Bisogna intervenire nel nostro sistema calcio: dalla politica che incentiva l’acquisto di un giocatore straniero (anche mediocre) ai metodi di allenamento
Resterà nella memoria di tutto gli appassionati, e per lunghissimo tempo, la figuraccia dell’Italia a Euro 2024. Una sola vittoria in quattro gare, eliminazione negli ottavi contro la Svizzera, atteggiamento ingiustificabile, giustificazioni inaccettabili. Tutto questo da campioni in carica e in gare nelle quali gli azzurri sono sempre andati sotto. Dall’Albania (in gol addirittura in pochissimi secondi, ma lì ci fu una reazione), alla Svizzera, passando per la sconfitta (indecorosa anche quella) contro la Spagna e il pari riagguantato al 98’ grazie a una percussione di Calafiori e al gol bellissimo di Zaccagni. Adesso bisogna cambiare. E bisogna farlo subito, nell’immediato. Senza aspettare, come invece è stato fatto in passato.
Bisognava già farlo all’indomani dell’eliminazione al primo turno al Mondiale di Sudafrica 2010, ma aver raggiunto la finale (persa 4-0 contro la Spagna) a Euro 2012 ha posticipato gli interventi da fare. Che poi non sono stati fatti né all’indomani del nostro ultimo Mondiale (fase a gironi a Brasile 2014) né per la mancata qualificazione al torneo iridato di Russia 2018. Poi è arrivato il successo a Euro2020 (nel luglio 2021, causa Covid, ai rigori contro l’Inghilterra) e la non qualificazione ai Mondiali di Qatar 2022. Ora si deve intervenire davvero e ci deve essere la partecipazione di tutto il sistema. Anche perché non si può compromettere la qualificazione al Mondiale 2026, che si disputerà per la prima volta in tre paesi (Stati Uniti, Messico e Canada). Mancare quello del 2018 fu triste, essersi ripetuti nel 2022 è stato drammatico. Farlo anche una terza volta di fila, nel 2026, può essere tragico per tutto il movimento. Come trovarsi davanti a un baratro e non fare un passo indietro.
Son tutti d’accordo su una cosa. Basta tattica ossessiva. Se inculcata ai ragazzi, uccide il talento. Nel breve aiuta di sicuro, ma illude. Perché è vero che le nostre Nazionali giovanili vincono – Under 17 e Under 19 sono campioni d’Europa, mentre la nostra Under 20 è vice campione del mondo –, ma i nostri talenti (che ci sono, magari non tantissimi come un tempo, ma ci sono) non riescono a fare il salto tra i grandi. Il motivo è che noi alleniamo squadre, non giocatori. Diamo loro troppa tattica, che forse serve per arrivare tranquilli fino a 20 anni, ma non serve per mostrare le proprie qualità. Per dare ascolto al proprio inconscio e alla propria fantasia. Nei ragazzi italiani manca quella sana follia in campo di provare una giocata, un uno contro uno, di affrontare a duello un avversario. Basta prendere come esempio i due giovanissimi della Spagna: Yamal (e ha solo 16 anni) e Nico Williams. Sono di un altro pianeta.
Ci mancano molti giocatori in diversi ruoli. In primis, e non è un segreto, da tempo ci manca il 10. Perché ormai nessuno gioca più con il trequartista e allora abbiamo perso i Baggio, i Del Piero e i Totti. Non c’è in giro un centravanti da vero numero 9. E questo perché nel settore giovanile non c’è nessuno che insegna ai ragazzi come far salire la squadra, proteggere il pallone o attaccare gli spazi.
Ci sono allenatori delle giovanili che pensano al risultato o a fare carriera. Ma loro non devono essere allenatori. Devono essere insegnanti di calcio. L’Italia dei giovani lavora come in un laboratorio: passaggi, schemi, costruzione, ma non c’è il duello, lo scontro fisico, la difficoltà della partita. Si obbligano i ragazzi a memorizzare schemi e situazioni. Rallentando, perché è questo quello che succede, la loro crescita. Bisogna dare ai giovani un nuovo metodo di allenamento. Devono avere il diritto di sbagliare, risbagliare e sbagliare ancora, ancora e ancora.
Soltanto così potranno avere le idee chiare in campo, affinare la propria tecnica, affrontare fin da subito l’avversario a viso aperto. È questo il calcio. Perché i nostri talenti devono avere la possibilità di giocare stabilmente nelle prime squadre. Ora molte big del nostro campionato scendono in campo con 10-11 stranieri e prima erano tra le squadre che davano più giocatori alla nostra Nazionale. Questa è una cosa che non può e non deve succedere. Anche perché i talenti delle nostre Under azzurre sono quelli che giocano meno con i grandi e fanno meno esperienza all’estero. Inoltre, bisogna migliorare lo scouting. Bisogna cercare nei posti più disparati i bambini che giocano a calcio, affinare la loro tecnica, costruirli come giocatori. Abbiamo perso tutto questo, che era la nostra tradizione.
In serie C c’è la Juventus Under 23 da tempo. Poi è arrivata l’Atalanta e dalla prossima stagione, allenata da Daniele Bonera, ci sarà anche il Milan. Questa è una buona soluzione. Se ce ne fossero di più, sarebbe meglio. Certo, queste seconde squadre hanno un costo, ma sui giovani bisogna investire. Senza paura, senza timori, senza ripensamenti. Anche perché bisogna evitare la fuga dei talenti all’estero, dove è il giocatore al centro, non la squadra. E dove l’obiettivo, più che vincere un torneo giovanile, è creare un gruppo che in qualche anno vinca in serie A.
Il problema stranieri? Pensare di obbligare le giovanili a schierare un minimo obbligato di italiani è impossibile: qui comanda il mercato. Per i giudici Ue, il totem è la concorrenza economica, non contano aspetti sociali o altro. Infatti, le nostre giovanili sono ricche di stranieri modesti e la politica aiuta a comprarne di più. Forse si può scavalcare così il problema: si possono riconoscere incentivi economici ai club che promuovono giovani italiani convocati nelle Under, in proporzione alle selezioni. Niente cifre folli, ma il vivaio di una squadra può puntare ad autofinanziarsi e fare affidamento sui talenti italiani. Perché sì, magari – come già detto – ce ne sono di meno rispetto ai decenni passati. Però, ci sono, eccome. Bisogna puntare su di loro. Bisogna permettergli di entrare nel mondo del calcio dalla porta principale. Non come sostituti di giocatori mediocri neanche formati dai nostri settori giovanili. Ed è giusto adesso che tutte le istituzioni – a partire dalla Figc passando per tutte le Leghe professionistiche (A, B, C) – lavorino in maniera compatta per raggiungere risultati importanti.
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