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Més que un entrenador

Ricordarsi di Tito non è un mero esercizio stilistico. Ricordarsi di Tito non è neppure un modo per ostentare il forzato ricordo di un personaggio che ha legato il suo nome all’epopea del Barça. Ricordarsi di Tito non è un’attività finalizzata al semplice salir sul carro di quelli che richiamano ogni anno la sua scomparsa in modo più o meno sentito. Ricordarsi di Tito vuol dire riconoscere come il 25 aprile 2014 non sia scomparso solo un personaggio come altri, ma un més que entrenador. Ricordarsi di Tito vuol dire avere un vago ricordo di video come questo, pubblicato dal canale ufficiale YouTube del Barça ad un anno esatto dalla morte. Siempre etern. Così come l’apertura del Mundo Deportivo il giorno dopo il triste annuncio, “Eterno Tito“. Oggi, 25 aprile 2017, sono passati esattamente tre anni. Eppure, ogni anno di lui ci si ricorda puntualmente sempre.

Il 27 aprile 2014, la Liga non si è fermata. Si gioca. Già a settembre, l’aggravarsi delle condizioni di salute di Tito aveva obbligato il Barça ad assumere Gerardo Martino come tecnico (in molti ritengono sia stato altamente consigliato da sua maestà Leo Messi) e di Vilanova si sapeva più poco. O meglio, si era a conoscenza del fatto che il male era tornato, ma non vi sono state troppe notizie volanti in quel periodo che quelle relative a Tito apparivano quasi schermate. Scomparso Vilanova dopo un’operazione d’urgenza in seguito alla quale ne uscì in fin di vita, l’intero universo blaugrana era affetto da lacrime e sgomento, ancora incredulo, visibilmente provato. Due giorni dopo si sarebbe andati a Vila Real, quando ancora l’impianto si chiamava El Madrigal e non Estadio de la Cerámica. Il commovente minuto di silenzio tributatogli dal popolo amarillo è racchiuso in questo clip ufficiale, e la totale assenza di niente fuorché un’incredibile profondità psicologica deve far riflettere. Le lacrime di Busquets, lo sguardo impassibile di Don Andrés Iniesta, una sensazione di vuoto tangibile pressochè ovunque.

