Ci sono maglie che hanno fatto la storia del calcio in Sudamerica e Walter Montillo le ha vestite tutte. La 10 dell’Argentina, la 10 del Santos, la 7 del Botafogo: tutte reliquie di un continente che ha insegnato l’amore per il calcio.
Ed è singolare che ad averle indossate sia proprio questo trequartista argentino, certamente dotato di una tecnica di base di altissimo livello, ma non un iniziato del calcio. Montillo è un fantasista, un enganche puro, un mago dei filtranti, un giocatore dal controllo palla eccelso: qualità da confinare al suo contesto chiaramente, tanto che non ha mai lasciato il Sudamerica se non per una parentesi in Cina per sfruttare un contratto fuori portata per i club in cui ha giocato.
Eppure c’è tanto da raccontare di Walter Montillo, una persona speciale oltre che un giocatore che sa come far divertire il pubblico: diventò virale la sua lotta contro le istituzioni scolastiche perché non riusciva a segnare a scuola suo figlio. “Ha la sindrome di Down, mica una bomba atomica!” tuonava su Twitter per cercare sostegno in una battaglia che faticava a vincere per colpa di vergognose opposizioni.
Eppure lui è riuscito a ripercorrere la storia del calcio sudamericano, portando sulla schiena i numeri più pesanti di tutti. Persino il 10 dell’Argentina, quello di Messi e Maradona: la maglia dell’Albiceleste l’ha potuta vestire per sole tre volte, una entrando al posto di Messi, un’altra proprio con quella di Messi, peraltro contro il Brasile.
Già, il Brasile. Altra tappa meravigliosa della sua carriera dove ha aggiornato la sua collezione: è passato dal Santos per vestire la 10 di Pelé, il giocatore che ha sconvolto il concetto di questo numero nel gioco del calcio, donandogli quel fascino irresistibile a cui ogni grande giocatore di fantasia non sa resistere. E poi il Botafogo, la sua squadra di Rio: il 7 che ha portato è quello del più grande numero 7 brasiliano di sempre, Manoel dos Santos, per tutti Garrincha.
Ripercorrere la carriera di Montillo equivale a fare un viaggio in prima classe tra le leggende più grandi di Argentina e Brasile. Oggi è uno dei giocatori simbolo però di una squadra cilena, la U de Chile, un pubblico che l’ha voluto fortemente dopo essersene innamorato nella prima esperienza con gli Azules: perfetta dimostrazione che sulla sua schiena ha fatto la differenza anche il nome oltre ai numeri che ha vestito.
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