Chi non riusciva ad immaginare Martin Palermo in altri vesti dopo la fine della sua carriera da calciatore e chi non riusciva a toglierlo dal contesto di un’area di rigore in cui è stato sempre padrone si sbagliava. Da ormai cinque stagioni il Titán è un allenatore a tutti gli effetti: certo, quella camicia attillata che è solito portare sembra stringere dentro di sé la voglia di un grande attaccante del passato di gettarsi nella mischia e il suo stile moderatamente pacato non si addice ad un volto che era abituato a fare la guerra in campo.
Martin Palermo, da guerriero a stratega, uomo decisivo in campo prima e dalla panchina poi. Non è stato facile per lui appendere gli scarpini al chiodo soprattutto dopo l’addio sofferto in una Bombonera che intonava cori solo per lui facendo scendere fiumi di lacrime da un viso solitamente serio e guerrigliero.
La sua vita come un film, è sempre stato così: non certo per le sue sporadiche apparizioni in una telenovela argentina ma per episodi e storie che hanno reso il suo nome unico nel bene e nel male nella storia del calcio argentino.
E come ogni grande film di successo anche la sua storia meritava un sequel. E’ vero quasi mai il secondo film è all’altezza del primo ma chi non è affascinato nel rivedere i propri eroi ancora una volta? E così Martin Palermo ci ha riprovato e dal vestire maglietta e pantaloncini che ha sporcato con l’erba di campi di tutto il mondo è passato ad indossare quella camicia sopra citata che dà tutt’altro tono alla sua immagine.
Ha cominciato ad allenare appena un anno dopo il suo ritiro provando a portare le idee di chi il calcio lo vede da dentro il campo in un contesto che lo obbliga a vedere la partita fuori dal perimetro di gioco. Ha cominciato da Mendoza, città di montagna sulla Ande che guardano al Cile, nazione che rappresenterà il suo futuro. Ha preso un Godoy Cruz allo sbaraglio e lo ha portato alla salvezza: per la prima volta nella storia del club mendocino sono arrivate tre vittorie di seguito che racchiudono un successo anche nel Clasico de Cuyo contro i grandi rivali del San Martin de San Juan.
La sua prima idea tattica è abbastanza innovativa per il calcio argentino: sceglie un insolito 4-1-3-2 con diverse varianti. La difesa a 4 classica ha bisogno di poche presentazioni e segue gli standard canonici di questo schieramento con un centrale che va in marcatura sul centravanti di riferimento e l’altro che invece guida la diagonale degli altri colleghi. In mezzo al campo c’è una linea a tre con un uomo staccato pronto in fase di impostazione a dare via al gioco e in fase di copertura a tappare i buchi nel caso venissero saltati gli uomini a lui davanti. Questa linea di tre centrocampisti è fatto di base di giocatori di qualità come ad esempio Castellani, giocatore di grande tecnica che in un sistema di gioco del genere trova facilmente la via della conclusione dalla distanza. In attacco invece la coppia è classica: un centravanti di peso, in quest caso Mauro Obolo, affiancato da un brevilineo di grande tecnica, Facundo Castillon che agli ordini di palermo ha giocato la miglior stagione della sua carriera.
I risultati sono stati soddisfacenti e il Godoy Cruz da squadra allo sbaraglio ha gettato le basi per un futuro migliore. Sulla base della squadra creata da Martin Palermo l’allenatore successivo, Almiron (attuale tecnico campione d’Argentina con il Lanus) otterrà grandissimi risultati.
La seconda esperienza da allenatore del Titán non è stata delle più felici considerando anche il contesto nel quale si era inserito. Lo scelse l’Arsenal de Sarandí in un anno che segnerà inevitabilmente la storia del calcio argentino: nel 2014 infatti passò a miglior vita Don Julio Grondona, presidente del club e anche dell’AFA, la federcalcio argentina; con lui se ne andarono anche le sue idee e le sue riforme per il calcio argentino creando un gran caos nell’organizzazione dei campionati e mandando allo sbando la società ideata e fondata da lui.
