La Champions League asiatica entra finalmente nel vivo. Dopo tre giornate nella fase a gironi si può già pronosticare un’altra annata in cui le squadre dell’estremo Oriente la faranno da padrone. Con il grande calciomercato condotto a gennaio dai cinesi, la competizione ha preso ancor più valore grazie ai nomi portati su un palcoscenico in costante ascesa negli ultimi anni. A testimonianza di ciò basta scorrere l’albo d’oro della competizione, dove nelle ultime dieci edizioni solo l’Al Sadd (nel 2011, con Jorge Fossati in panchina) è stato capace di spezzare l’egemonia di Giappone, Cina e Corea del Sud.
In mezzo a questi successi spicca però l’unico che non appartiene alle “magnifiche tre d’Oriente”; quello dei Western Sydney Wanderers, laureatisi campioni nel 2014 al termine di una cavalcata trionfale culminata nella finalissima di Riyadh, dove la franchigia di Parramatta ha avuto la meglio sull’Al Hilal. Scrivendo, probabilmente, la pagina migliore di sempre del calcio australiano. Da circa dieci anni il movimento calcistico Aussie ha avuto una crescita esponenziale, e non è un caso che tale ascesa sia coincisa con l’annessione della nazionale alla confederazione asiatica. L’AFC ha permesso ai club di partecipare alla Champions League, migliorando di anno in anno fino a battagliare con le società più forti del continente. Anche quest’anno il trend sembra confermato, con Sydney FC e Melbourne Victory – le uniche due squadre oggi a poter competere a certi livelli – partite discretamente bene, visti gli undici punti complessivi conquistati al fronte di una sola partita su sei.
Se è vero che ai grandi traguardi ci si arriva per gradi, anche l’Australia sembra non voler fare il passo più lungo della gamba; sulla falsa riga del processo che il Giappone ha iniziato vent’anni fa, la federazione negli anni ha rivoluzionato in primis la struttura del calcio locale e rifondato le accademie giovanili, mettendo mano ai fondi pubblici per aiutare le varie società ad iniziare un percorso studiato per dare risultati sul lungo periodo. Fino al 2005, la A-League era un torneo non amatoriale ma quasi, senza particolari velleità di emergere e – soprattutto – limitato dallo scarso bacino d’utenza in un paese “rugbycentrico“, dove il secondo sport è il cricket ed il calcio non riusciva a farsi spazio nella cultura sportiva locale. Con l’arrivo del colosso Hyunday (seguito poi da Nike, Continental e Sony) è nato il nuovo campionato, oggi all’undicesima edizione, ed il percorso tracciato sembra chiaro: regole chiare, introduzione di salary-cap, parametri economici da rispettare ed il solito immancabile tetto stranieri tanto comune in Asia (cinque in totale, con l’allargamento recente ad un elemento proveniente dalla Nuova Zelanda). Da quest’anno poi le società hanno potuto tesserare due dei cosiddetti “marquee players“, ovvero profili che con il loro stipendio possono sforare il limite del salary-cap, fissato in 2,6 milioni di dollari. Ogni rosa deve inoltre avere tre under 23 con contratto pro e tre ragazzi provenienti dall’accademy in rosa. Infine, una curiosa regola vieta ai club di spendere per i giocatori in entrata, tesserabili solo a parametro zero sia in patria che da fuori. Gli unici soldi che girano nel mondo del soccer sono quelle dei giocatori ceduti all’estero, con le entrate che – non potendo essere spese sul mercato – vengono veicolate per potenziare strutture e settore giovanile, oltre che per espandere la conoscenza di uno sport ormai intento a scalare posizioni nell’immaginario collettivo.
La A-League è un campionato di buon livello, ed ogni anno attira sempre più giocatori con il “nome” a fine carriera. Nel biennio 2012-2014 Sydney fu travolta dalla “Del Piero mania“, con l’ex juventino impattante a livello di immagine per i Sydney FC, che in campo però se lo sono goduto poco causa ormai limiti fisici del giocatore. Anzi, paradossalmente i due campionati giocati da Del Piero in Australia sono stati i peggiori per gli Skyblues, dati alla mano. Nelle ultime stagioni il torneo locale ha comunque accolto gente del calibro di David Villa, Robbie Fowler, William Gallas, Emile Heskey, Mark Janko, Andy Keogh e i “nostri” Iacopo La Rocca e Federico Piovaccari (quest’ultimo in odore di taglio causa inutilizzo). L’ultima stella “importata” nel calcio australiano è quella di Luis Garcia, campione d’Europa con il Liverpool di Rafa Benitez, oggi giocatore di punta dei Central Coast Mariners desolatamente ultimi e in odore di esclusione in vista del prossimo anno.
Uno dei discorsi più delicati riguarda proprio l’allargamento del campionato, oggi a dieci squadre, che la federazione vorrebbe portare almeno a tredici (ma progettando di arrivare fino a sedici); se in questi undici anni alcune franchigie hanno alzato bandiera bianca, è anche vero che in ogni angolo del paese c’è chi attende il via libera per entrare in A-League. Cosa non facile né veloce, visto che i Western Sydney ci hanno messo due anni, tra scartoffie e documentazioni, per giocare il loro primo match ufficiale. Tra le candidate principali in vista dell’allargamento – che dovrebbe realizzarsi entro due-tre anni – le più quotate sono Canberra, Wollongong (dove tirò i primi calci al pallone un certo Tim Cahill) ed Auckland, ma la lista è lunga, e per avere la licenza tutte le città in ballo hanno preparato una specie di campagna promozionale da sottoporre a Frank Lowy, numero uno della federazione. Sempre Lowy ha concluso la vendita dei diritti tv a Fox Sport per 160 milioni di dollari nel 2013, in un accordo quadriennale che permette la ritrasmissione in tutto il mondo da parte di media importanti come Sky Sport e BT Sport.
A giovare di questa evoluzione, ovviamente, è anche la selezione nazionale, oggi allenata da Ange Postecoglou, uno dei manager più rinomati nel panorama locale, che negli ultimi anni ha ottenuto grandi risultati a livello di club prima di provare il grande salto e misurarsi con la scena internazionale, sponsorizzato da un altro guru australiano come Graham Arnold. I Socceroos stanno intraprendendo un buon cammino in vista di Russia 2018, dove hanno buone probabilità di qualificarsi al quarto mondiale consecutivo dopo il grande successo della Coppa d’Asia vinta nel 2015.
Il campionato locale invece è agli sgoccioli; a quattro turni dal termine a comandare la classifica ci sono Brisbane Roar e Western Sydney Wanderers (dopo un anno “sabbatico” post Champions sono tornati alla ribalta), mentre in chiave playoff solo Central Coast e Wellington sembrano già tagliate fuori. L’affluenza negli stadi è discreta soprattutto nelle metropoli come Sydney e Melbourne, dove ci sono due franchigie che si spartiscono il bacino d’utenza; i Melbourne City, controllati dal Manchester City, sono la sorpresa stagionale e si candidano a mina vagante per il titolo, trascinati dalla vena realizzativa di Bruno Fornaroli (attuale capocannoniere) e dalla sostanza di Aaron Mooy, centrocampista centrale con il vizio del gol e candidato ad MVP del campionato.
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