L’Inter si gioca la semifinale di Champions, il Milan osserva. Con invidia, rabbia, nostalgia. E con la speranza di tornare, presto, a giocarsi tutto in una notte
A guardare oggi in città, sembra che esista una sola Milano. Ed è quella nerazzurra, rumorosa, euforica, sicura. L’Inter di Inzaghi va verso il ritorno con il Bayern Monaco con la leggerezza delle squadre che non hanno dubbi. Testa alta, petto in fuori, gente che parla di scudetto già vinto, di Triplete 2.0. E come dargli torto? Sono primi in campionato, in semifinale di Coppa Italia e vicinissimi alla semifinale europea. Non gli manca nulla. Neppure l’arroganza.
E noi? Noi stiamo a guardare. Da dietro il vetro. Da una stagione che ci ha tolto più di quanto ci abbia dato. Fonseca prima, Conceiçao poi. Un’identità che non si è mai formata davvero. Prestazioni a intermittenza. Un Milan che non ha mai avuto il respiro lungo, quello che serve per arrivare a primavera con la fame viva e il cuore carico. E allora sì, lo dico: li invidio.
La semifinale di ritorno di Coppa Italia ci dà l’occasione — forse l’unica rimasta — di rovinare qualcosa. Una macchia sul vestito da sera, una crepa nel vetro perfetto della stagione nerazzurra. E se c’è una cosa che il Milan ha sempre saputo fare, è colpire quando nessuno ci credeva più. L’abbiamo fatto a metà stagione, in quella Supercoppa Europea vinta 3-2 quando sembrava persa, con quel gol di Abraham al 90’ che ancora oggi brucia nei sogni dei cugini.
La speranza è tutta lì. In un guizzo, in un colpo di teatro. Non basterebbe a salvare una stagione, no. Ma basterebbe a ricordare che il Milan, quando conta, sa ancora colpire. Sarebbe un gesto d’orgoglio, una scintilla, una vendetta poetica. E magari anche un avvertimento: non siamo morti, stiamo solo cercando di capire chi siamo.
La verità, però, è che non mi interessa solo rovinare i sogni degli altri. Voglio tornare a vivere i miei. Voglio tornare a quei giorni pieni, intensi, vibranti. Quelli in cui ogni partita era un bivio, ogni notte un’ossessione, ogni attesa una preghiera. Come nel 2007, quando il Milan sapeva diventare feroce in primavera. O nel 2022, quando lo scudetto sembrava un’utopia e invece è arrivato, contro tutto e tutti.
Mi manca vedere il Milan vivere e non sopravvivere. Mi manca credere che ogni competizione sia un obiettivo, non una scocciatura. Mi manca sentire la paura negli occhi degli avversari, non nei nostri. Oggi ci resta la Coppa Italia, una corsa Champions complicata, e tanti punti interrogativi. Ma se c’è una cosa che questa maglia ha insegnato a chi la ama, è che dopo ogni discesa può esserci una risalita. Anche se a volte sembra impossibile.
Domani sera tiferò… no, non lo dirò mai. Ma guarderò. Guarderò San Siro pieno, i cori, le luci, la tensione. Guarderò gli altri — i cugini, sì — vivere quella dimensione che un tempo era nostra. E penserò a quanto ci manca. A quanto manchiamo noi a noi stessi.
Ma poi tornerò a crederci. Perché siamo il Milan. Perché la nostra storia non è fatta solo di gloria, ma di risalite. E perché, prima o poi, questi giorni torneranno ad essere nostri.
Non per rovinare la festa degli altri. Ma per tornare ad alzare le coppe. Le nostre.
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