Ma si gioca, e il Barça è colpito al cuore ma obbligato a far bene per continuare la rincorsa all’Atlético nella Liga. Messi avrebbe subito una chance ma le gambe di Asenjo si chiudono, Mario Gaspar suona la carica per il Submarino. E’ chiaro come i blaugrana non siano in condizione di focalizzarsi solo sul campo, perdono tanti palloni, appaiono riconoscibili a stento. La truppa di Marcelino gioca bene, ma nel giro di un quarto d’ora perde Perbet e Pina per infortuni (dentro Pereira e Aquino, col messicano che ha subito avuto una nitidissima chance per segnare ma il suo tentativo viene salvato in extremis da Bartra). Sul finire del primo tempo, al minuto 46, lo sforzo profuso porta al vantaggio del Villarreal: Pereira imbecca Cani solo davanti a Pinto, beffato da un precisissimo rasoterra da parte del Diez. Al rientro dagli spogliatoi, Messi & co sono ben più decisi a portarsi a casa la sfida: la Pulce chiama Asenjo alla respinta, poi il duello si ripete da calcio di punizione ma ancora l’estremo difensore iberico evita il pari. In tutto questo, il submarino si chiude a riccio ma quando riparte diventa letale: al 55′ Javier Aquino s’invola sulla sua corsia di competenza, la destra, e fa partire un cross sul quale interviene Manu Trigueros di testa. La perfetta parabola, che rende inutile il volo di Pinto, è da applausi. Due a zero, che però non induce il Barça ad allentare la presa. Anzi, i blaugrana spingono forsennatamente sull’acceleratore: ancora Messi ci prova su punizione deviata dalla barriera, come da copione respinge Asenjo. Xavi e Dani Alves banchettano poco al di fuori dell’area amarilla, la sfera arriva sul destro educatissimo di Iniesta che a giro non trova la porta per questione di centimetri. Ma c’è aria di gol, e dopo tante chances, ne viene finalmente concretizzata una: tutto in velocità, Iniesta per Adriano, Adriano per Xavi, Xavi per Pedro che tocca di tacco, quindi Dani Alves che crossa, deviazione decisiva di Gabriel Paulista che manda il pallone nella propria porta. E’ il 66′. Quando il cronometro al polso di David Fernández Borbalán segna invece il 78′, è sempre il Barça ad attaccare: Messi danza sul pallone, lo fa comparire e scomparire prendendo in prestito per un attimo il soprannome di El Ilusionista ad Andrés Iniesta. Ad un certo punto lo attaccano in due, la Pulga retrocede e serve Dani Alves che crossa, traiettoria beffarda, Gabriel Paulista finta il colpo di testa a rinviare, dietro a lui non può far nulla Mateo Musacchio. Lui la palla la prende, in pieno, e beffa il suo numero 1 confezionando la seconda autorete della partita. Sarà un incubo, per i due difensori centrali di casa. Ma non è finita. Dopo aver inserito anche Fábregas e Tello al posto di Xavi e Sánchez col preciso scopo di tentar l’assalto finale, non c’è pace per l’area di rigore dell’undici di Marcelino. Una punizione di Messi diretta nel sette viene smanacciata ottimamente da Asenjo, prima che accada l’impensabile. Siamo all’83′, Busquets ha appena recuperato l’ennesimo pallone della sua gara, questa volta soffiato all’appena entrato Uche. Sergio avanza, poi osserva Fábregas scattare in area e lo serve con un lob da sogno, manco fosse stato Xavi. A questo punto, sponda di testa del numero 4 e pallone comodo comodo per il destro piazzato di un Leo Messi lasciato colpevolmente solissimo, indisturbato, davanti al portiere Asenjo. Soliti indici puntati al cielo, abbraccio composto coi compagni e festeggiamenti tranquilli. Le telecamere vanno a cercare e trovano uno striscione sugli spalti de El Madrigal: “Tito, siempre seràs un exemple”. Tutt’intorno, la curva amarilla dello stadio aveva indossato una maglietta con su scritto “Forever Tito”. Ma la partita non è finita, c’è ancora tempo per le polemiche dei padroni di casa dopo un intervento irregolare di Busquets su Aquino che il direttore di gara però non ha rilevato. E dunque finisce così, con la vittoria in rimonta del Barça, con sia la rete di Messi che i tre punti dedicati a Tito. Le parole di Mascherano, a fine match, saranno commoventi: “Quello che ci interessa è stare vicini alla famiglia di Tito Vilanova, gli mando un grande abbraccio, condividiamo lo stesso dolore. La partita contro il Villarreal è stata una lotta fino alla fine, proprio come la vita di Tito”.

Se il Barcellona è més que un club, allora Tito era més que culé. Ed è più di un allenatore perchè è un simbolo del barcelonismo. Prima di lui, l’era Guardiola. Dopo di lui, quella Luis Enrique. Quando l’ex tecnico asturiano lascerà la panchina blaugrana, e pare avvenga a fine stagione, si sa già il nome che balzerà in pole per la sua sostituzione: Juan Carlos Unzué, attuale assistente allenatore del Barça. Ex portiere, Unzué faceva da riserva a Zubizarreta a ridosso degli anni ’90: era la squadra allenata da tale Johan Crujff, ma in campo trovavano posto tra gli altri anche Eusebio Sacristán, Jordi Roura, Ernesto Valverde, poi Gary Lineker o Michael Laudrup. Crujff allenò fino al 1996, quando cioè le tensioni con l’allora presidente Josep Lluís Nuñez si fecero tali da gettar le basi per le dimissioni dell’olandese. Al suo posto fu promosso il vice Carles Rexach, poi nel 1996-97 fu il turno di Bobby Robson sedere sulla panchina del Barça dopo l’era del Dream Team crujffiano. In campo, il manager inglese poté contare su un paio di personaggi il cui nome non vi sarà nuovo. Ve li elenco in rigoroso ordine sparso: Josep Guardiola, Abelardo Fernández, Iván de la Peña, Julen Lopetegui, Laurent Blanc, Gheorghe Popescu, Luís Figo, Juan Antonio Pizzi, Hristo Stoichkov. Tutti quanti poi divenuti allenatori (tranne Popescu, oggi procuratore, e Figo dirigente), a testimonianza di quanto l’eredità di Cruijff abbia influito su di loro. E comunque, piccolo trascurabile dettaglio, verranno gettate le basi per il Barça vincente degli anni duemila.

