Leao e Theo dominano quando tutto è semplice, ma scompaiono quando serve davvero il morso. Il Milan ha bisogno di felini veri, non da copertina
Vittoria netta, rotonda, senza appello. 4-0 in trasferta è un risultato che in altri tempi ci avrebbe fatto saltare sul divano, magari anche sognare. Oggi no. Oggi resta l’applauso trattenuto, l’occhio critico, lo sguardo sospettoso. Perché è vero che a Udine il Milan ha passeggiato, ma è anche vero che lo ha fatto quando tutto era già compromesso. Dopo settimane di prestazioni scialbe, di punti lasciati a chiunque, di tensioni interne e silenzi assordanti, ci voleva uno scatto. E puntualmente, sono arrivati loro.
Leao e Theo. La pantera e il giaguaro. Quelli che, quando il clima è sereno, quando l’avversario è in disarmo, quando San Siro non rumoreggia, si trasformano in creature inafferrabili, in funamboli e sprinter, in superstar da highlights. Il problema? È che non lo fanno mai quando conta davvero.
Basterebbe sfogliare l’album degli ultimi mesi per rendersene conto. Le prestazioni di Leao e Theo nei big match, nelle serate di pressione, nelle sfide che spostano una stagione, sono state regolarmente sotto tono. Gatti bagnati, non felini feroci. Contro Inter, Napoli, Roma, Juventus: poca roba. Qualche scatto, qualche accelerazione, e poi il buio. Un’assenza ingombrante, che fa più male del nulla.
E non è solo una questione tecnica. È una questione di personalità. Di presenza. Di quella fame che distingue i buoni dai grandi, i bravi dai vincenti. Theo e Leao, al Milan, hanno avuto campo, fiducia, investitura. Ma quando serve davvero — quando c’è da sporcarsi, da trascinare, da graffiare nel fango — spariscono. E chi ama il Milan, chi lo ha vissuto nei suoi anni migliori, questo non può accettarlo.
Siamo al 14 aprile 2025, e la corsa Champions è tutt’altro che chiusa. Il Milan, dopo mesi di alti e bassi, può ancora farcela. Ma non lo farà con i giochetti da circo contro l’Udinese. Lo farà se Leao e Theo decideranno di diventare leader, non solo esteti. Perché è facile danzare quando il vento è a favore. Più difficile restare in piedi quando arriva la tempesta.
Non servono prodezze. Servono costanza, rabbia, cuore. Serve che Leao, quando la squadra è in apnea, si prenda la palla e alzi il livello. Che Theo non si limiti a fare lo slalom nel nulla, ma tenga anche la posizione, chiuda, urli. Il Milan ha bisogno di uomini, prima ancora che di campioni.
Quando vedo Leao accendersi con una finta e un tunnel inutile sul 3-0, non riesco a sorridere. Penso a Kakà. A quello vero. Quello che non dribblava per Instagram ma perché voleva vincere. Penso a Maldini, che non aveva bisogno di correre come Theo, ma non mollava mai. E mi chiedo: siamo ancora il Milan?
Le pantere e i giaguari sono belli da vedere. Ma servono leoni, lupi, condottieri. Se vogliamo davvero tornare in Champions, servono giocatori che ruggiscono anche quando c’è da soffrire. E se Theo e Leao vogliono essere uomini da Milan, il momento per dimostrarlo è adesso. Non a Udine. Ma contro chi ci mette paura.
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