L’Arsenal perse partita dopo partita reputazione e credibilità fino a sprofondare nella stagione attuale al ruolo di squadra che lotta per non retrocedere. L’Arsenal di Martin Palermo è comunque una squadra ancora di buon livello nonostante in campionato faccia fatica ad emergere dalla metà della classifica: arriva fino ai quarti di Copa Libertadores e in campionato chiude al nono posto per poi andare ancora peggio nel 2015 quando il Loco Martin verrà esonerato.
Dal punto di vista tattico al Viaducto Palermo propone un 4-4-2 più classico con la linea dei centrocampisti schiacciata e senza l’uomo staccato inventato a Mendoza. Il cambio tattico porta ad una copertura più completa del campo seppur con meno densità nella parte centrale. Invariate le idee tattiche sulle uscite della difesa a quattro e sulla composizione della coppia d’attacco che questa volta è formata da Milton Caraglio e Julio Furch, binomio che ha più centimetri e mescoli ma meno tecnica rispetto a quello del Godoy Cruz. La vera variante sono gli esterni di centrocampo, entrambi schierati nella fascia del loro piede forte: Aguirre a sinistra e l’ex Palermo Sperduti a destra per sfruttare con i cross e non con le palle in verticale gli uomini d’area di rigore.
Dal punto di vista dei risultati non sarà una grande esperienza nel globale ma la sua visione del calcio cambierà dandogli più soluzioni da inventare per il suo futuro. In questa tappa Martin Palermo scopre la sua reale natura da allenatore mascherando l’ira e l’istinto che lo contraddistinguevano in campo quando di mestiere faceva il numero 9.
Il destino ha dato una nuova panchina al Titán. Non quella del Boca Juniors come sperava lui dopo l’addio di Arruabarrena, sostituito dal suo ex compagno di squadra Guillermo Barros Schelotto, ma quella di una squadra cilena, l’Unión Española. La sua carriera da calciatore l’ha sviluppata tra Argentina e Spagna; il Cile l’aveva visto solo affacciandosi dalle Ande come allenatore del Godoy Cruz o da ospite in Copa Libertadores o nelle partite con la maglia della nazionale argentina ma mai da protagonista.
In una squadra fondata da emigrati spagnoli in Cile gli stranieri vengono sempre ben accolti. Qui la nuova avventura del Loco Martin, quella che sta vivendo nel presente. E’ cominciato da poco il suo cammino in Cile ma le sue idee sono già tante e ben chiare.
Il modulo di base è sempre il suo fedelissimo 4-4-2 che però in una squadra dotata di tecnica individuale può trasformarsi in un 4-2-3-1 che lasci il palcoscenico ai piedi più che alla corsa. Sono Pinares e il Turco Jaime i giocatori chiave di questo schema: da esterni nel centrocampo a quattro hanno le stesse funzioni che avevano i laterali dell’Arsenal, da trequartisti invece hanno il compito di scegliere maggiormente la giocata in verticale o il colpo dalla distanza.
Il cambio è dettato dalle qualità degli attaccanti: Salom e Churin insieme rappresentano una coppia complementare con un giocatore che garantisce tecnica ed inserimenti e l’altro invece più predatore d’area. Non sempre però vengono provati assieme visto che le esigenze della partita possono richiedere solo una delle due qualità: è per questo che a volte viene proposto un 4-2-3-1 che si affidi a Salom e c’è bisogno di verticalizzazioni e guizzi improvvisi, o a Churin se la necessità primaria è quella di coprire il pallone e tenere su la squadra. La crescita come allenatore ha portato Martin Palermo a studiare più soluzioni e ad avere un’idea più completa del calcio da proporre.
In Copa Libertadores le cose sono andate bene con il passaggio del turno; in campionato invece il calendario sfortunato lo ha messo subito contro il Colo Colo contro cui è arrivato un pesante KO per 3-0.
Per chi lo ha amato come attaccante è ancora difficile accettarlo fuori dal campo con atteggiamenti troppo composti per il suo stile ma il suo percorso da allenatore è destinato a continuare e chissà che un giorno non torni alla Bombonera nella sua nuova veste.
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