Francesc Vilanova i Bayó, in prima squadra non ha mai giocato. Ci è nato, in Catalogna (a Bellcaire d’Empordà), e ci è cresciuto (in quel favoloso mondo che è La Masia), ma non ha mai vestito il blaugrana della squadra A. Centrocampista, inizialmente ha calcato il palcoscenico di Primera División col Celta Vigo, poi ha speso il resto della sua carriera in Segunda División (Mallorca, Lleida, Elche). Certamente non è per quanto intravisto dal campo che Tito è diventato famoso. Da allenatore, invece, sì. Dopo un paio di esperienze varie (la più curiosa risale al 2003, quando allenò per poco tempo le giovanili dell’Inter), dal 2007 diventa entrenador per il Barça B e ritrova un grande amico: Josep Guardiola, col quale il rapporto è strettissimo, i due sono molto amici. L’anno successivo, quando Pep viene promosso in prima squadra, Tito lo segue da vice. Saranno quattro anni magnifici, ricchissimi di trofei e soddisfazioni. Per stessa ammissione di Guardiola, conquisteranno la cima del mondo. Nel 2011, Tito resterà celebre per esser stato colpito da Mourinho con una ditata nell’occhio. Era il vice allenatore più pagato al mondo. Nel 2012-13 invece, sarà l’ottavo tecnico meglio retribuito (7 milioni annui): ma questa volta, allenerà la prima squadra. Dopo l’addio di Pep, la scelta della continuità aveva fatto ricadere la scelta su di lui: “Vilanova rappresenta il Barça”, commenterà il ds Zubizarreta.

Un capitolo di cui non ho ancora espressamente parlato è quello della malattia. Dovete sapere che nel novembre 2011 fu diagnosticato a Tito un tumore alla ghiandola parotide. Operato con successo il 22 di quel mese, il problema pareva svanito. Come in moltissimi casi, tuttavia, il male si è ripresentato e ha bussato alla porta del tecnico nel dicembre 2012. Nuovamente riconosciuto, il 20 dicembre Tito si è sottoposto ad un secondo intervento chirurgico. Siccome però avrebbe dovuto sottoporsi ad un ciclo di radio e chemioterapia della durata di sei settimane (dovendo tra l’altro esser visitato a New York), il posto in panchina vacante fu preso ad interim dal vice Jordi Roura: era appena cominciato il mese di febbraio. Tito rimane in America, si sottopone alle cure, rientra il 29 marzo giusto in tempo per vincere La Liga. Nell’estate che si apprestava a venire, quella del 2013, l’aggravarsi delle sue condizioni di salute lo ha però obbligato a lasciare il club. Una ricaduta, un’altra, nuove analisi, tutto confermato. Era il 19 luglio 2013 e questo comunicato annunciava come Tito non potesse più allenare. Questo pezzo pubblicato da Ramon Besa lo definisce “màs que un entrenador”, ma parla anche dei retroscena sulla sua sostituzione. Sempre nel suddetto comunicato, il presidente Bartomeu aveva chiesto a tutti il massimo riserbo, conformemente alle volontà di Vilanova. Sarà così, le notizie sullo stato di salute di Tito saranno solo brevissimi flash. E la privacy sarà massima. Com’era giusto che fosse. Il 24 aprile del 2014, Tito è stato operato d’urgenza ma è deceduto il giorno dopo.

Era il 25 aprile 2014. Esattamente tre anni fa. Vengono i brividi. Da allora, l’universo barcelonista ha sempre mantenuto un fortissimo legame affettivo con un personaggio sfortunato che avrebbe certamente meritato un altro destino. Tale legame è stato tenuto a mente anche quando, nel febbraio 2015, all’interno della  Ciudad Deportiva è stato intitolato all’ex tecnico il primo campo d’allenamento. Dentro quei 136.839 metri quadri di terreno destinati a quartier generale (nonchè base dell’accademia del Barcellona, porta il nome del fondatore Joan Gamper) è oggi presente il Camp Tito Vilanova. Un altro segnale dell’eccezionale attaccamento a Vilanova si è palesato il 23 ottobre 2013. Siamo a tre giorni dal Clásico, contro il Real: la tifoseria organizzata decide che la coreografia sarebbe stata dedicata a lui. Ecco dunque un gigantesco “Força Tito” composto da 98mila pezzi. Un mosaico incredibile, che farà da preludio ad una vittoria fondamentale (Neymar, Sanchez e Jesé Rodríguez per i blancos). Inoltre, questo pezzo pubblicato da Luis Martín per El País lo definì “el tipo que trabaja durmiendo”. Leggetelo, dateci un’occhiata: merita. Anche solo per capire come sia possibile che un personaggio come Tito viene omaggiato ogni anno. E chissà come ricorderanno la sua scomparsa i canali social del club, sempre molto attivi. Lo scorso anno, o due anni fa (non ricordo precisamente) pubblicarono un video che definir toccante è assai riduttivo.

