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Ostrava ti ama, il resto della Repubblica no

È il terzo minuto di recupero. Baník Ostrava e Viktoria Plzeň sono sullo 0-0 quando il terzino destro Martin Fillo crossa un pallone nel cuore dell’area. Al centro c’è Milan Baros mentre sugli spalti, in tempo di coronavirus, quattromila persone trattengono il fiato. È domenica 5 luglio 2020 e il telecronista sentenzia malinconicamente: «Alla fine Baros ha avuto una grande occasione per segnare un gol decisivo. Peccato non abbia colpito il pallone, la partita finisce in parità». Nelle interviste post-gara, il tecnico del Baník, Luboš Kozel, avrebbe scherzato: «La prestazione è stata migliore delle solite partite». Baros, più sollevato che affranto, avrebbe confidato: «Colpa del sole, mi ha abbagliato e ho perso di vista il pallone».

L’errore nel finale ha riassunto per alcuni l’imperfezione della carriera di Milan Baros, entrato al 73’ della sua gara d’addio accompagnato dai fumogeni che hanno obbligato l’arbitro Ardeleanu a interrompere il gioco: «Non sopporto più il dolore – aveva detto – è davvero impossibile allenarsi o comunque giocare. Sono contento di esser sceso in campo, sono durato 39 anni, è parecchio per un calciatore, ma il tempo non si può fermare». Si può però ritirare la maglia numero 27, ed è quello che il Baník Ostrava ha fatto. Per Baros, il viaggio è durato dal 1993 al 2020 e l’ha portato a essere il secondo capocannoniere nella storia della Repubblica Ceca (41 reti, dietro alle 55 dell’amico Jan Koller).

A fine gara è partito il tributo e il tecnico Kozel ha preso la parola: «Ha giocato 17’, mostrando il suo talento. Ci mancherà la sua personalità e solo il tempo potrà dire quanto». Il presidente del Baník, Václav Brabec, ha organizzato un video emozionale coi vecchi compagni di Baros: Poborský e Čech, Nedvěd e Rosický, Berger, poi Hyypiä e Jerzy Dudek. Coi primi, la mente va a Euro 2004 in cui solo la Grecia eliminò la nazionale di Karel Brückner, con medaglia di bronzo al collo e Baros capocannoniere di quell’Europeo (5 reti). I secondi rivangano la Champions League vinta nel 2005, primo ceco di sempre assieme al connazionale Vladimir Šmicer, autore rispettivamente di una delle reti al Milan e del saluto all’altro Milan – Baros – da un bar, con una pinta di birra in mano.

Sulla scia di Miroslav Wiecek (174 goal), Verner Lička (103) e Václav Daněk (196), Milan Baroš (141) è parte integrante della storia del Baník Ostrava. Amato e odiato. Il giornalista Jiří Tomaškovič gli disse, un giorno: «Ostravsko vás miluje, zbytek republiky už tolik ne», che tradotto vuol dire «Ostrava ti ama, il resto della Repubblica no». Sul tema è intervenuto anche Václav Daňek: «O lo ami o lo odi, ma la maggior parte delle notizie su di lui è stata gonfiata, perché parlare di Baros vende bene». Effettivamente, il materiale non manca. L’argento all’Europeo 2000, perso in finale contro l’Italia. I problemi a Lione sotto la gestione Gérard Houllier, un giovanissimo Benzema scalpitante e un gesto razzista di Baros nei confronti di Mbia. I 271 km all’ora in autostrada, con macchina confiscata. Le zero reti a Portsmouth. Gli insulti al tecnico Hagi e le orinate in pubblico a Istanbul. C’è di più: un ballo nudo con un preservativo appeso all’orecchio, le fughe d’amore a Praga, la storia della stanza 433 piena di prostitute. Nel 2009, Baros fu espulso dalla nazionale. Nel 2013 tornò a Ostrava e rinunciò allo stipendio devolvendolo alle giovanili. Giocò al Mladá Boleslav, allo Slovan Liberec, nel 2017 tornò infine al Baník.

Il culmine della sua carriera, Baros, lo visse tra Euro 2004 e la stagione 2008/09, quando al Galatasaray segnò 26 reti. La sua resta una figura controversa, tra il burrascoso rapporto coi giornalisti e la mozione presentata nel 2015 alla commissione disciplinare per interrompergli la carriera dopo i suoi tweet, tra cui uno – inequivocabile – in cui parlò di «corruzione» e di un «pozzo nero». Disse addio alla nazionale nel 2012, quando l’ariete Tomas Pekhart avrebbe dovuto spiccare il volo. Ha detto addio al calcio quest’anno, dopo 16 presenze, ulteriori insulti agli arbitri e un pugno sferrato in un hotel di lusso a Beskydy che gli valse una denuncia.

Accompagnato dalla famiglia (la moglie Tereza, i figli Patrik e Matteo) e dai cronici problemi al tendine d’Achille, Baros ha oggi detto addio. I tifosi gli avevano chiesto un’altra stagione, lui non volle deluderli («Vediamo») ma già nel giugno 2017 aveva chiarito: «Il mio cuore ha deciso, terminerò la carriera a Baník e sarà un bellissimo addio». È stato l’addio di un’Ostravská ikona, che la si ami o che la si odi.

Matteo Albanese

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