I primi anni 2000 hanno visto girare diverse squadre italiane nelle coppe europee, con la novità assoluta del Chievo Verona. Il calcio di quartiere che si siede al tavolo delle grandi d’Europa, una sfida incredibile ma dall’alto tasso di difficoltà: a Verona però nessuno ha mai visto questa squadra superare un turno nelle due competizioni disputate, la Coppa Uefa e la Champions League, ed è forse per questo che la storia internazionale del Chievo tende a essere dimenticata dal grande pubblico.
E pensare che la prima qualificazione europea arrivò al primo tentativo disponibile: il Chievo dei Miracoli di Gigi Delneri, la squadra rivelazione del campionato 2001/02, capace addirittura di mettersi in testa alla classifica da matricola assoluta della Serie A. Una ventata di nuovo calcio in un’Italia che cominciava calcisticamente a invecchiare senza rendersene conto: fu l’anno della coppia Marazzina-Corradi, del geometra Eugenio Corini, delle Frecce Nere Eriberto e Manfredini.
Sfiorò addirittura la Champions League, sfumata per un solo punto nel testa a testa con il Milan, forse anche per il dramma psicologico della squadra in seguito alla morte del calciatore Mayelé, che incise tanto nel decisamente meno positivo girone di ritorno.
Però il quinto posto valse la storica qualificazione alla Coppa Uefa 2002/03, e l’esordio assoluto del Chievo in Europa fu al Marakana di Belgrado contro la Stella Rossa, con un incoraggiante 0-0 che sembrava mettere le cose bene in vista del ritorno. Solo che al Bentegodi uscì il vero valore dei serbi, decisamente più forti come collettivo, pur senza giocatori che successivamente avrebbero fatto grandi carriera.
Per rivedere il Chievo in Europa tocca fare un salto in avanti di quattro anni, quando il destino restituì a quella squadra la Champions sfumata nel 2002. Eppure la cavalcata in campionato fu decisamente meno trionfale e avvincente rispetto a quella dell’esordio in A: il Chievo finì in settima posizione, ma grazie ai fatti di Calciopoli si ritrovò a scavalcare in classifica le penalizzate Juventus, Fiorentina e Lazio, fino ad arrivare al quarto posto.
Colpo a sorpresa, per un Chievo di nuovo internazionale. La Champions League era un traguardo totalmente insperato per questa squadre che si era stazionata quasi sempre a metà classifica. Al preliminare i clivensi, allora allenati da Pillon, vennero accoppiati al Levski Sofia, teoricamente un sorteggio abbordabile, ma il doppio confronto cominciò malissimo: 2-0 in Bulgaria, con l’obbligo di rimontare al Bentegodi. Al ritorno il gol di Amauri dopo pochi minuti illuse tutti della rimonta, ma il pareggio di Telkisky mise fine entro il termine del primo tempo al discorso qualificazione, per una gara che poi terminò con un inutile 2-2.
Scivolò così in Coppa Uefa, nell’ultimo turno preliminare prima della fase a gironi. Tutte le altre italiane passarono comodamente il turno: Parma, Palermo e Livorno, ma il Chievo ancora una volta pagò cara la propria inesperienza. Doppia sfida con lo Sporting Braga, bestia nera delle italiane nei preliminari: è sicuramente il miglior turno di quelli disputati dal Chievo, capace di portare ai supplementari una partita tiratissima.
Di fatto arriva anche l’unica vittoria europea dei veronesi, peraltro in trasferta, ma comunque inutile. Dopo la sconfitta per 2-0 in Portogallo al Bentegodi Tiribocchi e Godeas portarono il totale in parità, prolungando la sfida di mezz’ora, quella mezz’ora in cui arrivò la più grande delusione della storia gialloblu, la rete di Wender all’ultimo minuto del primo tempo supplementare. Le forze per segnare altri due gol non c’erano e la squadra venne eliminata per il terzo turno su tre.
Ma se c’è stato un modo per onorare quest’ultima partecipazione europea è stato quello di trovare il primo successo, di dare l’illusione di potercela fare e di lasciare, forse addirittura in eterno, la speranza di avere una rivincita.
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