Quando spedii via Messenger l’ennesimo messaggio (copiato e inviato a vari personaggi del giornalismo sportivo) anche ad Andrea Bracco, mi fece il nome di un suo amico romano che avrebbe potuto concedermi l’ennesimo gradino di quella scala a pioli sulla quale son salito nel 2012. Mandai una richiesta di amicizia su Facebook a questa persona, allegai il solito testo e qualche link di pezzi scritti da me negli anni, ricevetti risposta. L’approccio fu subito amichevole, del resto mi trovavo di fronte un coetaneo che pur più vecchio di un solo anno rispetto a me aveva lanciato il suo sito in pasto al web. Footbola. Che nome strano, pensai. Andai a sbirciare la pagina, detti un’occhiata anche ad un gruppo e la cosa mi incuriosii ancor di più. Quel ragazzo, Simone, mi avvertì subito che in Footbola si parlava solo di calcio internazionale, poi mi chiese quali aree europee seguissi con maggior attenzione. Svezia, Grecia, Portogallo, risposi. La conversazione continuò: mi disse che la qualità dei miei pezzi andava bene, poi mi disse che avrei anche potuto scrivere articoli più brevi. Cominciai il periodo di prova, ma su cosa? La Svezia era ferma, rimanevano Grecia e Portogallo. Non chiedetemi per quale ragione, scelsi la prima. Mi fece l’esempio di come veniva trattata l’Eredivisie, mettendomi Andrea Mariani come esempio sul quale basarmi. Cominciai con la user Redazione. Una grande avventura ebbe inizio.
L’8 gennaio, me ne uscii con questo report su Xanthi-Olympiakos. Da allora, ho scritto molto: un prepartita di Pana-Aek con la cronaca il giorno dopo, un focus sulla crisi dell’Aek, poi il 2-0 di Jiménez all’Asteras. Continuai coi gialloneri (Xanthi-Aek), il 4 febbraio mi venne la folle idea di dar luce al primo mio long form. Dedicato a Sergio Araujo, in realtà altro non è che un articolo normale in cui ho avuto l’impressione di dilungarmi un po’ troppo. Ho continuato a raccontarvi le principali emozioni direttamente dalla Grecia, poi il 9 febbraio ho pensato di ricordare la tragedia del Gate 7. Ancor oggi penso sia uno degli elaborati meglio riusciti della mia breve carriera. Mi sono virtualmente spostato in trasferta per l’Europa a rendicontarvi le serate europee di Olympiakos e Paok, mentre quando avevo meno tempo ho sperimentato la pratica dei relive, in cui un unico turno veniva riassunto in paragrafi. Dalla Grecia alla Spagna, ma solo per il tempo di raccontarvi di come i cambi di Sampaoli fossero decisivi, ed ecco di nuovo la Super League, con una breve intromissione di Portogallo. Da lì, e da Benfica-Dortmund in Champions, mi partì la scintilla per quello che sarebbe stato il pezzo della svolta: un long form, questa volta su Kostas Mitroglou. Era il tre marzo, e mi beccai molti complimenti. Tornato in Grecia, in settimana mi concedevo qualche puntatina sulla remuntada del Barça, sulla screenplay di Shakespeare a Leicester o sulla tela di Jardim che ha ingabbiato il City di Guardiola. Nuovamente in Grecia con l’Olympiakos in crisi nera, nuovamente a Siviglia con un epitaffio alla recente storia andalusa in Europa League, ancora dal Pireo con l’uscita dei biancorossi dall’EL per mano del Besiktas. Nel weekend delle nazionali ho parlato di un Croazia-Ucraina deciso da Kalinic, mentre da tempo stavo lavorando ad una sontuosa, colossale, gigante analisi su tutti i problemi che affliggono il calcio greco. Partendo da questo, Ada Cotugno ci ha messo l’input, Marco Aurelio Stefanini ci ha messo in contatto e, nel 2018, la Urbone Publishing di Gianluca Iuorio ci metterà la stampa. Un libro sul calcio greco, un’idea folle ma mai realizzata in Italia.
