Il secondo tempo di Bosnia-Italia ci ha regalato un’immagine insolita, ma che lascia spazio a tante riflessioni: dopo l’uscita di Florenzi, Lorenzo Insigne è diventato capitano della Nazionale, con la maglia numero 10 sulle spalle, ma mai come questa volta questa istantanea ha avuto senso e prospettiva.
Se torniamo con la mente alla primavera del 2016, al momento dell’assegnazione dei numeri di maglia in vista dell’Europeo, ci capiterà sicuramente di imbatterci nella polemica per il numero 10 dato a Thiago Motta, caso esploso in un clima totale di sfiducia verso una Nazionale che poi avrebbe fatto appassionare il Paese col suo bel cammino. La situazione di Motta era abbastanza paradossale: i social attraverso pagine satiriche hanno sminuito le abilità di un calciatore dalla grandissima carriera, facendo passare la sua ridotta velocità (fisica, non di pensiero) come unico elemento di giudizio, dimenticando però che grande giocatore fosse. Però, al di là delle superficiali critiche movimentate solo da commenti di pancia, Motta non era propriamente un numero 10. Era un centrocampista di impostazione e interdizione, e il numero della fantasia, degli assist e della classe, stonava decisamente sulle sue spalle.
Insigne invece è il 10 che l’Italia si merita in questo momento, ha il talento, il carattere e il ruolo giusto per vestire quella maglia. Perché nel calcio di oggi il trequartista vero e proprio è un ruolo raro, non compreso nel 4-3-3 di Mancini, e allora è giusto che il 10 della Nazionale sia l’esterno più talentuoso. Di fatto è solo un numero, ma cambia molto la percezione della squadra: l’Insigne di questo mese è il giocatore di cui questa Italia ha bisogno, tecnico e decisivo, istintivo ma trascinatore.
Lo abbiamo visto servire due assist da vero artista: un filtrante basso di enorme visione di gioco per Berardi contro la Polonia e una palla geniale per Belotti contro la Bosnia, più svariate giocate di fino da grandissimo calciatore come lo stop illegale che lo ha portato al tiro del palo a Sarajevo. E poi, nonostante la statura, è stato un capopopolo: piccoletto, ma senza timore anche contro i giganti, in particolare Lewandowski, campione senza tempo che però nella sua scorrettezza è sceso di livello, meritandosi il faccia a faccia con Insigne, il primo a difendere i compagni.
L’Italia sembra un grandissimo gruppo e lo deve anche a gente come lui, che il 10 a Napoli non lo può vestire per ragioni storiche, ma che merita più di chiunque altro di metterselo addosso in Nazionale. Soprattutto in momenti così, in cui il suo talento sembra al potenziale massimo.