I padroni di casa della Copa America, gli Stati Uniti, sono stati surclassati dalla Colombia di James Rodriguez proprio nella partita che segnava l’inizio della rassegna continentale. 2-0 senza se e senza ma, con gli U.S.A. costretti a guardare i Cafeteros dominare in lungo e largo, eccezion fatta per l’immortale Clint Dempsey che ancora una volta ha dimostrato di essere il punto cardine della compagine di Klinsmann. Proprio al tecnico tedesco sono state mosse tantissime critiche: la squadra non sembra schierata correttamente in campo e spesso va in confusione.
Stati dis-Uniti – Manca coesione tra i reparti, in particolare tra la difesa e il centrocampo dove ieri James ha potuto fare ciò che più desiderava, indisturbato o quasi. Non sembra però essere un problema di uomini o di mancanza di talento: Bradley e Jones rappresentano una solidissima diga davanti la difesa. Le difficoltà che subentrano a queste già citate riguardano poi gli uomini di fascia: gli esterni offensivi si occupano solo della fase offensiva e spesso finiscono nella zona di competenza di Dempsey. Il giocatore dei Seattle Sounders è un nove atipico a cui piace andarsi a prendere il pallone a centrocampo piuttosto che attenderlo: i suoi movimenti naturali creano spazi proprio dietro l’attaccante statunitense ma nella gara disputata ieri notte né Wood né Zardes sono riusciti a fare i movimenti giusti.
Sovrapposizioni avversarie – La distanza tra terzini ed ali ha permesso agli uomini di Pekerman di allargare il gioco sulle fasce con una facilità impressionante: non è casuale che la maggior parte delle azioni pericolose dei Cafeteros provengano da traversoni messi in mezzo da fondo campo, anche il calcio di rigore è arrivato a causa di un ingenuo tocco di mano su un cross. La colpa non può essere solo di Yedlin e Johnson: schierare due terzini di naturale spinta offensiva in una squadra non votata allo spirito di sacrificio significa quanto meno partire con un gol di svantaggio. E così e stato. Ci sarà tanto da lavorare per Klinsmann ma ad oggi la sua permanenza in panchina al termine della competizione pare appesa ad un filo.