Terra caratterizzata da un ricchissimo patrimonio artistico e culturale, dal diffuso uso del Baccalà (vi consiglio “O Leão D’Ouro”, vicino Praça do Rossio) e, sportivamente parlando, da una certa affinità col giuoco del calcio, che è ciò di cui ci occuperemo. Il mio soggiorno a Lisbona è gradevole e procede rapidamente (forse troppo) senza particolari affanni. Il calcio inevitabilmente occuperà una parte centrale all’interno dei miei pensieri, anche perché son passati soltanto 20 giorni da quando quel bolide di Eder si è infranto alle spalle di Lloris nella finalissima di Saint Denis. I segni dei festeggiamenti sono ancora vivi e non è difficile trovare tassisti (molto economici, avranno un ruolo centrale all’interno del mio racconto) che sfilano esponendo sciarpe rossoverdi con sovrascritto “Campeão da Europa”. Nei locali invece risuona abbastanza frequentemente “Freed from Desire”, cantata dalla compatriota “Gala” negli anni novanta ma tornata in auge grazie all’amico Will Grigg. Fra fiumi di Sagres e Super Bock, altre bellezze locali, può iniziare il nostro racconto.
Si parte dal quartiere (in portoghese “Freguesia”, forse meglio traducibile con “frazione”) di Santa Maria de Belém, uno dei più particolari dell’intera capitale lusitana: comune autonomo fino a metà dell’ottocento, era il posto da cui partivano le navi che, a cavallo fra il quattrocento e il cinquecento, scoprirono tantissimi paesi in giro per il mondo. La Torre di Belem, il monumento più noto, sta in un certo senso a simboleggiare la potenza che il Regno di Portogallo ebbe in quel tempo anche grazie a personaggi come Vasco da Gama, ricordato da un monumento non lontano dallo stesso bastione medioevale. Subito dietro al “Monastero dos Jerónimos”, altro patrimonio UNESCO che contiene la tomba di Fernando Pessoa, troviamo lo stadio del Belenenses, la squadra del quartiere e militante nella Primeira Liga. Appena arrivati ci imbattiamo subito nella biglietteria, dove i supporter locali possono acquistare biglietti o abbonamenti. C’è un po’ di timidezza e imbarazzo, viste le numerose macchine parcheggiate e il cancello socchiuso: ma una volta sciolti, chiediamo se si può entrare e veniamo mandati un po’ più in alto. Scorrendo intorno alle stadio troviamo subito il Megastore, fornito di ogni tipo di prodotto ufficiale targato dalla croce dell’Ordine di Cristo, uno dei simboli più importanti del Portogallo nonché presente nello stemma societario. Accanto allo negozio troviamo sia un campo da calcio a 5 che uno di Rugby, a testimoniare l’importanza che questa polisportiva ha nel quartiere fin dal 1919, anno della sua fondazione: nonostante l’area geografica molto ristretta (oggi Belém conta 16mila abitanti circa), la selezione calcistica è una delle più antiche dell’intero paese e conta di un Palmares di assoluto rispetto, grazie a 4 campionati portoghesi (3 prima che diventasse a girone unico), 4 coppe di Portogallo (la cosiddetta “Taça de Portugal”) e 1 Intertoto, nonché diverse partecipazioni alle coppe Europee (lo scorso anno nel girone di Europa League con la Fiorentina). Fra i giocatori più noti a militare fra le file dei “Pasteles” (nome che deriva da uno dei dolci più noti del paese, prodotto nel quartiere) vi sono Pepe, Rolando e José Mourinho, durante la sua breve carriera da giocatore. Dopo aver osservato da vicino l’allenamento dell’under 17, che si allena proprio davanti alla tribuna d’onore, ci viene permesso di entrare all’interno dell’impianto, l’Estadio do Restelo: costruito su una collinetta, con capienza di circa 20mila posti, ha ¾ di stadio coperti e una curva scoperta con alle spalle il fiume Tago. La somiglianza con gli impianti della nostra serie cadetta è lampante. Dopo aver fatto qualche foto, ci rimettiamo sulla via di casa passando nuovamente di fronte all’allenamento degli juniores, che si stanno esercitando sulle conclusioni, e davanti alla mappa del centro sportivo: calcio, pallamano, pallacanestro, atletica e rugby. Non male per essere un quartiere di 16mila anime. Sicuramente non di matrice “di sinistra” come il Rayo Vallecano o il St Pauli, ma certamente con una forte identità “Locale”.
