Grecia terra di contraddizioni, culla materna della civiltà intesa in senso odierno, patria di filosofia ed epica, terra di matematica e geometria. Paese affascinante, cosparso dell’aura del Partenone ma stretto al laccio della crisi economica. Dimitris Christoulas era un pensionato di 77 anni, ex farmacista, che si tolse la vita nell’aprile 2012 scegliendo di suicidarsi nella centralissima piazza Syntagma. Qualche mese dopo la Grecia dei Samaras – l’attaccante Giorgos e il primo ministro Antonis – sarebbe uscita dall’Europeo di Polonia e Ucraina per mano della Germania. In quell’occasione furono molti i bookies che scommetterono impietosamente su una doppia grexit, calcistica e monetaria, la seconda delle quali non ancora arrivata. Così la crisi oltre a mietere vittime tra i civili serpeggia tra il Georgios Karaiskakis de Il Pireo, la zona portuale di Atene, rincasando con gli operai di giorno (e ultras del Gate 7 la notte), e l’Apostolos Nikolaidis di Atene, culla che nel 1908 conferì i natali al club di tutti gli ateniesi, il Panathinaikos. Nel mezzo l’AEK e il PAOK, origine rifugiata, quelle due aquile bicefale ognuna con occhi puntati sia sull’Ellade che sulla Turchia. Bizantini e ottomani, dominazioni e conflitti, pretese di pulizie etniche e genocidi.
C’è tutto questo in “Narrami, O Dellas“, un libro, il primo a tutto tondo su un calcio passionalmente spinto all’eccesso come quello ellenico. Non ci si faccia trarre in inganno dai pochi nomi altisonanti (sempre meno), da rotoli di carta igienica e pezzi di bancomat lanciati dagli spalti, da presidenti imbufaliti che scendono a interloquire con l’arbitro – e con un fare minaccioso – armati di pistola. Il calcio greco è uno spettacolo per pochi occhi, anni luce lontani dall’estetica calcistica europea, per palati non troppo fini ma bisognosi di genuinità piuttosto che passione. Non è un mistero che la Super League sia poco attraente per gli stessi greci, che cercano disperatamente l’approdo altrove, così come non è sbagliato – purtroppo – dire che i vari sindacati dei calciatori ammoniscono chiunque a prestare molta attenzione prima di firmare un contratto con cui legarsi a un club ellenico. Legger bene le clausole è l’unica arma con cui difendersi, in tribunale, nel caso (sempre più frequente) in cui non vengano corrisposte le mensilità dovute.
In questo macrocosmo, si cristallizzano storie variopinte e variegate, tutte presenti in “Narrami, O Dellas“: quella di Vasilis “Vasia” Hatzipanagis è un esempio lampante, miglior calciatore greco della storia sebbene abbia giocato solo due partite con la nazionale, ma amatissimo dai bambini ellenici che lo preferiscono a Leo Messi. O la tragedia del Gate 7, una storia che accomuna tristemente il Gate 7 dell’Olympiakos e l’Original 21 dell’AEK. Ancora, c’è spazio per la filantropia ateniese, le generose donazioni di mister Evangelos Marinakis e gli aiuti del Panathinaikos sotto forma di sottoscrizione di fette di debito pubblico in collaborazione con Peter Nomikos. Si vive di storie, pure di miti, molti dei quali curiosi: il motivo per cui la nazionale greca prende il nome da un vascello pirata è riconducibile alle onde messe in scena nella cerimonia inaugurale dell’unico torneo vinto dall’Ellade, per esempio.
In “Narrami, O Dellas“, non poteva infine mancare un quadro su Euro 2004, l’estasi, il ritorno ad Atene del vello sotto forma di trofeo europeo. Un mix tra Iliade e Odissea: le battaglie lusitane, Lisbona sconsacrata come la rocca di Priamo e il Da Luz conquistato sotto le cocenti folate degli Achei. Ma pure il ritorno a casa, che come per Odisseo non fu semplice. Mentre Theodoros Zagorakis sedeva in aereo al fianco della meritata riconoscenza ottenuta, in patria si pensava alle Olimpiadi e non alla crisi. Sarebbe dovuto esser un grande momento per la Grecia, non solo sportivamente parlando: turismo, crescita economica, un ritrovato fervore che facesse da sfondo all’ascesa di un paese che reclamava prestigio. Non sarà affatto così, dal 2008 Atene sarebbe divenuta la capitale-specchio della crisi economica mondiale e i tagli non avrebbero risparmiato il calcio. E forse è proprio per questo che l’inatteso trionfo di Euro 2004 assunse un ruolo ancor più importante: riprendere in mano antichi fasti sognandone una mimesi, una nemesi che si fondasse sulla catarsi, per staccare un attimo gli occhi dalla monotonia dirompente. Senza dracme, ma con un orgoglio comunque ferito. Il peso di esser campioni d’Europa e la voglia – immensa a questo punto – di calcio.
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