Sul rapporto poi tra Tito e Leo Messi si potrebbero buttar giù gran libri. “Non ti dimenticherò mai Tito” twittò la Pulga una volta saputa la notizia della morte dell’ex tecnico. Ma ancor di più fece riflettere quello che Hank ten Cate rivelò nei primi di gennaio 2015 al quotidiano olandese De Telegraaf. Personaggio storicamente molto legato all’ambiente culé (fu vice di Frank Rijkaard), dichiarò: “Messi è ancora al Barça perché lo ha promesso a Vilanova sul letto di morte”. Un fulmine a ciel sereno, una notizia confermata successivamente anche dall’emittente iberica TV3. In particolar modo è emerso come l’argentino, recatosi a trovare Tito in fin di vita, avrebbe acconsentito alla richiesta di Vilanova relativa al prosieguo della carriera in blaugrana del Diez argentino. Una promessa, quella di rimanere in Catalogna, che consisterebbe in quello che TMW ha definito “un ultimo regalo al Barça”. Ma il nome di Tito è saltato fuori anche quando, sempre nel marzo 2015, il presidente del club Josep Maria Bartomeu fu accusato di evasione fiscale per non aver dichiarato l’effettivo importo di denaro versato al Santos per l’acquisizione di Neymar. Inizialmente erano stati 57,1 i milioni interessati, prima che le indagini scoprissero come l’importo dovesse esser sensibilmente più elevato. Insomma, il Barça aveva strapagato O’Ney. Col tempo la cifra sarà oggetti di numerosi studi, tanto che oggi parrebbe attestarsi sui 111 milioni di euro. Ma torniamo alla vicenda: nel marzo 2015, la radio Cadena Ser ha riportato le parole pronunciate da Bartomeu dinanzi al giudice. Sono parole orribili, sconcertanti, con cui il presidente tenta di difendersi tirando in ballo il defunto allenatore. Hanno fatto scalpore, creato imbarazzo, sollevato un polverone da parte di un’opinione pubblica più che mai schifata. Ecco le parole. Nel 2013 vi è stata una richiesta dell’allenatore Tito Vilanova di portare Neymar un anno prima. Secondo Vilanova la squadra ne aveva bisogno prima di quello che avevamo stabilito, perché c’era bisogno immediato di un giocatore del genere. Tito stava facendo la sua chemioterapia, andai a trovarlo a New York e disse che voleva subito fare il cambiamento. Non voleva Villa e voleva firmare immediatamente con Neymar. Era Rosell che ha condotto i negoziati con il padre di Neymar“.

Ho finito. Ma prima di lasciarvi, ancora due cosette. Una la esaurisco subito, è il link ad un pezzo che scrissi lo scorso anno per GolSerieA. Se vi può interessare, ne parlo in ottima leggermente differente. La seconda è questa: voglio concludere il pezzo con le parole che Guardiola dedicò all’amico. Mi sono già soffermato su quanto fosse stretto il rapporto tra i due, in generale però con l’addio di Pep al Barça c’è stato un attimo di tensione. L’ex tecnico blaugrana lanciò accuse al veleno contro la sua ex società (“Il Barcellona ha cercato di utilizzare la malattia di Tito Vilanova per farmi del male e questa è qualcosa che non dimenticherò mai”), poi ne è seguita la smentita del diretto interessato (“Il Barça non mi ha usato contro di lui”) ma qualcosa si era ormai incrinato. La polemica con Sandro Rosell, allora presidente del club, era scoppiata: “A New York ho incontrato Tito Vilanova e se non ci siamo più visti è perché non è stato possibile, ma non da parte mia. È davvero di cattivo gusto dovermi giustificare sui miei rapporti con una persona che è stata mio compagno per tanto tempo”.

Ma al di là di questo, il rapporto tra Tito e Pep è sempre stato di grande amicizia. Eccovi, come promesso, le parole pronunciate da Guardiola dopo aver saputo della scomparsa di Vilanova. Il video lo trovate qui. “Un recuerdo para su padre, su madre, la mujer y los hijos, de parte de mis padres, mi familia y mis hermanos. Tito y yo éramos jóvenes, nos queríamos comer el mundo y nos lo comimos. Sólo decir que la tristeza que siento me acompañará siempre y la voy a sentir toda mi vida. Sin él, sin su trabajo, hubiera sido imposible que yo estuviera aquí. Ganamos muchas cosas juntos. Fue muy importante para mí”.

  

 

Matteo Albanese

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