di Inter e Bologna. Ed è strano anche alla luce del momento propositivo che stava vivendo la sua squadra, visto che poco prima Schmeichel si era trovato a dover dir di no proprio a Keșerü e Chipciu (ma tutto era partito da un sanguinoso pallone perso da Jørgensen nella sua area di rigore). Solo al 69′ Hareide si decide a cambiar qualcosa: ed è un cambio importante, perchè fa il suo ingresso in campo Brathwaite (out Schöne). Sarà l’attaccante del Tolosa a creare i pericoli maggiori a Tătăruşanu, rendendo imbarazzante il confronto con l’evanescente Cornelius: dalla trequarti prima (73′), da posizione defilata poi (78′). Non ha trovato la rete, ma almeno ci ha provato. E in pochissimo tempo ha rivitalizzato un reparto offensivo che non è girato per il verso giusto. E alla luce di ciò, ci hanno provato i difensori: Vestergaard (82′) ha colpito di testa nel cuore dell’area ma non è riuscito ad imprimere potenza, ancora Jørgensen (83′) ha quasi trovato la rete in spaccata. Nel mezzo, un gran destro di Brathwaite sporcato da Toşca. Successivamente, un brivido lungo la schiena di Tătăruşanu quando Eriksen ha esploso un sinistro rasoterra da fuori. L’ultimo squillo di una serata terminata nel modo più mesto. Ossia senza reti, in uno 0-0 che non accontenta nessuno. Ora per qualificarsi serve un passettino in più. Ma conoscendo Åge Hareide, it’s possible. E comunque: ah, come sono lontani i tempi della Danish dynamite…

Il tabellino:

Romania (3-4-3): Tătăruşanu; Săpunaru, Chiricheş, Toşca; Benzar, Marin, Pintilii, Latovlevici (dal 76′ Rotariu); Chipciu (dall’86’ Ivan),  Keșerü (dal 63′ Alibec), Stanciu. All. Daum

Danimarca (3-5-2): Schmeichel; Kjaer (dal 46′ Jørgensen), Christensen, Vestergaard; Ankersen, Kvist, Schöne (dal 69′ Brathwaite), Delaney, Durmisi; Eriksen, Cornelius. All. Hareide.

Ammoniti: Pintilii (R), Cornelius, Ankersen (D). Arbitro: Atkinson.

Matteo Albanese

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