Un po’ dappertutto si capisce chiaramente che la squadra più importante della città è il Benfica: nata all’interno dell’omonimo quartiere nel 1904, è diventata in breve tempo una delle compagini più importanti del paese. Il suo massimo splendore è stato raggiungo durante gli anni sessanta, grazie alle due Coppe dei Campioni conquistate consecutivamente fra il 1961 e il 1962 e alla presenza di un assoluto fuoriclasse come l’attaccante Eusebio. E durante una delle escursioni trovo un tassista tifosissimo del Benfica con cui scambio quattro chiacchiere sul calcio portoghese: negli ultimi 20 anni il Porto è diventata una squadra molto forte (facile il paragone fra la tradizione del Real Madrid e gli ultimi 25 anni del Barcellona), ma il Benfica è reduce dal 3 titolo negli ultimi 3 anni, arrivando così a quota 35: qualora vincesse anche quest’anno, sarebbe un record assoluto per il campionato portoghese. E dalle parole del nostro amico tassista sembrano esserci tutti i presupposti, vista la recente campagna acquisti delle Aquile: nonostante le cessioni di Gaitan e Renato Sanches (uno dei più amati nel paese, definitoci un incrocio fra Seedorf e Davids), la squadra sembra comunque rinforzata grazie agli arrivi degli argentini Franco Cervi e Oscar Benitez, del Colombiano Guillermo Celis, visto all’opera da titolare durante l’ultima Copa America, e degli svincolati André Carrillo, peruviano giunto dai rivali dello Sporting, e di Andrija Zivkovic, probabilmente uno degli ultimi migliori prodotti del Partizan Belgrado. Fondamentale anche il riscatto di Kostas Mitroglu, autore lo scorso anno di parecchi gol pesanti. Durante il tragitto passiamo accanto al Da Luz, detto anche “La Catedral”, e al José Alvalade, casa dei rivali dello Sporting e definiti dallo stesso tassista “Come l’Atletico Madrid, eterni secondi”. Ritagliatomi uno spazio, decido l’ultima mattinata di visitare la casa delle aquile, dopo esserci brevemente passato un paio di giorni prima durante l’ora di cena. Costruito nel 2003 per ospitare alcune sfide di Euro 2004, sorge non molto lontano dal vecchio impianto sempre chiamato “Da Luz” ma noto anche come “Estadio de Carnide”, inaugurato nel 1953 con una capienza che raggiunse gli oltre 120 mila posti. Formato da 3 anelli, il Da Luz ha una capienza da 65 mila posti e dalla prossima stagione (questa chicca me l’ha detta in privato la guida turistica dello stadio, ndr) sarà dotato di una standing area all’interno della “Curva Norte”, feudo de Benfiquistas. Nei dintorni dell’impianto, una serie di negozi dove mangiare o comprare gadget ufficiali della squadra, oltre al museo “Cosme Damião”, uno dei fondatori del club nonché allenatore fra il 1908 e il 1925. 3 piani con le prime stanze dedicate alla miriade di trofei che le varie selezioni Benfiquistas, calcistiche e non ( il Benfica è una delle polisportive più grandi al mondo), oltre che a una linea del tempo che ci racconta la storia dell’umanità in parallelo a quella del Benfica: una trovata particolare quanto, a mio avviso, egocentrica. Nel secondo piano invece una serie di cimeli del mondo Benfica: dagli scarpini di Eusebio, a cui c’è un’intera parete dedicata alla memoria, alle maglie del Real Madrid di Gento e dell’Inghilterra di Bobby Chartlon, ricevute rispettivamente durante la finale di Coppa Campioni del 1962 e la semifinale del mondiale del 1966. Presente inoltre una zona dedicata al Grande Torino, che giocò l’ultima partita della sua storia proprio contro il Benfica, prima di scomparire tragicamente nella tragedia di Superga nel 1949. Una volta terminato il museo, arrivo nel punto da dove parte Il tour dello stadio, “salutato” dalla statua di Bela Gutmann e del compianto Michal Feher, morto tragicamente nel 2004. La visita è gradevole e ci porta a vedere le tribune, le due curve, lo spogliatoio della squadra in trasferta (ornato con le maglie dei protagonisti della scorsa stagione), il tunnel per entrare in campo (ornato da una serie di immagini suggestive che servono a intimorire gli avversari) e le mascotte del club, delle Aquile simbolo del club che vengono fatte volare a turno prima di ogni partita. Da sottolineare l’occhiataccia della guida quando gli chiedo in quale porta avesse segnato Charisteas nel 2004. Terminato il tour, ci fermiamo a mangiare una cosa e porgiamo i nostri omaggi alla statua di Eusebio, prima di ripartire alla volta del José Alvalade, che purtroppo non riuscirò a vedere dall’interno.
L’aver incontrato solo tassisti Benfiquistas ovviamente mi farà avere informazioni totalmente di parte, ma sembra facile intuire che, in contrapposizione al Benfica “squadra del popolo”, lo Sporting Club do Portugal (se lo chiamate Lisbona si offendono, è come se chiamaste l’Atalanta il “Bergamo”), nasce come squadra aristocratica. Tant’è che fra i fondatori vi è il José Alvalade, nipote del Visconde de Alvalade da cui lo stadio prende il nome, e nel simbolo è presente un leone rampante, stemma araldico del Conte Don Fernando de Castelo Branco. Nonostante il minor appeal rispetto ai cugini del Benfica, os Leões possono vantare ben 18 titoli, 16 Supercoppe di Portogallo e 1 Coppa delle Coppe. Lo stadio, di 50mila posti, è stato costruito sempre nel 2003 sulle macerie del vecchio stadio usato anche per l’atletica e il ciclismo. All’esterno della curva campeggiano in bella vista dei murales realizzati dagli ultras locali, sotto il loro settore. Purtroppo il tempo non mi è amico, e sulla metro verso casa, vedo alle mie spalle per l’ultima volta le pareti esterne del José Alvalade, dove probabilmente un giorno dovrò ritornare. E considerando che mi è mancato anche l’Estadio Nacional, dove si giocò l’ultima partita del Grande Torino e la finale di Coppa Campioni del 1967 fra Inter e Celtic, ho scuse sufficienti per poter tornare in terra lusitana.