Ancora nazionali, Belgio-Grecia, Romania-Danimarca, Svezia-Bielorussia. Dopo un articolo letto da Gazzetta.gr presentai a Simone la proposta di fare un’inchiesta sul triste stato di salute di Ivan Klasnić. Il tempo di narrarvi di un derby di Atene vinto all’ultimo secondo dal Panathinaikos e l’Allsvenskan era cominciata. Tra un pezzo sui principali movimenti di calciomercato e i vari relive, nel frattempo l’Olympiakos ha messo le mani sullo scudetto. Il mio quinto long form l’ho offerto sull’altare di una ricerca di curiosità nella Serie B greca, mentre poi una serata tranquilla a guardare la Champions si è trasformata in un attacco terroristico al pullman del Borussia? Come sarei potuto rimanerne distaccato? Ricominciata l’Allsvenskan, come detto, me ne sono volentieri preso carico con un pezzo di commento dopo ogni turno giocato: altro lavoro, tutto materiale uscire dalla mia tastiera. Poco dopo un’ode alla battaglia tra Besiktas e Lione in Europa League, un comentario colchonero dopo l’urna di Nyon, un sentito ricordo alla memoria di Tito Vilanova. E ancora ho parlato di Atlético, di Ajax, di Celta Vigo e Rashford, poi del titolo all’Olympiakos, fino ad un nuovo comentario colchonero e infine un articoletto sulla genialità della MasterCard sulla base di uno spot pubblicitario, non prima di una toccatina a Lisbona per il trionfo del Benfica. Ma WordPress è piena di altri pezzi, siamo solo all’inizio e ogni qual volta ho tempo mi metto davanti allo schermo armato di buona volontà e cercando l’ispirazione.
Eccoci. La Super League greca ha giocato la sua ultima giornata con tutti i verdetti stagionali già emessi: l’Olympiakos ha vinto il 44esimo campionato della sua storia, mentre PAOK, Panathinaikos, AEK e Panionios giocheranno i play-off per la qualificazione alle coppe europee. In fondo alla classifica, invece, Levadiakos e Veria sono retrocesse in Football League. Per me, che ho imbracciato la Super Ligka Ellada solo a gennaio, sarebbe forse ingiusto alzare la pretesa di raccontarvi per filo e per segno tutto quanto accaduto. Non ho seguito dall’inizio, lo farò il prossimo settembre: tuttavia, questi buoni cinque mesi abbondanti, mi sono più che serviti per comprendere le dinamiche dietro ad una lega (quella greca) che è ben rappresentabile come un iceberg. Metaforicamente perfetto: quello che si vede, il calcio giocato, altro non è che la punta di un immenso scoglio che il mare cela a chi non ha tempo/voglia/altro per addentrarvisi scrutando i fondali vicini. Corruzione, violenza, scandali, hooligans, minacce, sospensioni del campionato, scontri ai limiti del ludico, soldi che girano, mazzette, arbitri, intromissione di gente che conta: tutta roba che ho messo qui dentro e che dunque non ripeto. Doveva vincere l’Olympiakos, l’ha fatto senza troppi problemi: certo che è inaccettabile cambiare tutti questi tecnici (Bento, Vouzas, Lemonis) per arrivare ad un risultato che pareva già in cassaforte più per demerito altrui che merito dei biancorossi. Alla fine, la classifica finale dice che la seconda forza del calcio greco è il Paok che per tutto il campionato ha giocato a fare capolino nascondendosi tra big e meno big: Ivic però è un ottimo tecnico e sono certo che la prossima stagione l’Aquila Bicipite potrà certamente far meglio. Il Panathinaikos, solito inguaribile calderone ribollente, non ha mai trasudato una benchè minima comune idea tecnico-tattica: prima Stramaccioni, ma che ci faceva qui, poi Marinos Ouzounidis sul quale possiamo discutere l’abilità ma non certo i meriti in questa stagione. Stagione disastrata, per molti versi brutta e inguardabile, che però coincide con lo scettro dei capocannonieri strappato ai possibili contendenti dall’onnivora sua maestà Marcus Berg. 22 reti, staccati Hamza Younes dello Skoxa Xanthi (19) e Pedro Conde-Ideye Brown (13 sia per l’attaccante del PAS Giannina, sia per il collega dell’Olympiakos).
