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La Manchester scandinava

E’ divisa tra United e City, ma non è Manchester. E’ sorta sulle rive di un fiume, ma non mi riferisco all’Irwell. E’ piena di fabbriche, ma non siamo in Inghilterra. E tutto sommato è strano, perché potremmo benissimo trovarci tra i palazzi che i latini chiamarono Mamucium e che oggi restano, ben forti, mischiati nell’appellativo Mancunians. Le fabbriche che scorgeremmo ai lati della strada potrebbero assomigliare a quei giganteschi ritratti urbani minuziosamente decantati da Charles Dickes quando scriveva di una Coketown non meglio precisata. L’Oliver Twist della situazione potremmo esser noi, sballottati e virtualmente inseriti in un contesto simile alle workhouses. Ma non siamo in Inghilterra.

In terra d’Albione, tante industrie, in particolar modo tessili, davano la sensazione di una monotonia che peraltro si rifletteva pure nell’animo di coloro che vivevano lì, in quell’immenso organo pulsante di routine e grigiore. Erano i tempi caratterizzati dalla sottile predominanza della metallurgia, dell’inquinamento dilagante e delle condizioni igieniche da poco. I romanzi sociali scritti da Dickens servirono a denunciare degli ordinamenti sociali che lo stesso Charles si era trovato a sperimentare, da bambino, dunque hanno assunto un’importanza notevole. Povertà, lavoro minorile, delinquenza, criminalità urbana e l’ipocrisia intrinseca nell’animo vittoriano di quell’epoca: tutto questo va a farcire delle storie come quella di Coketown. Un paradiso della geometria, di un sistema d’istruzione retrogrado e tradizionalista, di macchinari e ciminiere. Il trionfo dell’industria andava mescolandosi alle strade uguali, popolate da persone uguali, che avevano la giornata scandita dagli stessi turni in sede di lavoro. Spersonalizzazione dilagante, per riassumere tutto in una parola.

Come detto, però, non mi riferisco a Manchester. Parlo invece di Eskilstuna, cuore pulsante del Södermanland nonché tra le province storiche (landskap) dell’intera Svezia. Affacciata sul Baltico ma pure abbeverata dal lago Mälaren, oltre 1000 km quadrati di acqua, si tratta di un centro che ospita al suo interno 60mila persone, o 90mila contando l’intera municipalità. Divisa in due dall’omonimo fiume Eskilstunaån, la città si collega all’opera di cristianizzazione che un monaco di nome Eskill esercitò nei confronti delle popolazioni vichinghe salvo poi diventare il vescovo del luogo. Si tratta poi di un polo attivo nell’industria, in particolar modo per quel che concerne le acciaierie, risalenti già al XVII secolo e stimate come fonte di sopravvivenza per il 51% degli abitanti in zona. In un pullulare di architettura e storia, Eskilstuna vanta una poi tradizione manifatturiera non da poco: Gamla staden è il centro storico, il Tunavallen qualcosa di simile con una particolare accezione calcistica.

Di storico, il Tunavallen, ha il fatto di esser stato costruito tra 1923 e ’24. Inizialmente poteva contenere circa 22mila posti (874 peraltro agevolati da una copertura anti-condizioni meteo avverse), poi col nuovo millennio sono cominciati i lavori che ne hanno ridotto la capienza a 6500 unità: era l’agosto 2002 quando la nuova creatura è stata ufficialmente inaugurata, dando rilievo alla casa delle due principali squadre cittadine. Ci sono l’Eskilstuna City e l’Eskilstuna United, rispettivamente versioni maschile e femminile della stessa radice. A completare il trio c’è l’IFK, letteralmente Idrottsföreningen, dunque associazione sportiva, che utilizza l’impianto come fotbollsarena e nel 2017 s’è concessa un’apparizione in Allsvenskan. Il che vuol dire: al Tunavallen sono stati ospitati club mai prima d’ora visti da vicino, se non in tv.

Che poi, etimologicamente, vallen vuol dire diga e Tuna è il diminutivo del fiume Eskilstunaån. Occhio a non confondere l’ordine perché esiste una cittadina che si chiama Vallentuna, ma si trova a 144 km di distanza da qui (ed è anche il termine che l’IKEA ha scelto per denominare una serie di divani componibile). In ogni caso, il Tunavallen si trova in Tunavallsgränden, ed è impossibile da non notare. Il motivo? Ce l’avete qui sotto, davanti ai vostri occhi: quei quattro palazzi che delimitano quasi gli angoli perimetrali dell’impianto. Quindici piani di altezza, un gioco d’altezze alquanto spettacolare sul quale insistono molte foto.

 

Matteo Albanese

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