Essere associati alla propria patria e alla propria nazione è un privilegio capitato a pochissimi e tra questi rientra il “Maggiore galloppante” Ferenc Puskás.
La guerra era finita da poco e il mondo cercava nello sport lo spirito e la forza per ricominciare. L’Ungheria si trovò sotto l’influenza sovietica e con l’Austria spostata ad occidente si chiuse definitivamente uno dei più grandi imperi di sempre. Il popolo magiaro non fu tra i più soddisfatti di questa situazione e il regime puntò moltissimo sullo sport ed in particolare sul calcio per distrarre la sua gente. Poco fuori Budapest, a Kispest, la squadra locale venne scelta come squadra del governo e gli fu cambiato il nome in Honvéd (difensore della patria). La scelta ricadde sui rossoneri anche per la presenza nelle loro fila di un baby campioncino che era sulla bocca di tutta l’Ungheria: Ferenc Puskás. Venne nominato “Őrnagy” (maggiore dell’esercito ungherese) e il fatto che il campione di Kispest fosse una figura del governo aiutò a tranquillizzare gli animi popolari.
Dal 1948 fino al 1952 fu costruito l’immenso Népstadion (stadio del popolo) dove ogni ungherese volle lavorare anche solo per mettere una pietra e sentirsi parte di quel progetto meraviglioso. Intanto la Nazionale incantava il mondo con un’idea di gioco fissa: a correre deve essere la palla non i giocatori. E così, mentre gli altri sudavano per provare a recuperare la palla, Puskás e compagni con pochi tocchi riuscivano ad eludere gli avversari e a realizzare valanghe di gol.
Dal 4 giugno 1950 fino al 30 giugno 1954 iniziò un’imbattibilità impressionante condita da 28 vittorie e 4 pareggi e un grande oro olimpico a Helsinki nel 1952 dove non potè certo mancare la firma del Maggiore galoppante nel 2-0 finale alla Jugoslavia.
Ma il giorno in cui Puskás divenne il simbolo del calcio anni ’50 fu in un freddo 25 novembre 1953 a Londra, nell’immortale tempio di Wembley, dove nessuna squadra del continente europea era mai riuscita a vincere. L’Ungheria sbalordì il mondo e non solo vinse, ma umiliò la squadra dei ” tre leoni” con un pazzesco 3-6 con il loro capitano autore di due gol di cui uno leggendario. Quasi da fondo campo eluse la scivolata di Billy Wright con un colpo di prestigio e di sinistro fulminò un attonito Gil Merrick. La Gran Bretagna era ai piedi di Puskás, e il Guardian il giorno dopo lo definirà un marziano che trasformò i maestri del calcio inglesi in semplici alunni. Il mondo conobbe l’Ungheria e non voleva più fare a meno di quell’armata invincibile.
L’Inghilterra chiese e ottenne una rivincita, ma più che una rivincita fu un vera e propria debacle, perché davanti a 92.000 ungheresi Puskás concesse il bis con un’altra doppietta e i suoi compagni si divertirono per altre cinque volte consegnando alla storia un 7-1 che resterà tuttora la peggior sconfitta della storia inglese.
Ed arrivò giugno 1954, quello che deve essere il riconoscimento definitivo della Aranycsapat (squadra d’oro). Puskás però si farà male nella seconda partita del girone, nel pesante 8-3 inflitto alla Germania Ovest, ma nonostante questo i magiari avanzarono. Nemmeno le super potenze sudamericane Brasile e Uruguay poterono fermare l’avanzata della squadra di Gusztáv Sebes verso la finale. Il 4 luglio 1954 a Berna l’ultimo atto fu contro la Germania Ovest e il Maggiore galoppante ripartì proprio da dove venne interrotto e appena iniziò la partita fu un suo magico sinistro a battere Toni Turek per l’1-0. Czibor raddoppiò poco dopo, ma i tedeschi duri a morire e ribaltarono clamorosamente il risultato portandosi sul 3-2 grazie ad Helmut Rahn. Il numero 10 magiaro non ne voleva proprio sapere di arrendersi e all’ultimo minuto anticipò tutti e batté in rete per il 3-3 che sarebbe valso i supplementari. La storia però non sempre ha un finale dolce e l’arbitro Ling annullò per un fuorigioco inesistente.
Dopo trentadue partite l’Ungheria venne sconfitta e perse la più importante della sua storia. Il ritorno a Budapest fu mesto, come mesto tornò l’umore e la speranza del popolo ungherese che vide spezzarsi l’unica cosa che li rendesse felici, l’unica gioia dell’essere ungheresi. Nel 1956 la gente scese nelle piazze per ribellarsi e partì la sanguinosa Rivoluzione ungherese che fece emigrare la maggior parte dei campioni della Nazionale, compreso il loro mito Ferenc Puskás che andò a regalare perle di classe innata in Spagna al Real Madrid dove continuerà a vincere e a segnare.
Morirà di alzheimer nella sua Budapest, finalmente libera, il 17 novembre del 2006 ed ai suoi funerali, fuori dal parlamento, verrà ammainata la bandiera ungherese per lasciare spazio ad una completamente nera in segno di lutto. Ad un undici anni dalla sua scomparsa nessuno lo ha ancora dimenticato e nessuno dimenticherà mai quella squadra che diede gioia e coraggio a tutto il popolo ungherese.
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