La classifica cannonieri dice tutto e niente. Dice che Berg è un grandissimo bomber, ma questo già lo si sapeva, dice che lo Skoda Xanthi ha fatto qualcosa di veramente buono alla luce della vena realizzativa della sua punta di diamante (ed è vero ma solo in parte), dice che il campionato greco è sempre preda di altri mercati (quello cinese ha strappato Ideye a gennaio, col nigeriano volato al Tianjin Teda, ma anche la Premier che si è impossessata del talento cristallino di Luka Milivojevic e lo ha sedotto al Crystal Palace). Lo Skoda Xanthi di Younes era una bella sorpresa, quando ero nel podcast di Andrea Bracco mi chiesero se avesse potuto restare in seconda posizione. Eggià, erano proprio secondi: hanno ceduto, sotto il peso di una sopravvalutazione di se stessi ma soprattutto sotto il macigno schiacciante del dover per forza far bene per confermarsi. Le grandi di Grecia ci sono abituate, la piccola realtà allenata da Razvan Lucescu invece no: lo si è visto tutto. Un applauso comunque a loro, ragazzi che per la prima volta hanno assaporato le luci della ribalta pur non essendovi restate a lungo in quanto semplicemente non erano adatti a quello. Non erano stati costruiti per primeggiare, quelli dello Skoda, ma hanno comunque provato a cambiare l’incontrovertibile ordine delle cose. Hanno profanato per un po’ di giornate l’Olimpo del calcio ellenico storicamente popolato dalle quattro grandi con a capo l’Olympiakos sempre più campione (Paok, Aek, Pana le altre). Avevano dato l’impressione di farcela, sono crollati sul più bello: resta una bella storia, e i protagonisti restano a Xanthi, per ora. Non so per quanto ancora, il problema è che spesso le sirene di mercato incombono e incrinano storie di cristallo come queste. Hamza Younes sarà sul taccuino di qualche club, me lo sento. E così come Ansarifard, leader di un Panionios che ha dovuto però soprassedere alla cessione della sua stella all’Olympiakos, probabilmente anche Younes se ne andrà.
Dispiace, personalmente, per il Veria. Per carità, la matematica è quella e non ammette eccezioni, però francamente qualche volto di quelli lo avrei visto volentieri ancora in Super League: non seguirò la B Ethniki, la cadetteria ellenica. Su tutti, Kapetanos: spero che qualcuno dalla prima divisione voglia dargli fiducia, così come magari anche a qualche giocatore del Levadiakos anche lui retrocesso. La zona di mezza classifica si rivelata un gigantesco vortice che ha risucchiato nella mediocrità più o meno tutte: Platanias, Atromitos, PAS Giannina, Kerkyra, Panetolikos, Ikralis, Asteras Tripolis e Larissa. La prima di queste però è a quota 48, a meno 4 dal Panionios che poi è la quinta forza di Grecia. La poule per le coppe si sta giocando tra Paok (3°), Panathinaikos (4°), Aek (5°) e proprio l’Istorikos. Chi rimane fuori? Il bellissimo ma sfortunato Skoda Xanthi. Che forse non avrebbe retto i ritmi asfissianti e il gap tecnico con le meglio attrezzate rivali, ma ce l’avrei visto volentieri lo stesso. E molto volentieri, aggiungo. Anche qui, tuttavia, la matematica condanna.
L’ultimo mini-paragrafetto lo voglio dedicare ai singoli calciatori. Nell’Olympiakos campione di Grecia, dopo aver vinto il quarantaquattresima titolo, il volto che scelgo è quello di Alejandro Domínguez, “El Chori” che ogni anno è vecchio ma alla fine riesce puntualmente a trovare spazio (e qualche magia delle sue). Il capitano, il dieci, l’eterno problema per Fortounis che in lui trova concorrenza. Con la partenza di Ideye Brown si è diviso il ruolo di terminale offensivo del 4-2-3-1 con la punta Cardozo e il falso nueve Ansarifard, a tratti lo si è visto però scorrazzare sulla trequarti. Ha tanta voglia di giocare a calcio, “El Chori”. Per il Paok sceglierei volentieri Vladimir Ivic ma preferisco Aleksandar Prijovic: arrivato a gennaio dal Legia Varsavia e reduce dalla Champions, ha saputo sfruttare al meglio gli spazi concessi relegando in panchina il capitano Athanasiadis. La sua abilità è rilevante, specie in questo Paok pieno di buone mezzepunte pronte ad armare il serbo/svizzero (mi riferisco a Warda, Djalma, Mystakidis, Pedro Henrique, Biseswar, Pelkas). Il Toumba lo ama già. Il volto del Panathinaikos potrebbe avere le sembianze scandinave di Marcus Berg ma sarebbe troppo facile: Sebastián Leto invece è meno immediato. A molti verrà in mente il Leto di Catania, ma prima di quello lì c’era un Leto già qui ad Atene. Tornato al Pana, quest’anno è stato il secondo miglior realizzatore dietro alla Berg supremacy: 10 reti per l’argentino, tra campionato (6) e Kypello Ellados (4). Niente male, con un ruolo da comprimario: le corsie esterne sono ormai patrimonio di Villafañez a destra e Mpoku a sinistra, accanto allo svedese è stata provata con successo la seconda punta Viktor Klonaridis. E Sebastián, in tutto questo, parte dalla panchina ma incide. Sull’AEK sono parecchio indeciso: quasi quasi metterei Manolo Jiménez, uno che la maglia ce l’ha nel sangue e dal cui ritorno l’AEK ha tratto solo segnali positivi. Tra tutti mi permetto però di scegliere Sergio Araujo, che arrivato dal Las Palmas ha fatto innamorare la terza Atene di lui. Ho un debole per lui, lo ammetto, ed è prettamente per questo che l’ho preferito: il suo score parla di quattro reti in 9 partite di Super League, così come Hugo Almeida (ma in 16 apparizioni) e Lazaros Christodoulopoulos (in 24). Meglio, hanno fatto solo capitan Mantalos che è un trequartista (6 gol) e l’ariete Tomas Pekhart (9), cui è toccato spesso far spazio all’argentino numero 11. Infine, il Panionios. Il 4-2-3-1 che Vladan Milojevic ha cucito addosso al suo team hanno permesso il contemporaneo impiego delle quattro bocche di fuoco: l’iraniano Masoud Shojaei (4 reti, 6 assist) agiva da trequartista, alla sua sinistra ecco Georgios Masouras (4 reti), il terzo è stato El Fardou Ben (9 reti, 3 assist). Scelgo il franco-comorese per il suo contributo numericamente più elevato dei due compagni: nasce da ala destra, ma quando il mercato invernale ha privato l’Istorikos di Karim Ansarifard (5 gol, 3 assist), El Fardou è stato avanzato con l’inserimento sulla trequarti di Fountas. L’esperimento è fallito presto, poi l’infortunio al ginocchio di Taxiarchis ha obbligato Milojevic ad inventarsi qualcosa: dal cilindro è stato estratto Samed Yesil, prima punta turco-tedesca, che non ha segnato ma si è mossa bene. Per l’estate, il cantiere Panionios potrà magari lavorarci su e trovare nuovi equilibri davanti. Ma prima, com’è giusto, un mesetto di meritato riposo prima di preparare la prossima stagione. La Super League è finita, amici, γεια σου. Αντίο και σας δούμε σύντομα!
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